Gli articoli del D.L. 83/2012 (decreto-sviluppo) che commentiamo in questo volume sono un primo passo verso la cancellazione del diritto di difesa, che pur essendo previsto dalla Costituzione formale (art. 24) non è gradito ai mercati, che ormai plasmano la Costituzione materiale.
Dopo la legge di stabilità del novembre 2011, che ha introdotto una pena pecuniaria in presenza di istanze di sospensione delle sentenze di primo grado inammissibili o manifestamente infondate, il legislatore ha introdotto un filtro di ammissibilità per il giudizio di secondo grado.
L’art. 348bis c.p.c. stabilisce che fuori dei casi in cui l’inammissibilità o l’improcedibilità dell’appello deve essere pronunciata con sentenza, l’impugnazione va dichiarata inammissibile quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta.
È evidente che questa novità condizionerà pesantemente le strategie difensive delle parti, che dovranno tenere conto, nella stesura dell’atto d’appello, del giudizio prognostico formulato in limine litis dal giudice di secondo grado. Il giudizio di appello, infatti, è un giudizio prevalentemente documentale, che si fonda sugli atti del giudizio di primo grado, sull’atto di impugnazione e sulla comparsa di costituzione dell’appellato. Ciò significa che se in appello non si procede a una rinnovazione dell’attività istruttoria, i giudici d’appello decideranno sugli stessi atti sui quali si è basato il giudice di prime cure. Per superare il filtro in appello, allora, l’appellante non dovrà limitarsi a riproporre questioni già esaminate dal giudice di primo grado ma dovrà evidenziare questioni proposte ma non esaminate in primo grado.
Se la sentenza impugnata ha esaminato tutte le domande e le questioni dedotte, l’appellante, per superare il vaglio preventivo di ammissibilità, dovrà evidenziare ulteriori profili di interpretazione delle norme applicabili al caso concreto.
Se però la sentenza di primo grado ha fatto applicazione degli orientamenti giurisprudenziali dominanti, l’appellante, per avere qualche possibilità di esame nel merito del gravame, dovrà censurare gli aspetti più discutibili in punto di fatto, quali la valutazione delle prove, le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ecc.
Anche per quanto riguarda gli indennizzi da eccessiva durata del processo, il decreto-sviluppo mira a disincentivare l’utilizzo di questo rimedio. L’indennizzo, infatti, si attesta su cifre inferiori a quelle che in passato erano state fissate dalla giurisprudenza nazionale ed europea: è previsto, infatti, un indennizzo compreso tra 500 e 1.500 euro per ogni anno di ritardo, a fronte di cifre che, nel panorama giurisprudenziale, oscillavano tra 1.000 e 2.000 euro. Inoltre, è stato mantenuto il riferimento al limite della risorse disponibili nell’erogazione degli indennizzi, che nell’attuale momento storico equivale a rendere gli indennizzi più ipotetici che reali.
Il decreto-sviluppo, insomma, segna un intervento regressivo sul piano dell’effettività del diritto di difesa e della tutela giurisdizionale dei diritti, che da presidio democratico è diventata un fastidioso ostacolo per le imprese e i mercati. Un ulteriore segnale d’allarme in questa direzione è la riforma del diritto del lavoro messa a punto dalla ministra Fornero. Ma questa è un’altra storia…
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