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Una boccata d’aria per i detenuti al 41bis: la Corte costituzionale scuote il «carcere duro»

Corte costituzionale 41bis

Il 18 marzo la Corte costituzionale ha depositato la sentenza 30/2025, con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 41bis della legge sull’ordinamento penitenziario. Come di consueto, la Corte ha rilasciato anche un comunicato.

La pronuncia segna un importante punto di svolta per il regime detentivo speciale del cd. «carcere duro», previsto appunto dal citato articolo 41bis.

Questo articolo è dedicato alla decisione della Corte e alle conseguenze che questa avrà sulla vita dei detenuti. Non è tuttavia possibile comprendere la sentenza senza aver chiara la differenza tra i diversi tipi di regime detentivo previsti dalla legge sull’ordinamento penitenziario e cosa sono i cd. «gruppi di socialità» ai quali i giudici costituzionali fanno riferimento.

Regime ordinario, sorveglianza speciale e carcere duro

Il sistema penitenziario italiano si basa sulla L. 354/1975, cioè la legge sull’ordinamento penitenziario, che si ispira ai principi di riadattamento sociale del condannato, umanizzazione del trattamento penitenziario e tutela dei detenuti. La legge prevede diverse modalità di esecuzione della pena, pensate per rispondere alle differenti esigenze di trattamento e sicurezza.

Vediamo quindi quali sono i regimi di trattamento previsti dalla normativa.

Il regime ordinario

Il regime ordinario è la modalità standard di detenzione, prevista per la maggior parte dei detenuti adulti. Questo regime si basa sui concetti di rieducazione e reinserimento sociale dei detenuti e garantisce – almeno sulla carta – diritti e opportunità volti a favorire il percorso di recupero del condannato.

Tra questi diritti, un ruolo cruciale riveste la possibilità di trascorrere del tempo all’aria aperta. L’art. 10 dell’ordinamento penitenziario stabilisce che ai detenuti è concesso di permanere all’aria aperta per un tempo non inferiore a quattro ore al giorno. La permanenza può essere ridotta per giustificati motivi, ma non può comunque essere inferiore a due ore. La decisione relativa all’eventuale riduzione spetta al direttore dell’istituto. Questa impostazione è frutto della riforma del 2018, che ha modificato il più punti la L. 354/1975.

È importante sottolineare che, nel regime ordinario, la permanenza all’aperto avviene in gruppi indistinti, favorendo la socializzazione e la possibilità di svolgere attività fisica.

La sorveglianza particolare e le criticità intramurarie

Diverso dal regime ordinario è il regime di sorveglianza particolare, disciplinato dall’art. 14bis dell’ordinamento penitenziario. Questo regime viene applicato a quei detenuti che, con i loro comportamenti, compromettono la sicurezza o turbano l’ordine all’interno degli istituti, impediscono, con violenza o minaccia, le attività degli altri detenuti o internati, o che si avvalgono dello stato di soggezione degli altri detenuti.

Si tratta di una misura di carattere disciplinare, la cui durata non può superare i sei mesi, sebbene sia prorogabile. Per i detenuti sottoposti a questo regime, l’art. 14quater prevede una permanenza all’aperto di almeno due ore al giorno, riducibile a un’ora solo per motivi eccezionali.

La Corte costituzionale, nella sentenza 30/2025, ha tenuto a distinguere nettamente questo regime dal carcere duro, sottolineando la sua natura disciplinare e la sua autonomia funzionale. Il regime di sorveglianza particolare, comunque, può anche concorrere con il regime dell’art. 41bis.

Il «carcere duro» e il regime speciale del 41bis

Il regime previsto dall’articolo 41bis rappresenta la misura più restrittiva all’interno del sistema penitenziario italiano, tanto da essere comunemente definito «carcere duro».

La sua ratio principale non è tanto punitiva, quanto preventiva: con esso il legislatore punta ad impedire che detenuti appartenenti ad organizzazioni criminali, mafiose o terroristiche mantengano i contatti con l’esterno e continuino a impartire ordini o influenzare le attività illecite.

Per raggiungere questo obiettivo, il regime 41bis impone una serie di restrizioni significative. Ad esempio, isolamento in celle singole e forte limitazione della socialità all’interno di gruppi ristretti e selezionati dall’amministrazione penitenziaria, cioè i cosiddetti «gruppi di socialità».

I gruppi di socialità sono gruppi di detenuti, stabiliti dall’amministrazione carceraria, che hanno la funzione di garantire la socialità dei detenuti. I detenuti in regime di 41bis possono interagire esclusivamente con gli appartenenti al proprio gruppo di socialità.

Fino alla recente sentenza della Corte costituzionale, questo regime prevedeva anche una limitazione della permanenza all’aperto a non più di due ore al giorno, in gruppi non superiori a quattro persone.

La sentenza 30/2025 della Corte costituzionale

Con la sentenza 30/2025 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 41bis per violazione degli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione.

In primo luogo, la Corte ha stabilito che la limitazione a due ore della permanenza all’aperto non risponde in modo efficace all’obiettivo del regime 41bis, cioè «evitare che gli esponenti dell’organizzazione in stato di detenzione, sfruttando il normale regime penitenziario, possano continuare ad impartire direttive agli affiliati in stato di libertà». Tale funzione, come ribadito dalla Corte, è dunque quella di impedire i collegamenti con l’esterno degli esponenti delle organizzazioni criminali. Questo obiettivo è garantito attraverso l’accurata selezione dei componenti dei «gruppi di socialità» e dalle misure che impediscono la comunicazione tra gruppi diversi.

Secondo i giudici, la durata della permanenza all’aperto, di per sé, non incide significativamente sulla capacità di mantenere contatti illeciti, soprattutto considerando che i detenuti appartenenti allo stesso gruppo hanno comunque diverse occasioni per comunicare tra loro. Pertanto, la Corte ha concluso che la norma censurata impone un surplus di punizione irragionevole, non giustificato da reali esigenze di sicurezza.

La finalità rieducativa della pena e il contrasto con l’art. 27 Cost.

La limitazione a due ore del tempo da trascorrere all’aperto, non apportando, come visto, alcun beneficio in termini di sicurezza, contrasta anche con la finalità rieducativa della pena e può essere percepita come un trattamento contrario al senso di umanità.

La Consulta ha inoltre richiamato le raccomandazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), che sottolineano l’importanza di garantire adeguate ore di permanenza all’aperto per i detenuti. L’ampliamento delle ore all’aperto contribuisce infatti a rendere la condizione detentiva più rispondente al senso di umanità.

Se il gruppo di socialità è formato in modo efficace, il fatto che il detenuto trascorra all’aperto più di due ore non genera, né aumenta, il pericolo di contatti illeciti. Al contrario, se il gruppo è formato in modo inefficace, il fatto che il detenuto trascorra solo due ore all’aperto non riduce il rischio. Come si legge nella sentenza 30/2025, il divieto di stare all’aperto oltre la seconda ora, mentre comprime, in misura ben maggiore del regime ordinario, la possibilità per i detenuti di fruire di luce naturale e di aria, nulla fa guadagnare alla collettività in termini di sicurezza, alla quale viceversa provvede l’accurata selezione del gruppo di socialità.

Insomma, essenziale per la sicurezza non è il numero di ore trascorse all’aperto, ma la formazione del gruppo di socialità in cui inserire i singoli detenuti.

Le conseguenze dell’illegittimità costituzionale

Come conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale, la Corte ha stabilito che per i detenuti sottoposti al regime 41bis, che non siano anche sottoposti al regime di sorveglianza particolare, si applicherà la disciplina generale prevista dall’art. 10 dell’ordinamento penitenziario.

Questo significa che, in linea di principio, anche per loro varrà la regola delle almeno quattro ore di permanenza all’aperto al giorno, con la possibilità di riduzione a due ore solo per giustificati motivi. È importante inquadrare questa pronuncia nel più ampio dibattito sulla compatibilità del regime 41bis con i principi costituzionali e con gli standard internazionali in materia di diritti umani. La questione del tempo trascorso all’aperto, pur potendo sembrare un dettaglio, incide profondamente sul benessere psicologico e fisico dei detenuti, soprattutto in un contesto di forte isolamento.

La decisione della Corte costituzionale rappresenta un passo avanti verso un maggiore riconoscimento dei diritti fondamentali dei detenuti sottoposti al carcere duro.

Per approfondire, consigliamo la lettura del Compendio di diritto costituzionale e della Costituzione esplicata.

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