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Suicidio assistito: la Corte costituzionale si pronuncia di nuovo

Corte costituzionale suicidio assistito

Il 18 luglio 2024 la Corte costituzionale si è pronunciata di nuovo sul tema del suicidio assistito. Il deposito della sentenza 135/2024 è stato accompagnato dalla diffusione di un comunicato stampa.

L’evoluzione della discussione sul tema del fine vita in Italia ha origini antiche: casi diventati celebri, grazie soprattutto all’interesse dei mass media, hanno ciclicamente dato linfa al dibattito su questo tema. Pensiamo ai tristemente noti casi di Eluana Englaro, Piergiorgio Welby e DJ Fabo. Tutti hanno in comune due cose: la tragedia umana alla base della notizia e la polarizzazione politica che questa ha suscitato.

In questo articolo proviamo a fare delle riflessioni sulla tematica del fine vita e del suicidio assistito, approfittando degli spunti forniti dalla sentenza 135/2024 della Corte costituzionale.

Il fine vita   

Quando si parla di fine vita, spesso si utilizzano termini come «suicidio medicalmente assistito», «eutanasia» e «testamento biologico». Questi termini, come accade quasi sempre nel linguaggio giuridico, non sono sinonimi. Tutti portano con sé importanti riflessioni di carattere bioetico, poiché si collegano a situazioni nelle quali la morte non sopraggiunge in modo naturale, ma con l’aiuto di un intervento umano.

Prima di andare avanti, facciamo quindi chiarezza su questi termini:

  • l’eutanasia, letteralmente «morte buona», è una morte procurata intenzionalmente e in modo indolore. Nell’eutanasia, la persona sceglie di morire quando è cosciente e in grado di capire le conseguenze della sua richiesta. In Italia l’eutanasia è un reato (omicidio del consenziente), perseguibile ai sensi dell’art. 579 del codice penale;
  • con il suicidio assistito, invece, una persona che ne fa richiesta si somministra da sola un farmaco letale. Anche in questo caso, il richiedente deve essere in pieno possesso delle sue capacità cognitive. In Italia, dove non esiste ancora una legge approvata dal parlamento in materia, la pratica del suicidio assistito è consentita dal 2019, grazie alla sentenza numero 242 della Corte costituzionale. In quell’occasione, la Corte costituzionale si è pronunciata sul tema del suicidio assistito per la prima volta;
  • il testamento biologico è la dichiarazione che un soggetto può fare in previsione di una sua eventuale futura incapacità di mente. La L. 219/2017 ha introdotto la possibilità per tutti di esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, fino al punto di rifiutare un trattamento sanitario salvavita in anticipo.

Ora approfondiamo il tema del suicidio medicalmente assistito, cuore della pronuncia della Corte costituzionale depositata il 18 luglio.

Il suicidio assistito e il reato di istigazione al suicidio

Il suicidio assistito è prima di tutto una pratica medica. Chi è affetto da una malattia terminale o da una condizione irreversibile e insopportabile, grazie a questa pratica, riceve assistenza per porre fine alle proprie sofferenze.

A garantire il suicidio assistito, come detta, in Italia non è una legge, ma la sentenza 242/2019 della Corte costituzionale. La Corte, infatti, nel 2019 si è pronunciata sul caso DJ Fabo, soprannome con cui era conosciuto Fabiano Antoniani.

Il caso. DJ Fabo,  affetto da tetraplegia e cecità a seguito di un incidente stradale, aveva espresso la volontà di morire a 40 anni. Il suo desiderio è stato realizzato grazie all’aiuto di Marco Cappato, attivista per i diritti civili dell’associazione Luca Coscioni, che nel 2017 lo ha accompagnato in Svizzera. Al ritorno in Italia, Marco Cappato si è presentato dai Carabinieri per autodenunciarsi e nei suoi confronti è iniziato un procedimento penale. L’attivista è stato infatti accusato del reato di istigazione al suicidio, previsto dall’art. 580 c.p.

È prima di tutto necessaria una premessa: nell’ordinamento italiano, come in quasi tutti gli altri, il suicidio non è punibile, tuttavia molti ordinamenti prevedono la possibilità di incriminare il soggetto che fornisce un aiuto al suicidio.

L’Italia non fa eccezione. L’art. 580 del codice penale punisce, infatti, chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione. Diverso dal reato di aiuto al suicidio è quello di omicidio del consenziente, disciplinato dall’art. 579. In base a tale ultimo articolo, è punibile chiunque causa la morte di un essere umano con il suo consenso.

In relazione al tema del fine vita i due reati potrebbero essere facilmente confusi, è quindi il caso di precisarne i confini. Chi uccide una persona consenziente è l’”autore” dell’uccisione, mentre chi aiuta altri a suicidarsi compie solo degli atti preparatori. In entrambi i casi, il soggetto attivo del reato vuole la morte, ma nel secondo caso è la vittima ad eseguire l’azione. La differenza tra i due reati è quindi data dall’aspetto del controllo che la vittima mantiene sull’azione.

La sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul suicidio assistito

La decisione della Corte sull’art. 580 c.p. e sul caso DJ Fabo arrivò, come abbiamo anticipato, solo nel 2019, a due anni dalla morte di Fabiano Antoniani. Ciò avvenne perchè l’allora Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, chiese alla Corte del tempo per poter presentare un disegno di legge in Parlamento e dare così una disciplina appropriata al suicidio assistito.

Decorso inutilmente il termine di un anno concesso al Parlamento per approvare una legge sul suicidio assistito, è intervenuta la pronuncia di incostituzionalità.

La sentenza 242/2019 della Corte Costituzionale ha rappresentato una svolta cruciale nel panorama giuridico italiano. La Corte ha, infatti, stabilito che, in determinate condizioni, l’aiuto al suicidio non è punibile. Tali condizioni sono:

  1. l’irreversibilità della patologia;
  2. la presenza di sofferenze intollerabili del paziente, che deve sopportare dolori fisici o psicologici che reputa insopportabili;
  3. la dipendenza da macchinari o terapie di sostegno vitale;
  4. la capacità di prendere decisioni in modo libero e consapevole. Il paziente deve essere in possesso della capacità di intendere e volere e deve prendere decisioni autonome e informate.

In quell’occasione, i giudici della Corte hanno richiamato principi e procedure dettagliate nella L. 219/2017, relativa al testamento biologico e hanno provveduto a dichiarare parzialmente illegittimo l’articolo 580 c.p.

La legge sul testamento biologico, più precisamente relativa alle disposizioni anticipate di trattamento, consente infatti ai pazienti di rifiutare trattamenti medici, anche se necessari per la sopravvivenza, e di esprimere le proprie volontà attraverso le disposizioni anticipate di trattamento (DAT).

L’articolo 580 c.p. è stato, dunque, dichiarato illegittimo costituzionalmente nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola il proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona che versa nelle condizioni indicate. Per escludere la punibilità è anche necessario che l’accertamento delle condizioni e le modalità di esecuzione siano verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente. Come si può facilmente immaginare, tale procedura è molto lunga e, non essendoci una legge nazionale che ne scandisce tempi e fasi, le tempistiche possono variare molto.

La sentenza 135/2024 della Corte costituzionale sul suicidio assistito

Nel 2024, a distanza di 6 anni dalla concessione al Parlamento di un termine per elaborare una legge nazionale sul fine vita, la Corte costituzionale è tornata a pronunciarsi sul suicidio medicalmente assistito con la sentenza del 18 luglio 2024. Perdura, infatti, l’assenza di una legge che regola questa materia.

La Corte costituzionale ha ribadito e chiarito i requisiti stabiliti dalla sentenza del 2019. In particolare, la Corte ha affrontato le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice per le indagini preliminari di Firenze, che miravano a estendere l’area della non punibilità del suicidio assistito.

Il caso. Sotto processo c’erano tre persone che hanno aiutato un paziente con sclerosi multipla a morire. Il paziente, pur essendo affetto da patologia irreversibile, vivendo in una condizione di grave sofferenza ed essendo capace di intendere, non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale. Il G.I.P. ha quindi chiesto alla Corte di pronunciarsi nuovamente sul fine vita, eliminando il requisito della dipendenza da trattamenti di sostegno vitale poiché questo, ad avviso del giudice per le indagini preliminari, è in contrasto con alcuni principi costituzionali (eguaglianza, autodeterminazione terapeutica, dignità e rispetto della vita privata).

La Corte ha confermato i requisiti per l’accesso al suicidio assistito, che restano quelli stabiliti nella precedente pronuncia. In particolare, i giudici hanno ribadito che la sentenza del 2019 non ha riconosciuto un generale diritto di terminare la propria vita ma, alla luce della L. 219/2017, ha riconosciuto il diritto di rifiutare un trattamento di sostegno vitale. Rientrano tra i trattamenti di sostegno vitale anche procedure meno invasive (come l’evacuazione manuale o l’aspirazione del muco).

Resta, dunque, compito delle strutture del servizio sanitario nazionale verificare l’esistenza delle condizioni per il suicidio assistito già stabilite dalla sentenza del 2019.

La Corte ha ribadito l’importanza di bilanciare il diritto all’autodeterminazione con il dovere di tutela della vita umana. Anche in questa occasione, i giudici della Corte costituzionale hanno sottolineato che il compito di individuare il punto di equilibrio più appropriato tra il diritto all’autodeterminazione e il dovere di tutela della vita umana spetta prioritariamente al legislatore, che però non riesce a trovare una maggioranza politica in grado di affrontare finalmente questo tema così delicato, nonostante i due solleciti della Corte costituzionale.

L’intervento della Consulta è quindi fondamentale per tutelare chi, affetto da patologie incurabili, ha scelto di morire, ma la mancanza di una legge specifica rimane una lacuna dell’ordinamento.

Nell’assenza dell’intervento del legislatore nazionale, alcune Regioni stanno provando a discutere e approvare leggi regionali sul fine vita. Un caso interessante è stato quello del Veneto, tra le prime Regioni a discutere una legge sul fine vita. Il provvedimento, che aveva ottenuto anche il sostegno del Presidente Luca Zaia, non è stato approvato per un solo voto.

 

Se vuoi approfondire altri argomenti di diritto penale o di diritto costituzionale, consigliamo la lettura dei Compendi di diritto penale e di diritto costituzionale. Affianca sempre lo studio con la lettura del Codice e della Costituzione.