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Annullamento di un bando di concorso pubblico: chi vince e chi perde

Annullamento di un bando di concorso pubblico

La recente sentenza della IV sezione del Consiglio di Stato n. 9488 del 26 novembre 2024 ha sollevato tanto clamore nel mondo dei concorsi pubblici. La sentenza, infatti, ha disposto l’annullamento giurisdizionale di due bandi di concorso per l’assunzione di personale presso l’Amministrazione centrale (specificamente, Ministero della Difesa e Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste).

In realtà la decisione giurisdizionale citata, oltre che sotto un profilo giuridico (che pure rileva), è importante perché fa emergere una situazione incresciosa che apre la strada a numerosi interrogativi e che comporta conseguenze di non poco conto per tutti coloro che si avvicinano ai concorsi con l’idea di realizzare il sogno del cd. “posto fisso”.

Il principio di diritto enunciato dai giudici

Il nodo centrale della questione sollevata innanzi al giudice amministrativo riguarda la possibilità per la pubblica amministrazione di bandire un nuovo concorso pubblico nonostante la presenza di (precedenti) graduatorie valide ed efficaci.

Dalla ricostruzione fatta dai giudici risulta che i due concorsi pubblici incriminati sono stati indetti con bandi pubblicati nelle date del 29 dicembre 2023 e del 28 dicembre 2023, in un periodo in cui la precedente graduatoria di idonei era ancora vigente, essendo stata pubblicata il 14 gennaio 2022. In merito è importante ricordare che l’art. 35, comma 5ter, D.Lgs. 165/2001 (Testo unico pubblico impiego) prevede espressamente che le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di due anni dalla data di approvazione.

Come si legge nella sentenza tale circostanza è centrale per la decisione della controversia e per valutare la legittimità dei bandi del 2023: della stessa l’amministrazione avrebbe dovuto tener conto nell’adozione dei bandi, poi annullati.

In punto di diritto, infatti, se è vero che la presenza di precedenti graduatorie valide ed efficaci non è in assoluto preclusiva all’indizione di un nuovo concorso pubblico, è altrettanto vero che in tale circostanza, per poter avviare una nuova procedura concorsuale, l’amministrazione avrebbe dovuto rispettare il limite insuperabile della motivazione.

Cosa che non è avvenuta nel caso esaminato.

Il problema sollevato non è nuovo e la decisione del Consiglio di Stato si inserisce in un solco già tracciato.

In sostanza nel nostro ordinamento vige il principio per cui la regola generale è costituita dallo scorrimento delle graduatorie ancora valide ed efficaci, mentre l’indizione di un nuovo concorso costituisce l’eccezione, che deve essere sorretta da un’apposita e approfondita motivazione.

Già in precedenza i giudici amministrativi (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, n. 14/2011) avevano fissato due importanti principi in materia, che poi sono diventati capisaldi nella giurisprudenza successiva:

  • l’amministrazione, una volta stabilito di procedere alla copertura di posti vacanti, deve sempre motivare in ordine alle modalità prescelte per il reclutamento, dando conto, in ogni caso, dell’esistenza di eventuali graduatorie degli idonei ancora valide ed efficaci al momento dell’indizione del nuovo concorso;
  • nel motivare l’opzione preferita, l’amministrazione deve tenere nel massimo rilievo la circostanza che l’ordinamento afferma un generale favore per l’utilizzazione delle graduatorie degli idonei, che recede solo in presenza di speciali discipline di settore o di particolari circostanze di fatto o di ragioni di interesse pubblico prevalenti, che devono, comunque, essere puntualmente enucleate nel provvedimento di indizione del nuovo concorso.

D’altronde il favore verso una decisione di “scorrimento” di una graduatoria valida ed efficace risponde alla finalità primaria di ridurre i costi dovuti alla gestione di una procedura selettiva e quindi realizza un risparmio di denaro pubblico.

Dal punto di vista normativo anche l’art. 3 della L. 241/1990 depone nel senso anzidetto. L’obbligo di motivazione, infatti, ha una portata generale e vale per tutti i provvedimenti amministrativi, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi e il personale.

Nel caso dei concorsi ministeriali esaminati oggi dai giudici nulla di tutto questo è accaduto, per cui l’annullabilità dei bandi era una decisione inevitabile.

Vincitori e vinti

Come si è visto, dunque, dal punto di vista giuridico la sentenza n. 9488/2024 non introduce alcuna novità nell’orientamento affermatosi fino ad oggi sull’argomento.

Certamente, però, è una decisione che lascia “l’amaro in bocca” in chi la legge e soprattutto in coloro che sono direttamente interessati dalla vicenda.

Indubbiamente “vincitori” della controversia sono quei candidati idonei, ma non vincitori, inseriti nelle graduatorie relative alla precedente procedura concorsuale, che nella sentenza trovano accolte le loro osservazioni relative ad un comportamento illegittimo dei Ministeri; “vinti” sono tutti quei candidati che hanno partecipato ai nuovi concorsi e che, arrivati in dirittura d’arrivo, vedono sfumare una concreta possibilità lavorativa.

Proprio con riferimento a questi ultimi viene da chiedersi in che modo potranno essere risarciti delle spese sostenute per partecipare al concorso, in primis dei dieci euro che obbligatoriamente sono stati versati per la partecipazione, nonché delle aspettative create (“fondate” per chi era arrivato alla fine della procedura); e, a questo punto, se un candidato, prima di presentare una domanda per un concorso debba verificare se ci siano tutte le condizioni per il suo svolgimento (considerato che nella fattispecie l’impedimento era “a monte” della procedura) per evitare di incorrere in una situazione che, incolpevolmente, si traduce in una perdita di tempo e denaro.

Ma “sconfitti” sono soprattutto i Ministeri interessati che, come si legge nella sentenza, nell’adozione dei provvedimenti avrebbero dovuto tenere in specifica considerazione la circostanza che vi fossero delle graduatorie ancora valide ed efficaci: una “distrazione” di non poco conto!

Con riferimento al dovere degli amministratori di garantire il regolare svolgimento dei concorsi, in attuazione dei principi dell’art. 97 della Costituzione, e al costo sostenuto per avviare (e concludere) una procedura (che non andava avviata oppure che poteva essere avviata ma con idonea motivazione) certamente dovranno essere chiarite le responsabilità poste a tutela dell’interesse pubblico (cioè dell’intera collettività) all’utilizzo efficiente e ponderato delle risorse pubbliche.

Cosa succederà adesso? Bisogna solo aspettare e vedere come le amministrazioni interessate proveranno a sbrogliare questa matassa.

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