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La legittimità delle azioni israeliane contro la Global Sumud Flotilla e la Freedom Flotilla

La legittimità delle azioni israeliane contro la Global Sumud Flotilla e la Freedom Flotilla

Gli occhi del Mondo sono puntati sull’intesa raggiunta tra Hamas e Israele, che si spera possa costituire una solida base per una pace duratura ed equa in Palestina. In questo scenario, ha suscitato meno clamore mediatico l’annuncio dell’abbordaggio, da parte della marina militare israeliana, delle navi della Freedom Flotilla e di Thousand Madleens to Gaza. Queste ultime, infatti, stavano navigando verso le coste di Gaza per portare provviste e aiuti umanitari alla popolazione civile.

Tra gli attivisti fermati da Israele figurano anche nove italiani: sette di essi, dopo essere stati arrestati e detenuti temporaneamente nelle carceri israeliane, avrebbero firmato il foglio di via con cui accettano l’espulsione da Israele e dovrebbero, dunque, fare ritorno in Italia (come già avvenuto per i loro connazionali che avevano preso parte alla Global Sumud Flotilla). Vincenzo Fullone, portavoce della delegazione italiana della Freedom Flotilla Coalition, avrebbe invece deciso di affrontare il processo in Israele, per cui dovranno trascorrere ancora alcuni giorni prima del suo rimpatrio.

Sono legittime le azioni dello Stato d’Israele nelle acque antistanti la Striscia di Gaza? In questo articolo analizzeremo la vicenda su un piano prettamente giuridico-internazionale, per far emergere le norme rilevanti in materia sia di diritto umanitario sia di diritto del mare.

È legittimo il blocco navale aereo e terrestre imposto da Israele?

Una settimana dopo le vicende della Global Sumud Flotilla, le piazze italiane sono tornate a riempirsi di manifestanti pro-Flotilla nel pomeriggio dell’8 ottobre 2025 dopo che, all’alba di quello stesso giorno (ore 4:34 italiane), la marina israeliana ha abbordato le navi facenti parte della missione umanitaria di Freedom Flotilla Coalition e di Thousand Madleens to Gaza.

La vicenda non può che riaccendere la nostra attenzione sul blocco navale, aereo e terrestre che, a partire dal 2009, lo Stato d’Israele ha imposto sulla Striscia di Gaza. Il governo di Tel Aviv legittima le proprie azioni rifacendosi:

  • agli Accordi di Oslo del 1993, che avevano affidato a Israele il compito di garantire la sicurezza delle acque territoriali antistanti Gaza, dove palestinesi avrebbero continuato a esercitare unicamente attività a scopo civile quali la pesca;
  • all’Art. 23 della 4° Convenzione di Ginevra del 1949 (inerente alla protezione dei civili durante i conflitti armati), il quale consente agli Stati di imporre limitazioni al libero passaggio delle navi straniere qualora vi sia il sospetto che il nemico possa trarne evidente vantaggio per i suoi sforzi militari o la sua economia.

Tralasciando il riferimento agli Accordi di Oslo, i quali non hanno mai trovato piena applicazione, appare più opportuno concentrarsi sull’aspetto giuridico della questione. L’art. 23 della citata Convenzione, infatti, non consente a uno Stato di bloccare gli aiuti umanitari destinati alla popolazione civile, ma soltanto di dettare delle “condizioni tecniche” per assicurare che tali aiuti vengano effettivamente distribuiti ai beneficiari. Oltretutto, l’art. 23 in questione va letto in combinato disposto con l’art. 55 della 4° Convenzione di Ginevra del 1949 il quale, invece, sancisce espressamente il «dovere», da parte di una Potenza occupante, di assicurare l’approvvigionamento della popolazione. Pertanto, sotto il profilo del diritto umanitario, di cui le 4 Convenzioni di Ginevra del 1949 costituiscono il caposaldo, le azioni di Israele non trovano alcuna giustificazione ma, anzi, potrebbero prefigurare un «crimine contro l’umanità» ai sensi dell’art. 7 dello Statuto della Corte Penale Internazionale: si potrebbe parlare, in modo particolare, di «sterminio» che il suddetto articolo definisce come «il sottoporre intenzionalmente le persone a condizioni di vita dirette a cagionare la distruzione di parte della popolazione, quali l’accesso al vitto e alle medicine».

Il concetto di “acque internazionali”

Un ulteriore profilo giuridico che assume rilevanza rispetto alle vicende della Global Sumud Flotilla e della Freedom Flotilla è, inoltre, la “zona” in cui è avvenuto l’abbordaggio delle navi: nel primo caso, infatti, la marina militare israeliana ha fermato le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla a 70 miglia marine circa dalla Costa di Gaza, mentre nel caso della Freedom Flotilla le navi sono state abbordate a 120 miglia marine. In entrambi i casi, dunque, la marina israeliana ha agito nel mare libero (cd. acque internazionali). Tale porzione di mare non può essere assoggettata alla sovranità territoriale di nessuno Stato: qualsiasi nave che si trovi in acque internazionali è soggetta unicamente alla giurisdizione dello Stato di bandiera.

Dobbiamo, pertanto, concludere che le azioni portate avanti da Israele nelle acque antistanti la costa di Gaza costituiscono una violazione continuativa delle norme pattizie e delle consuetudini del diritto internazionale: sono, infatti, il frutto di una occupazione de facto che è stata riconosciuta come illegale anche dalla stessa Corte Internazionale di Giustizia con il parere consultivo reso nel 19 luglio 2024.

Lo Stato d’Israele non è, dunque, titolare di alcun diritto sovrano né sui territori né sulle acque palestinesi.