Anche la Sicilia cerca medici non obiettori La libertà di pensiero e di coscienza del personale sanitario può prevalere sul diritto alla salute della donna?

L’Assemblea regionale siciliana ha approvato una legge che obbliga gli ospedali pubblici ad assumere medici e altro personale non obiettore di coscienza. Il provvedimento nasce da un problema reale: in molte zone della Sicilia, come nel resto d’Italia, l’aborto è di fatto impraticabile a causa della carenza di personale per eseguirlo. Questo anche se esiste una legge, la L. 194/1978, che garantisce in teoria alle donne la possibilità di interrompere in modo sicuro la gravidanza.
Come era prevedibile, la decisione dell’Assemblea regionale sicula ha acceso il dibattito, tra accuse di incostituzionalità e richiami al rispetto della libertà di coscienza.
In questo articolo proviamo a capire cosa prevede la L. 194/1978 e perché il provvedimento dell’Assemblea regionale della Sicilia sta sollevando tante polemiche e dubbi di legittimità.
L’aborto in Italia è legale, ma non sempre accessibile
Fino al 1978 in Italia l’aborto era un reato, punito con la reclusione da 2 a 5 anni (art. 546 c.p., ora abrogato).
La L. 194/1978 ha abrogato il titolo che conteneva i reati relativi all’interruzione di gravidanza e ha, di conseguenza, disciplinato i casi in cui è possibile ricorrere all’aborto, nonché le relative modalità.
Dal 1978, dunque, sono leciti due tipi di interruzione volontaria di gravidanza (IVG):
- quella effettuata entro i primi 90 giorni dal concepimento, per la quale è necessaria la “semplice” richiesta della madre. La richiesta può essere fatta per diversi motivi (economici, di salute, familiari ecc.);
- quella effettuata dopo i primi 90 giorni dal concepimento, che può essere praticata solo quando la gravidanza o il parto comportano un grave pericolo per la vita della donna e quando sono accertati processi patologici (come malattie o malformazioni) che comportano un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.
La richiesta di interruzione di gravidanza deve essere presentata personalmente dalla donna (è stata esclusa infatti la rilevanza dell’eventuale parere contrario del padre). La competenza per garantire l’attuazione della legge spetta alla Regione.
Il diritto all’aborto
La legge 194 non qualifica espressamente l’aborto come un diritto: al contrario, chiarisce che lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile e riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio (art. 1).
Pur essendo questo il tenore della legge, vi sono pochi dubbi sul fatto che l’accesso in modo sicuro a pratiche di interruzione della gravidanza è riconducibile alla tutela dei diritti umani. Come tutte le decisioni fatte dal singolo relative al proprio corpo, infatti, anche quella di interrompere la gravidanza viene collegata al diritto alla salute.
A ricondurre l’aborto al novero dei diritti ci ha pensato la Corte costituzionale, che ha collegato l’interruzione di gravidanza all’unico diritto qualificato espressamente come fondamentale dalla stessa Costituzione: il diritto alla salute (art. 32 Cost.).
La Corte, infatti, ha più volte ribadito che il diritto alla salute della donna deve essere inteso come comprensivo anche della salute psichica, oltre che fisica, e lo stato gravidico sicuramente impatta su entrambe (sent. 161/2023 e, ancor prima della L. 194, sent. 27/1975).
L’obiezione di coscienza
Dagli anni Ottanta anche in Italia è quindi possibile praticare legalmente l’aborto. Prevedere una procedura con una legge non sempre equivale, però, a renderla effettiva.
La stessa L. 194/1978 tutela – giustamente – anche la libertà di pensiero e di coscienza dei medici e del personale sanitario che dovrebbe praticare l’interruzione. L’art. 9 stabilisce, infatti, che il personale sanitario non è tenuto a prendere parte alle procedure quando solleva obiezione di coscienza.
L’obiezione però non esonera tale personale dalle attività di assistenza antecedente e conseguente all’aborto. Gli enti ospedalieri sono sempre tenuti ad assicurare la realizzazione delle procedure di interruzione se c’è pericolo per la vita della donna: in questo caso l’obiezione non può essere invocata.
Conferma tale impostazione anche la Corte di Cassazione che nel 2012 ha ribadito che il medico obiettore non può rifiutarsi di intervenire in situazioni di urgenza, neppure se si tratta di una IVG. Il diritto all’aborto, secondo la Corte, è riconosciuto come diritto compreso nella sfera di autodeterminazione della donna. L’obiettore può legittimamente rifiutarsi di intervenire per rendere concreto tale diritto, ma non può rifiutarsi di intervenire per garantire il diritto alla salute della donna non solo nella fase conseguente all’intervento di interruzione, ma in tutti i casi in cui c’è un imminente pericolo di vita per la stessa (Cass. 14979/2012).
Alla luce di questa normativa, i dati possono aiutare a comprendere la scelta della Sicilia.
I dati: in Sicilia l’81,5% dei medici è obiettore
Il Ministero della Salute dovrebbe presentare ogni anno una relazione al Parlamento relativa all’applicazione della L. 194/1978.
Per diversi motivi, riguardanti principalmente la raccolta dei dati, la relazione non viene presentata ogni anno e, infatti, l’ultima contiene i dati del 2022.
Come si legge nell’ultima relazione, «nel 2022, la quota di ginecologi obiettori di coscienza risulta pari al 60,5%, inferiore rispetto al 63,6% dell’anno precedente, ma ancora elevata e con notevoli differenze tra le Regioni: le percentuali più alte di ginecologi obiettori di coscienza si rilevano in Molise (90,9%) e Sicilia (81,5%); le percentuali più basse in Valle d’Aosta (25,0%) e Provincia Autonoma di Trento (31,8%)».
I dati vengono riportati sono aggregati su media regionale, non per singola struttura sanitaria. L’associazione Luca Coscioni ha effettuato diverse richieste di accesso civico e ha riscontrato che in molte Regioni diversi ospedali hanno il 100% dei medici e del personale sanitario obiettore. Ad esempio, in tutta la provincia di Messina non c’è nemmeno un medico che pratica l’IVG, mentre in provincia di Trapani ce n’è solo uno. Tale ultimo dato comporta una possibile disparità di trattamento nel territorio nazionale tra le diverse Regioni, con situazioni nelle quali le donne potrebbero essere costrette a cambiare città (o, in casi estremi, Regione) per praticare l’interruzione.
Dopo la lettura della relazione ministeriale è possibile comprendere meglio la scelta della Sicilia, finalizzata a garantire l’applicazione della legge 194.
La decisione della Sicilia
Il 12 febbraio 2025 è iniziato in Sicilia l’iter di approvazione di una legge che ha l’obiettivo di garantire il diritto delle donne all’interruzione sicura di gravidanza.
L’Assemblea regionale siciliana, infatti, il 27 maggio 2025 ha approvato la legge regionale 738/2025, il cui articolo 3 prevede procedure concorsuali mirate all’assunzione di medici non obiettori di coscienza.
«Art. 3. – Aree funzionali per l’interruzione volontaria di gravidanza .
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Ai fini dell’applicazione della legge 22 maggio 1978, n. 194, le aziende del Servizio sanitario regionale istituiscono, laddove non siano già previste, le aree funzionali dedicate all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) in seno alle Unità operative complesse di Ginecologia e Ostetricia.
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[…]
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Le Aziende sanitarie e ospedaliere, nell’ambito delle ordinarie procedure selettive di reclutamento già previste nei piani triennali dei fabbisogni di personale delle Aziende del Servizio sanitario regionale, dotano le aree funzionali di cui al comma 1 di idoneo personale non obiettore di coscienza. I bandi di concorso, in tali casi, prevedono apposita condizione di risoluzione del contratto di lavoro, qualora il personale non obiettore assunto si dichiari successivamente obiettore, secondo le modalità di cui all’articolo 9 della legge n. 194 del 1978».
In base a tale articolo, dunque, in Sicilia saranno istituite delle aree dedicate all’interruzione di gravidanza. Il personale assunto in tali strutture, per ovvi motivi, non dovrà essere obiettore di coscienza.
La Regione ha stabilito inoltre che i bandi dovranno contenere una condizione di risoluzione del contratto di lavoro applicabile se, dopo l’assunzione, il personale si dichiari obiettore. Quest’ultima precisazione si è resa necessaria perché in passato il personale vincitore di concorso ha presentato la dichiarazione di obiezione dopo la conclusione del periodo di prova.
Le critiche alla legge siciliana
Come era prevedibile, la decisione della Sicilia ha sollevato diverse polemiche e dubbi di legittimità costituzionale.
In particolare, gli oppositori della legge regionale ipotizzano la violazione dell’art. 9 della L. 194/1978 che, appunto, garantisce la possibilità di obiezione di coscienza del personale medico e sanitario.
Ma ciò che sta avvenendo in Sicilia non è una novità. Molte Regioni in passato hanno fatto la stessa scelta della Sicilia, costretti dall’alto numero di obiettori a prendere provvedimenti per garantire l’applicazione della legge 194.
I concorsi per medici non obiettori
Prima della Sicilia anche la Puglia, la Campania, l’Emilia Romagna e, tra i casi più noti, quello dell’ospedale San Camillo di Roma hanno bandito concorsi per l’assunzione di solo personale non obiettore. In tutti i casi citati sono stati sollevati gli stessi dubbi che si leggono oggi per la legge regionale siciliana.
I tribunali amministrativi regionali hanno espresso negli anni orientamenti diversi. Una cosa è certa: il cuore del problema è nel bilanciamento tra due diritti fondamentali.
Il bilanciamento tra diritto all’aborto e obiezione di coscienza
Quello che emerge in modo chiaro dalle scelte delle diverse Regioni e delle aziende sanitarie è la difficoltà di bilanciare due diritti individuali contrapposti. Da un lato, quello della donna che vuole interrompere la gravidanza e, dall’altro, quello del medico che non si sente, in coscienza, di effettuare pratiche abortive.
Entrambi i diritti possono sono connessi con diritti fondamentali protetti dalla Costituzione. Il diritto della donna all’interruzione di gravidanza è infatti connesso, come abbiamo visto, al diritto alla salute. Il diritto del medico all’obiezione, invece, è considerato un diritto inviolabile, poiché la protezione della coscienza individuale è collegata alla dignità umana.
Dall’analisi dell’art. 9 della legge 194 sembra comunque dover prevalere la tutela della salute della donna, poiché si legge che gli enti ospedalieri sono tenuti ad assicurare gli interventi di interruzione di gravidanza richiesti.
Alla luce di ciò, dovrebbero essere sciolti i dubbi di legittimità dei bandi destinati all’assunzione di personale non obiettore. Questi, infatti, sono necessari per garantire il diritto alla salute delle donne che intendono interrompere in modo sicuro la gravidanza. La compressione del diritto all’obiezione di coscienza sembra infatti ragionevole per la tutela del diritto alla salute, che mantiene una protezione privilegiata.
Per approfondire questo e altri argomenti, con tanti esempi pratici, ti consigliamo la lettura dei nostri compendi di Diritto costituzionale e di Diritto regionale e degli enti locali.