Coniuge e convivente: il punto della Cassazione sull’equiparazione. Una recente sentenza della Sezioni unite della Cassazione (Sez. Un. 17 marzo 2021, n. 10381) sull’applicabilità dell’art. 384, comma 1 c.p., sottolinea la rilevanza del legame tra i conviventi ripercorrendo la disciplina dell’istituto, tra diritti e doveri dei conviventi, equiparazione ai coniugi ed ai prossimi congiunti. Ecco una sintesi dei punti fondamentali dell’attuale disciplina, dopo gli interventi del legislatore e della giurisprudenza.
Prova della convivenza: convivenze registrate e non registrate
La convivenza è un rapporto di fatto, la cui prova può essere data con ogni mezzo, anche con il fatto notorio. La coabitazione è un indice rilevante e ricorrente della presenza di una famiglia di fatto, ma non è un elemento imprescindibile, la cui mancanza, di per sé, è da considerare determinante al fine di escludere la configurabilità della convivenza (Cass. 7128/2013); quello che rileva è la duratura e significativa comunanza di vita e di affetti.
La L. 76/2016 (art. 1, comma 37) afferma che la stabilità della convivenza può essere accertata anche attraverso la dichiarazione anagrafica di cui all’art. 4, e all’art. 13, comma 1, lett. b), del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (Regolamento anagrafico della popolazione residente). Tale dichiarazione che, secondo alcuni, avrebbe istituito il nuovo genere di convivenze registrate (contrapposte alle convivenze non registrate), secondo l’opinione dominante, aderente alla lettera della legge, non ha valenza costitutiva della convivenza ma di forte elemento di prova, fermo restando che la convivenza può comunque essere dimostrata attraverso qualsiasi mezzo di prova.
Equiparazione tra convivente e coniuge
In molte disposizioni di legge si rinviene la parola “coniuge” riguardo al riconoscimento di diritti e all’attribuzione di obblighi. Al convivente possono estendersi le norme relative al coniuge?
Ciò potrebbe sicuramente discendere da una lettura aperta delle nozioni di famiglia e di coniugio, in linea non solo con il costume sociale ma anche con il diritto euro-unitario. Il legislatore italiano con la L. 76/2016 (e già in precedenza con alcuni interventi settoriali) non ha inteso seguire questa strada, ma ha espressamente indicato le norme e gli istituti per i quali opera tale estensione.
In particolare, il convivente è per legge equiparato al coniuge riguardo a:
- diritto di visita al convivente detenuto (casi previsti dall’ordinamento penitenziario);
- diritto di visita e di assistenza in caso di malattia o di ricovero;
- diritto di accesso alle informazioni personali in caso di malattia o di ricovero, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate;
- nomina quale rappresentante per le decisioni in materia di trattamenti sanitai (L. 219/2017) o di donazione di organi, trattamento del corpo e celebrazioni funerarie;
- nomina come tutore, curatore o amministratore di sostegno;
- diritto al risarcimento per decesso del convivente, derivante da fatto illecito di un terzo;
- facoltà di astenersi dal rendere dichiarazioni nel processo penale (art. 199 c.p.p., comma 3, per il convivente dell’imputato);
- possibilità di presentare domanda di grazia al Presidente della Repubblica in favore del condannato (art. 681 c.p.p.)
- esclusione dall’assicurazione obbligatoria r.c.a. (art. 129, comma 2, lett. b), D.Lgs. 209/2005).
Secondo la Cassazione (Sez. Un. Penali 10381/2021) l’individuazione di queste ipotesi non è certo tassativa e non può significare una implicita contrarietà del legislatore alla possibilità di riconoscere altri diritti in favore dei conviventi per effetto di interventi della giurisprudenza che estendano l’applicazione delle norme sul coniuge.
Diritti del convivente
E infatti soprattutto nella giurisprudenza, sia civile che penale, che si assiste ad una progressiva e continua tendenza a garantire analoghi diritti alle convivenze di fatto. A titolo esemplificativo,
Nella giurisprudenza civile:
- fruizione di congedi e permessi ex 104/1992 e d.lgs. 151/2001 (v. Corte cost. 213/2016; Circolare INPS 38/2017);
- assegnazione della casa familiare in presenza di prole (Cass. 10102/2004);
- danno parentale da uccisione di un prossimo congiunto ai membri della famiglia naturale, a condizione che gli interessati dimostrino la sussistenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra essi e la vittima (tra le tante, Cass. 12278/2011);
Nella giurisprudenza penale:
- ammissione al gratuito patrocinio per i non abbienti (tra le tante, Cass. 15715/2015, in cui la Corte di cassazione ha preso in considerazione tra i redditi dei familiari anche quello del convivente more uxorio;
- costituzione di parte civile, dove si è precisato che la lesione di qualsiasi forma di convivenza, purché dotata di un minimo di stabilità tale da fondare una ragionevole aspettativa di un futuro apporto economico, rappresenta legittima causa petendi di un’azione risarcitoria proposta dinanzi al giudice penale competente per l’illecito che ha causato detta lesione (tra le altre, Cass. 33305/2002; Cass. 19487/2013);
- diritto all’inviolabilità del domicilio, con il riconoscimento anche al convivente dell’esercizio del diritto di esclusione (Cass. 6419/1974);
- attenuante della provocazione e causa di non punibilità ex 649 c.p., con riguardo a soggetti legati da un vincolo non matrimoniale, ma comunque caratterizzato da una convivenza duratura, fondata sulla reciproca assistenza e su comuni ideali e stili di vita (Cass. 12477/1985; Cass. 32190/2009).
Il convivente si può considerare prossimo congiunto (Cass. Sez. Un. pen. 17-3- 2021, n. 10381)
Il codice civile non dà una definizione di congiunti, mentre il codice penale contiene una definizione ben precisa: agli effetti della legge penale, s’intendono per i prossimi congiunti gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti: nondimeno, nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole (art. 307 c.p.).
Si è perciò affermato, in generale, che nel termine congiunti non sono automaticamente compresi i conviventi, salvo che non sia espressamente specificato dalla legge.
L’espressione “prossimi congiunti” è utilizzata dalla legislazione emergenziale (v. D.P.C.M. 26-4-2020) riguardo alla possibilità di incontrare non solo parenti, affini e coniuge, ma anche conviventi, fidanzati stabili e affetti stabili, come è stato necessario specificare proprio a causa dell’indeterminatezza della definizione.
Tuttavia, il recente orientamento della Cassazione penale (Sez. Un. 10381/2021), ai fini della inclusione nel novero dei prossimi congiunti, sottolinea la rilevanza del legame affettivo tra conviventi.
La questione trae origine dall’ambito di applicazione della norma sui casi di non punibilità di cui all’art. 384 c.p., comma 1, c.p. L’articolo afferma che, per alcune fattispecie di reato, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto. Stando a quanto si è detto, in assenza di un richiamo specifico, la norma in questione non si applicherebbe al convivente, non potendo questi essere automaticamente annoverato tra i congiunti, ai sensi dell’art. 307 c.p.
Ma per la Cassazione penale non è così.
Per quanto qui interessa, la Cassazione individua la ratio dell’art. 384, comma 1, c.p. nell’istituto alla conservazione della propria libertà e del proprio onore (nemo tenetur se detegere) e nell’esigenza di tener conto, agli stessi fini, dei vincoli di solidarietà “familiare” che si manifestano anche nel rapporto di convivenza. Con la norma in questione il legislatore ha inteso infatti tutelare i motivi di ordine affettivo, i riflessi psicologici della situazione esistenziale che il soggetto si trova a vivere tra il dovere di collaborare e di dire la verità, e il desiderio o la volontà di non danneggiare il prossimo congiunto.
Questo conflitto è identico per il convivente, il coniuge, la parte dell’unione civile e non può essere scriminante la “forma” della relazione affettiva (convivenza, matrimonio, unione civile).
La valorizzazione del rapporto affettivo tra i conviventi compiuta dalle Sezioni Unite penali, attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle norme e il richiamo al diritto euro-unitario, consente di apprezzare la relazione tra conviventi nell’ambito del legame tra congiunti, pur in assenza di una espressa citazione nell’art. 307 c.p.
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Articolo in collaborazione con Maria Francesca Mazzitelli.