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L’art. 111 della Costituzione, al comma 1, prescrive che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge» e al comma 2 che «Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata».
Tali disposizioni valgono anche per il processo tributario.
Ma cosa significa avere diritto ad un giusto processo? A parere di chi scrive, vuol dire, innanzitutto, avere diritto a un processo che si svolga dinanzi a un giudice indipendente e imparziale.
La legge delega per la riforma tributaria, n. 825 del 1971, all’art. 10, n. 14), stabiliva, in proposito, che il meccanismo di composizione delle Commissioni Tributarie fosse cambiato, onde garantire l’applicazione imparziale della legge, nonché l’autonomia e l’indipendenza del giudice tributario.
Solo con la riforma del 1992, del resto, agli artt. 1 e 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dissipando ogni residuo dubbio in ordine alla natura giurisdizionale dei componenti delle Commissioni Tributarie (e quindi in ordine alla necessità della sussistenza dei relativi caratteri di imparzialità ed indipendenza), si parla di vera e propria «giurisdizione tributaria».
L’art. 12 della l. 488/2001 fa segnare un ulteriore salto di qualità con l’abbandono del criterio dell’attribuzione giurisdizionale mediante enumerazione delle imposte e l’adozione di una formula astratta e generale.
L’art. 3-bis del d.l. 30 settembre 2005, n. 203 (cosiddetto «Collegato fiscale alla Finanziaria 2006»), a decorrere dal 3 dicembre 2005, realizza, infine, un ulteriore allargamento della giurisdizione tributaria.
Nella costruzione di un processo tributario vero e proprio la direttiva di base è stata, dunque, l’adeguamento del contenzioso tributario alla disciplina del processo civile. Ciononostante, a tutt’oggi, l’adeguamento alle regole processuali ordinarie non si è realizzato in modo compiuto: basti pensare al divieto di prova testimoniale, ai limiti previsti all’intervento in causa, o, infine, al meccanismo della pubblica udienza, che si svolge solo su espressa richiesta di una delle parti.
Se, dunque, rispetto a quando il processo tributario era considerato un mero contenzioso amministrativo, non si può negare che siano stati compiuti notevoli passi in avanti, resta però ancora lontano il traguardo di un effettivo giusto processo tributario.
Probabilmente, la causa va ricercata in un difetto di fondo: la giurisdizione tributaria non è esercitata da magistrati di ruolo, nominati per concorso pubblico per esami. Se, infatti, è possibile ammettere che una giurisdizione possa essere esercitata anche da giudici onorari (come, ad esempio, accade per i giudici di pace nel caso della giurisdizione civile), è difficile, invece, ammettere che una giurisdizione possa essere esercitata «solo» da giudici onorari, come appunto accade nel caso del processo tributario.
Un processo è veramente tale solo se i suoi protagonisti (il giudice e le parti) sono dei «professionisti» della materia, ad essa dedicati a tempo pieno.
Ciò che occorre oggi al difensore e alla parte pubblica non è del resto tanto (rectius: soltanto) la competenza «sostanziale» nella materia che forma oggetto del processo, ma anche la competenza processuale.
L’evoluzione del processo tributario nel senso sopra descritto si potrebbe mal conciliare con la regola generale, contenuta nell’art. 7, comma 1, del R.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, convertito nella l. 22 gennaio 1934, n. 36, relativa all’ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore, secondo cui «davanti a qualsiasi giurisdizione speciale la rappresentanza, la difesa e l’assistenza possono essere assunte soltanto da un avvocato ovvero da un procuratore assegnato ad uno dei Tribunali del distretto della Corte d’appello e sezioni distaccate, nel quale ha sede la giurisdizione speciale»?
Le stesse Agenzie fiscali e gli altri enti impositori presenti nel processo tributario, in base alla suddetta previsione, dovrebbero, del resto, essere assistiti da avvocati (o almeno da funzionari abilitati alla professione di avvocato).
Una modifica nella direzione di giudici togati tout court potrebbe, inoltre, contribuire a garantire effettivamente la terzietà ed imparzialità del giudice, eliminando il problema della compatibilità dell’esercizio della funzione giurisdizionale con le attività professionali. Nondimeno, attribuire, ad esempio, la giurisdizione tributaria a sezioni specializzate dell’autorità giudiziaria civile significherebbe, anche, travolgerla con migliaia di nuovi processi dall’elevato profilo tecnico, finendo per aggravare la crisi della giustizia ordinaria. Meglio sarebbe, allora, prendere spunto dalla positiva esperienza della Sezione Tributaria presso la Corte di Cassazione, che conferma come la specificità della materia fiscale imponga, accanto alla presenza di un soggetto qualificato che decide, quella di un soggetto, altrettanto qualificato, che assiste le parti, migliorando la qualità del contraddittorio.
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