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Recidiva zero: l’obiettivo del CNEL e del Ministero della giustizia

Recidiva zero, il progetto del CNEL e del Ministero

Il neonato progetto “Recidiva zero. Studio, formazione e lavoro in carcere”, partito a giugno 2023, è stato al centro del Convegno del 16 aprile 2024 organizzato dal Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) e dal Ministero della giustizia.

Prima di analizzare il progetto, vediamo cos’è la recidiva e perché è così importante prevenirla.

La recidiva

Quanto agli effetti, la recidiva rientra tra le circostanze aggravanti perché, una volta contestata e accertata, produce un aumento della pena che varia a seconda del tipo. Non esiste, infatti, un solo tipo di recidiva.

Per il codice penale, la recidiva può essere:

  • semplice, se il condannato, dopo la condanna per un delitto non colposo, ne commette un altro
  • aggravata. Nello spettro della recidiva aggravata rientrano: la recidiva specifica, (il secondo delitto è della stessa indole del precedente); recidiva infraquinquennale (il nuovo delitto è commesso entro cinque anni dalla precedente condanna); la recidiva vera (il nuovo delitto è commesso durante l’esecuzione della pena) e, infine, la recidiva finta (il delitto è commesso quando il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena)
  • reiterata, se il nuovo reato è commesso da un soggetto già recidivo

Come abbiamo anticipato, il “costo” della recidiva viene pagato da chi commette il reato, perché subisce un aumento della pena che può variare da un terzo fino a due terzi, e dallo Stato, che dimostra il fallimento nell’opera di risocializzazione del condannato. L’aumento di pena è dovuto proprio al fatto che la precedente condanna non ha dato prova di scoraggiare il soggetto dal tornare a delinquere: il condannato non ha imparato nulla dall’applicazione della pena.

La pena, infatti, deve avere anche la funzione di rieducare chi commette reati e di agevolare il reinserimento in società.

L’Italia, però, ha anche un altro problema: il sovraffollamento delle carceri.

Aumentato a partire dagli anni settanta, il sovraffollamento è costato allo Stato diverse sanzioni soprattutto da parte dell’Unione europea.

L’esigenza di ridurre i numeri della popolazione carceraria è stato sentito in modo particolare durante la pandemia da Covid-19, quando il sovraffollamento impediva il distanziamento sociale e metteva in pericolo la salute dei detenuti e del personale penitenziario. Resta tutt’ora uno dei problemi principali del sistema giudiziario nel suo complesso, insieme con quello connesso alla durata eccessiva dei processi.

Il sovraffollamento, è evidente dai dati, non è aiutato dalla recidiva. Se, infatti, gran parte dei detenuti torna a commettere reati, la pressione sugli istituti penitenziari non riesce a diminuire.

Vediamo alcuni dati rilasciati proprio dal Consiglio nazionale di economia e lavoro (CNEL).

Secondo il Consiglio, il 68.7 % dei detenuti torna a delinquere (circa 2 su 3). Anche secondo Antigone, associazione che si occupa di detenuti, il tasso di recidiva il numero di reati per detenuto è circa 2,37. Quanto alla percentuale di detenuti che lavorano, dai dati emerge che questi sono circa 1 su 3.

I dati cambiano drasticamente se si considerano solo i detenuti che hanno svolto percorsi di formazione o di lavoro in carcere: il tasso di recidiva per questi ultimi è pari solo al 2%.

Le ricerche dimostrano che c’è una forte relazione tra il lavoro e le possibilità di commettere crimini: all’aumento dei tassi di disoccupazione, aumentano i crimini. È un dato che i detenuti, che partecipano a programmi di formazione in carcere e che trovano un lavoro sia durante l’esecuzione della pena che dopo la sua fine, hanno un tasso di recidiva più basso di chi non partecipa a tali programmi.

Ridurre la recidiva, dunque, potrebbe aiutare anche a ridurre notevolmente il problema del sovraffollamento carcerario. Ciò avrebbe un impatto positivo per lo Stato, perché ogni detenuto ha un costo elevato, per i detenuti, perché in una situazione drammatica di sovraffollamento la pena non può svolgere la funzione di rieducazione e di prevenzione, e, più in generale, per la sicurezza di tutti i cittadini. 

Il progetto “Recidiva zero”

Il Ministero della giustizia e il CNEL hanno sottoscritto il primo accordo per il programma “Recidiva zero” il 13 giugno 2023. Il programma ha l’obiettivo di ridurre drasticamente il tasso di recidiva, sviluppando all’interno degli istituti penitenziari programmi specifici per l’inserimento nel mondo del lavoro dei carcerati.

L’obiettivo, a dir poco ambizioso, dovrebbe essere raggiunto attraverso la sottoscrizione di una serie di intese (in particolare tra CNEL e Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), per attivare i nuovi programmi di formazione e lavoro all’interno delle strutture penitenziarie.

Ad oggi, sono stati sottoscritti già accordi con molti enti e associazioni, tra cui il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, la Cassa delle Ammende, con l’Anci e la Conferenza dei Presidenti delle Regioni, nonché la Luiss.

Secondo il Presidente del CNEL, Renato Brunetta, la recidiva può essere azzerata con «il lavoro dentro e fuori il carcere, con la sua giusta remunerazione, con l’istruzione e la formazione. La riabilitazione e il reinserimento dei detenuti è un obiettivo difficile ma raggiungibile». Il progetto è quindi perfettamente in linea con la funzione rieducativa della pena e con i principi costituzionali.

Anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha espresso il suo sostegno al progetto, sottolineando come la formazione e il lavoro siano una concreta occasione di reinserimento sociale dei detenuti una volta usciti dal carcere.

L’obiettivo è dunque quello di promuovere la piena occupazione dei detenuti, per ridurre la recidiva e anche per dare un contributo all’economia.