Casi di nullità o annullabilità delle delibere condominiali. Con la sent. 14-4-2021, n. 9839 le Sezioni Unite della Cassazione hanno risolto il contrasto sulla invalidità della delibera condominiale che ripartisce le spese tra i condomini in violazione dei criteri dettati dal codice civile o stabiliti convenzionalmente.
In particolare, la sentenza ha precisato i casi in cui la delibera debba ritenersi affetta da nullità, come tale rilevabile d’ufficio e deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, e i casi di mera annullabilità, deducibile nei modi e tempi previsti dall’art. 1137, secondo comma, c.c.
Vediamo le varie ipotesi.
Nullità e annullabilità delibere condominiali: distinzione
Il criterio distintivo è tradizionalmente (Cass., Sez. Un., 4806/2005) individuato nella contrapposizione tra:
- vizi di sostanza, che riguardano il contenuto delle deliberazioni;
- vizi di forma, che riguardano le regole procedimentali per la formazione delle deliberazioni.
In concreto:
1) devono qualificarsi nulle le delibere dell’assemblea condominiale prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto;
2) devono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell’assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell’assemblea, quelle genericamente affette da irregolarità nel procedimento di convocazione.
Il contrasto giurisprudenziale sulle delibere che ripartiscono le spese condominiali
Il criterio distintivo enunciato dalla giurisprudenza si è rivelato inadeguato con riferimento alle deliberazioni assembleari aventi ad oggetto la ripartizione, tra i condomini, delle spese di gestione delle cose e dei servizi comuni in difformità dai criteri legali (artt. 1123 e ss. c.c.) o convenzionali (regolamento condominiale contrattuale).
Secondo l’art. 1123 c.c. le spese condominiali sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
Un primo indirizzo giurisprudenziale ha affermato che sono annullabili le delibere con cui l’assemblea, nell’esercizio delle attribuzioni previste dall’art. 1135, nn. 2 e 3, c.c., determina in concreto la ripartizione delle spese medesime in violazione dei suddetti criteri (tra le tante, Cass. 6714/2010); un secondo orientamento, all’opposto, ha affermato che le deliberazioni dell’assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese sono da considerare nulle per impossibilità dell’oggetto, e non meramente annullabili, pur se limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione (tra le tante, Cass. 5814/2016).
Il contrasto è stato risolto dalle Sezioni Unite 14-4-2021, n. 9839 richiamando i principi che seguono.
Nel condominio vince la maggioranza
Nel condominio le parti comuni dell’edificio e i servizi comuni sono amministrati dalla volontà del gruppo; tuttavia, per evitare la paralisi della gestione comune, la volontà collettiva non si forma mediante il metodo contrattuale del consenso reciproco, ma si forma mediante il metodo collegiale nell’assemblea dei condomini, la quale delibera secondo il principio della maggioranza.
La volontà della maggioranza, formatasi secondo le regole e i criteri previsti dalla legge, è vincolante per tutti i condomini, anche per quelli assenti o dissenzienti (art. 1137, c. 1, c.c.).
Il codice civile espressamente riconosce, tra le attribuzioni dell’assemblea condominiale da adottare con il metodo maggioritario, l’approvazione e la ripartizione delle spese per la gestione ordinaria e straordinaria delle parti e dei servizi comuni (artt. 1135 nn. 2 e 4, 1120, 1123, 1128 c.c.).
L’annullabilità delle delibere è la regola
La necessità di assicurare la certezza dei rapporti giuridici di una entità così complessa, come il condominio degli edifici, conferisce alle deliberazioni dell’assemblea un carattere di stabilità, ossia efficacia ed esecutività, finché non vengano rimosse dal giudice (art. 1137, c. 3, c.c.).
La disciplina del condominio non contempla alcuna ipotesi di nullità delle deliberazioni condominiali.
Ciò perché la nullità esporrebbe in perpetuo le delibere all’azione di nullità, proponibile senza limiti di tempo da chiunque vi abbia interesse.
La riforma del condominio ha accentuato il disfavore del legislatore per le figure di nullità delle deliberazioni assembleari: l’art. 1137 c.c. configura l’impugnazione delle delibere condominiali come azione di «annullamento». Con la disposizione dell’art. 1137 c.c., il legislatore ha elevato la categoria dell’annullabilità a “regola generale” dell’invalidità delle deliberazioni assembleari, confinando così la nullità nell’area della residualità e della eccezionalità.
La nullità delle delibere è l’eccezione
Per il Supremo collegio i casi di nullità sono limitati a:
- mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali (volontà della maggioranza, oggetto, causa, forma), tale da determinare la deficienza strutturale della deliberazione: è il caso, ad es., della deliberazione adottata senza la votazione dell’assemblea;
- impossibilità dell’oggetto, in senso materiale (ossia la concreta possibilità di dare attuazione a quanto deliberato) o in senso giuridico (ove l’assemblea straripi dalle attribuzioni ad essa conferite dalla legge);
- contenuto illecito della deliberazione assembleare che, pur essendo stata adottata nell’ambito delle attribuzioni dell’assemblea, risulti contraria a “norme imperative”, “ordine pubblico” o “buon costume” (art. 1343 c.c.).
Soluzione del contrasto sulle delibere che ripartiscono le spese condominiali
Per le Sezioni Unite (sent. 9839/2021) le delibere in materia di ripartizione delle spese condominiali 1) sono nulle per impossibilità giuridica dell’oggetto se l’assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condomini, da valere – oltre che per il caso oggetto della delibera – anche per il futuro; mentre 2) sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi nel singolo caso deliberato.
Questa la spiegazione del Supremo Collegio: le attribuzioni dell’assemblea in tema di ripartizione delle spese condominiali sono circoscritte alla verifica ed all’applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge (art. 1135, nn. 2 e 3, c.c.) e non comprendono il potere di introdurre modifiche ai criteri legali di riparto delle spese, che l’art. 1123 c.c. consente solo mediante apposita convenzione tra tutti i partecipanti al condominio. Di conseguenza l’assemblea che deliberi a maggioranza di modificare, in astratto e per il futuro, i criteri previsti dalla legge o quelli convenzionalmente stabiliti (delibere c.d. normative) si troverebbe ad operare in difetto assoluto di attribuzioni.
Al contrario, non esorbita dalle attribuzioni dell’assemblea la deliberazione che si limiti a ripartire in concreto le spese condominiali, anche se la ripartizione venga effettuata in violazione dei criteri stabiliti dalla legge o convenzionalmente.
Una siffatta deliberazione non ha carattere normativo e non incide sui criteri generali, valevoli per il futuro, dettati dall’art. 1123 e ss. c.c. o stabiliti convenzionalmente, né è contraria a norme imperative; pertanto, tale delibera deve ritenersi semplicemente annullabile e, come tale, deve essere impugnata, a pena di decadenza, nel termine (trenta giorni) previsto dall’art. 1137, secondo comma, c.c.