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Diritto di accesso: tutti i documenti dell’anagrafe tributaria sono accessibili

Diritto di accesso: tutti i documenti dell’anagrafe tributaria sono accessibili. Secondo l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 19 del 25 settembre 2020 le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti comunque acquisiti dall’amministrazione finanziaria, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, e inseriti nelle banche dati dell’anagrafe tributaria costituiscono documenti amministrativi ai fini dell’accesso documentale difensivo, che può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile, e indipendentemente dall’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio del giudice civile nei procedimenti in materia di famiglia.

Con questa storica pronuncia, il collegio ha quindi precisato che l’accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell’anagrafe tributaria può essere esercitato dall’interessato mediante estrazione di copia.

I documenti accessibili

Nel caso rimesso alla Adunanza Plenaria vengono in rilievo i documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, acquisiti e conservati nell’anagrafe tributaria gestita dall’Agenzia delle entrate. In particolare, le banche dati dell’anagrafe tributaria includono: la banca dati reddituali (che contiene tutte le dichiarazioni presentate dai contribuenti comprese eventuali dichiarazioni sostitutive o integrative), la banca dati imposte registro (che contiene la registrazione di atti scritti di qualsiasi natura produttivi di effetti giuridici) e l’archivio dei rapporti finanziaria.

Come prima cosa il Supremo Consesso di Giustizia Amministrativa chiarisce che in base all’art. 1, comma 1, d.P.R. n. 605 del 1973, l’anagrafe tributaria raccoglie e ordina i dati e le notizie risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce presentate agli uffici dell’amministrazione finanziaria e dai relativi accertamenti, nonché i dati e le notizie che possono assumere comunque rilevanza ai fini tributari; con riferimento all’archivio dei rapporti finanziari, alla luce di quanto disposto dall’art. 6, comma 7, d.P.R. n. 605 del 1973 deve ritenersi che le dichiarazioni, le comunicazione e gli atti acquisiti dall’amministrazione finanziaria e i relativi dati inseriti e conservati nell’anagrafe tributaria rientrano nella nozione di documenti amministrativi, rilevante ai fini dell’accesso documentale, in quanto preordinati all’esercizio, a norma dell’art. 1, comma 2, d.P.R. n. 605 del 1973, delle funzioni istituzionali dell’amministrazione finanziaria, sebbene non siano atti  formati da quest’ultima.

Rapporto fra accesso difensivo e potere d’ufficio del giudice nei procedimenti in materia di famiglia

La questione centrale affrontata nella pronuncia riguarda i rapporti tra l’istituto dell’accesso documentale difensivo e lo strumento processuale delineato dall’art. 155-sexies disp. att. c.p.c., con il quale sono stati ampliati i poteri istruttori del giudice ordinario ai fini della ricostruzione della situazione patrimoniale ed economico-finanziaria delle parti processuali nei procedimenti in materia di famiglia, attraverso lo strumento di cui all’art. 492-bis c.p.c., costituito dall’accesso, con modalità telematiche, ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari. La questione si inquadra nella più generale problematica costituita dai rapporti tra accesso documentale e strumenti di acquisizione dei documenti amministrativi nel processo civile, sia ai sensi degli artt. 210, 211 e 213 c.p.c., sia secondo la particolare disciplina introdotta in materia di famiglia.

In particolare, l’art. 22, comma 2, l. n. 241 del 1990 precisa che “L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza”;la funzione dell’accesso trova poi una più compiuta definizione nel successivo comma 3, il quale stabilisce il principio generale di accessibilità agli atti, ad eccezione di quelli indicati all’art. 24, commi 1, 2, 3, 5 e 6.

Nell’ultimo comma, l’art. 24 indica un’autonoma funzione dell’accesso, precisando che deve “comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.

L’’utilizzo dell’avverbio “comunque”, chiarisce la Plenaria, è espressione della volontà del legislatore di non limitare la funzione dell’accesso alla sola prospettiva della partecipazione, dell’imparzialità e della trasparenza, ma conferma la tesi che esistano, all’interno della fattispecie giuridica generale, due anime che vi convivono, di cui quella relativa all’accesso difensivo può addirittura operare quale eccezione al catalogo di esclusioni previste per l’altra, salvi opportuni temperamenti in sede di bilanciamento in concreto dei contrapposti interessi.

La logica difensiva è costruita intorno al principio dell’accessibilità dei documenti amministrativi per esigenze di tutela e si traduce in un onere aggravato sul piano probatorio, nel senso che grava sulla parte interessata l’onere di dimostrare che il documento al quale intende accedere è necessario o addirittura strettamente indispensabile se concerne dati sensibili o giudiziari, per la cura o la difesa dei propri interessi.

I giudici amministrativi superano così anche la barriera dei documenti ritenuti inaccessibili.

Dalle disposizioni in materia di accesso, continua l’Adunanza Plenaria,  emerge una disciplina dell’accesso difensivo nel senso di: “a) esigere la sussistenza del solo nesso di necessaria strumentalità tra l’accesso e la cura o la difesa in giudizio dei propri interessi giuridici (v. art. 24, comma 7, legge n. 241/1990 e s.m.i.); b) ricomprendere, tra i destinatari, tutti i soggetti privati, ivi compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, senza alcuna ulteriore esclusione (art. 22, comma 1, lettera d), con formula replicata dall’art. 2, comma 1, d.P.R. n. 184/2006); c) circoscrivere le qualità dell’interesse legittimante a quelle ipotesi che – sole – garantiscono la piena corrispondenza tra la situazione (sostanziale) giuridicamente tutelata ed i fatti (principali e secondari) di cui la stessa fattispecie si compone, atteso il necessario raffronto che l’interprete deve operare (…) circoscrive esattamente l’interesse all’accesso agli atti in senso corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata. In questo modo, l’accesso di un privato agli atti reddituali, patrimoniali e finanziari di un altro soggetto privato sarà strettamente ancorato e non fuoriuscirà dalla necessità della difesa in giudizio di situazioni riconosciute dall’ordinamento come meritevoli di tutela.

Nei sistemi processualcivilistico e amministrativistico, la situazione legittimante all’accesso è autonoma e distinta da quella legittimante l’impugnativa giudiziale e dal relativo esito, con la conseguenza che il diritto di accesso difensivo non è riducibile a un mero potere processuale, è strumentale alla difesa di una situazione giuridica tutelata dall’ordinamento ed è azionabile dinanzi al giudice amministrativo, a prescindere dalla circostanza che la situazione giuridica finale si configuri come diritto soggettivo o interesse legittimo, e che quindi rientri nell’ambito di giurisdizione del giudice amministrativo e di quello ordinario.

L’accesso difensivo non presuppone necessariamente l’instaurazione o la pendenza in concreto di un giudizio, a causa della rilevata autonomia della situazione che la legittima. Lo stesso art. 24, comma 7, l. n. 241 del 1990, nel contemplare sia la necessità di curare sia di difendere un interesse giuridicamente rilevante, lascia intendere la priorità logica della conoscenza degli elementi che occorrono per decidere se instaurare un giudizio e come costruire a tal fine una strategia difensiva, con la conseguenza che l’accesso documentale difensivo non necessariamente deve sfociare in un esito contenzioso in senso stretto. In ogni caso risulta evidente l’esigenza delle parti di acquisire già in sede stragiudiziale e nella fase preprocessuale la conoscenza dei fatti rilevanti ai fini della composizione della res controversa.

In merito alla differenza tra accesso agli atti e strumenti di acquisizione probatoria previsti dal codice di procedura civile, il Collegio così chiarisce: “l’accesso difensivo ha una duplice natura giuridica, sostanziale e processuale. La natura sostanziale dipende dall’essere una situazione strumentale per la tutela di una situazione giuridica finale; la natura processuale consiste nel fatto che il legislatore ha voluto attribuire un’azione alla pretesa di conoscenza, rendendo effettivo e giuridicamente tutelabile e giustiziabile l’eventuale illegittimo diniego o silenzio; viceversa, gli strumenti di acquisizione probatoria si muovono esclusivamente all’interno del processo; sono soggetti alla prudente valutazione del giudice; eventuali rigetti non sono autonomamente impugnabili o ricorribili, potendo gli eventuali vizi dell’istruttoria rilevare come motivi di impugnazione della sentenza”;

Pertanto, l’eventuale rigetto dell’istanza di esibizione di un documento della pubblica amministrazione in sede giudiziale non si pone in contrasto con gli artt. 22 ss. l. n. 241 del 1990, perché le due disposizioni operano su piani diversi, avendo la l. n. 241 del 1990 assunto l’interesse del privato all’accesso ai documenti come interesse sostanziale, mentre l’acquisizione documentale ai sensi dell’art. 210 c.p.c. costituisce esercizio di un potere processuale e l’acquisizione del documento resta pur sempre subordinata alla valutazione della rilevanza dello stesso, ai fini della decisione, da parte del giudice, al quale spetta di pronunciarsi sulla richiesta istruttoria ai sensi dell’art. 210 c.p.c..

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