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Libertà di espressione, censura e social network

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In questo articolo analizziamo il rapporto tra libertà di espressione e censura.
Libertà di espressione e censura sono infatti sempre più spesso al centro della cronaca, anche a causa dell’utilizzo dei social network.

Quotidianamente leggiamo e ascoltiamo episodi di cronaca che riguardano la volontà, più o meno marcata, di impedire la libertà di manifestazione del pensiero altrui: dal caso Scurati in RAI alle contestazioni a  Eugenia Roccella, Ministro per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, dalle manifestazioni pro Palestina alle contestazioni contro Elena Cecchettin.

Tutti gli episodi citati, estremamente diversi tra loro (e tutti gli altri che non abbiamo citato), hanno in comune una cosa: giornalisti, opinionisti, commentatori nel raccontarli hanno utilizzato parole come «censura» o «contestazione» e hanno descritto queste azioni come atti di «violenza», fino a suggerire addirittura una lesione della Costituzione e dei suoi principi. Emerge quindi in modo forte in rapporto tra libertà di espressione e censura

Proviamo prima di tutto a dare alle cose un nome corretto. Per farlo, dobbiamo in primo luogo stabilire qual è (se c’è) un confine tra il concetto di censura e quello di contestazione. Dopo averlo fatto, potremmo analizzare la libertà di manifestazione del pensiero e come questa è cambiata con l’avvento dei social network.

Censura e contestazione

Iniziamo con una premessa necessaria. Il termine «censura» non è generico ma, anzi, identifica un comportamento ben preciso, cioè quello di un organo di potere che controlla e verifica che determinate opere non offendano lo Stato, la morale o la religione.
Tale termine, abusato sui social e anche dai giornalisti, è stato utilizzato per quasi tutti i casi citati e per molti altri ancora ma, vista la definizione riportata, le proteste portate avanti da gruppi di manifestanti pro Palestina e anche il caso Scurati non possono essere qualificati come censura, in quanto non realizzati da un organo di potere.

Il termine censura ha comunque anche un senso astratto che indica una critica severa delle azioni altrui o delle altrui opere.

Al contrario, il termine «contestazione» descrive in modo più accurato questi episodi connotati dalla forte critica delle opinioni altrui. La contestazione è, infatti, un’azione o una manifestazione di protesta e critica rivolta a persone o organismi che può esprimersi anche in modo radicale.
Anche la contestazione è una forma di manifestazione del pensiero, ma è necessario capire se incontra dei limiti. Sicuramente l’atteggiamento di chi rende impossibile la normale prosecuzione di un intervento (come avvenuto nel caso Roccella) viola la libertà di espressione. Può dirsi che quando un soggetto o un gruppo disturbano o interrompono un relatore che sta tenendo un discorso, è preferibile utilizzare il termine contestazione al posto del più forte (e a questo inappropriato) censura.

Censura e contestazione eliminano o limitano fortemente la libertà di manifestazione del pensiero. Vediamo dunque quali sono i confini di tale libertà e quali i casi in cui la limitazione è lecita.

La libertà di manifestazione del pensiero: l’articolo 21 della Costituzione 

La libertà di esprimere il proprio pensiero è un valore centrale dell’ordinamento costituzionale. L’art. 21, infatti, garantisce a tutti la facoltà di esprimere il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, cioè comunicare liberamente. La garanzia della libertà di pensiero e della sua manifestazione è una condizione necessaria per la vita della democrazia.

Garantire la libertà di espressione, però, non implica impedire la possibilità di contestare ciò che si dice. Al diritto di manifestare il proprio pensiero, corrisponde infatti il diritto altrui a dissentire. La libertà di manifestazione del pensiero si basa sul fatto che le idee e il pensiero devono formarsi liberamente. Le idee così formate possono essere espresse o meno: un altro lato della libertà di manifestazione del pensiero è quello di non voler diffondere o condividere il proprio pensiero.

Libertà di espressione è anche libertà di non manifestare alcuna idea.
La libertà di espressione è garantita anche dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, che garantisce a ogni individuo il diritto alla libertà di opinione e di espressione, ma aggiunge anche che tale diritto implica anche il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere (art. 19).

A questo punto, dopo aver chiarito cos’è la libertà di manifestazione del pensiero e qual è la differenza tra censura e contestazione, possiamo finalmente analizzare l’influenza che internet e i social network hanno avuto su questa libertà.

Libertà di espressione e social network 

Quotidianamente sui social network si assiste a uno scambio sempre più violento su alcuni temi.

L’avvento e la diffusione di internet e dei social sembra aver reso più facile far nascere e crescere conflitti intorno ad alcuni temi. Tutti sentiamo la necessità di condividere la nostra opinione e questo spesso deve avvenire  in poche battute. Proprio gli spazi ridotti e la mancanza rendono difficile (se non impossibile) articolare un pensiero: le sfumature sono eliminate e le posizioni sempre più polarizzate.

Alcuni recenti avvenimenti (come ad esempio la guerra in Ucraina e quella a Gaza) si prestano particolarmente a facili polarizzazioni e sono infatti quelli che più di ogni altro sono ormai da settimane al centro del dibattito.

Libertà di esprimersi vs dovere di esprimersi: il virtue signalling e digitine 

Abbiamo detto che essere liberi di esprimersi vuol dire anche sentirsi liberi di non rendere nota e diffondere la propria opinione. Eppure, l’avvento dei social network ha accentuato la tendenza a sentire la necessità, quasi il bisogno, di far sapere come la si pensa su qualsiasi cosa. Questo bisogno di «posizionarsi», di essere parte di uno dei gruppi le cui opinioni si contrappongono, è sempre più evidente, tanto da aver generato fenomeni nuovi. Vediamo quali.

Con l’espressione virtue signalling si fa riferimento all’atteggiamento con cui una persona ostenta di aderire ad alcuni valori morali o di caldeggiare alcune cause che riscuotono il consenso della società. E’ fondamentalmente un’espressione utilizzata con accezione negativa, poiché sottintende un atteggiamento falso o ipocrita. Diametralmente contrapposto è il cd. «digitine», nuovo fenomeno social che interessa e «punisce» gli influencer che non prendono posizione.
Il termine digitine, neologismo formato dalla crasi tra i termini «digital» e «guillotine»  (cioè ghigliottina digitale), indica quindi la tendenza a bloccare in massa gli influencer che non parlano del conflitto a Gaza. La campagna ha colpito personaggi come Selena Gomez, Zendaya, la sempre attenzionata Taylor Swift e molti altri.

La pressione fatta su personaggi famosi per spingerli a posizionarsi rappresenta una pratica lesiva della libertà di manifestazione del pensiero.

Di libertà di manifestazione del pensiero parliamo approfonditamente nel nostro compendio di Diritto Costituzionale e anche nella nostra costituzione esplicata.