Il cd. «Piano casa», recentemente varato dal Governo, ha cercato di rispondere, almeno in parte, alle problematiche connesse alla progressiva frammentazione sia degli interventi edilizi, che di quelli di recupero avutisi nel nostro Paese nell’ultimo trentennio. Sono così venute a delinearsi linee di intervento che, nell’ambito di un’azione teoricamente unitaria, interessano distinti campi d’azione, essendo volte non solo a favorire il rilancio dell’economia e a dare risposta ai bisogni abitativi delle famiglie, ma anche ad introdurre incisive misure di semplificazione procedurali dell’attività edilizia in generale.
Nell’ambito del nuovo «Piano» è, dunque, possibile ricondurre sia le singole previsioni già contenute negli artt. 11, 13 e 58 della «finanziaria estiva» dello scorso anno (D.L. 25-6-2008, n. 112, convertito nella L. 6-8-2008, n. 133, come modificata, da ultimo dalla L. 9-4-2009, n. 33, di conversione del D.L. 10-2-2009, n. 5), sia l’intesa sancita in sede di Conferenza Stato-Regioni e di Conferenza Unificata del 31 marzo 2009, pubblicata il successivo 1° aprile.
L’intervento governativo, avutosi con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 16-7-2009, assunto previo parere favorevole della Conferenza Stato-Regioni e Unificata, nonché delibera del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica), cui ha fatto seguito, tra l’altro, lo sblocco dei fondi da parte della Corte dei Conti, è stato, infatti, elaborato sulla base dell’accordo sottoscritto il 5 marzo 2009 dal Presidente della Conferenza delle Regioni ed il Ministro per i rapporti con le Regioni, concernente la «nuova politica per l’edilizia residenziale pubblica », e dell’Intesa del 31 marzo 2009. In questo ambito sono state definite le linee su cui deve muoversi l’intervento congiunto dello Stato, delle Regioni e dei Comuni sul tema «Piano-casa».
D’altronde, il biennio 2008/2009 è stato caratterizzato da una crisi finanziaria di livello internazionale, tanto profonda, quanto annunciata, che non ha mancato di coinvolgere anche il nostro Paese e che continuerà a spiegare i propri effetti negativi per almeno altri due anni.
Non stupisce, pertanto, che tra le varie manovre varate dal Governo per cercare di arginare tale crisi, ridare slancio all’economia italiana e favorire l’occupazione, si sia inserita anche quella collegata al «Piano casa» che, come già annunciato, segue due distinte linee di intervento, pur se entrambe collegate all’attività edificatoria e volte a dare risposta anche ai bisogni abitativi delle famiglie.
La prima misura, contenente il vero e proprio «Piano casa», è quella collegata all’edilizia residenziale pubblica, già prevista nella manovra finanziaria dell’estate 2008 e tendente al riammodernamento del patrimonio immobiliare pubblico ed alla costruzione di nuovi insediamenti urbani, onde consentire l’acquisto o la locazione dell’abitazione a famiglie in condizioni di disagio economico, anziani e giovani coppie. Questa misura vede l’intervento congiunto dello Stato, delle Regioni e dei Comuni, tutti soggetti istituzionali coinvolti nell’attuazione delle politiche abitative che nei prossimi anni si attueranno nel nostro Paese.
Anche la seconda misura prevede una collaborazione istituzionale tra lo Stato e le Regioni, chiamate ad emanare proprie leggi per disciplinare interventi edilizi migliorativi della qualità architettonica e/o energetica degli edifici unifamiliari e bifamiliari, da attuarsi tramite il loro ampliamento, ovvero la loro demolizione e ricostruzione. Si tratta di un intervento di natura straordinaria e temporalmente limitato, rispetto al quale le Regioni prevedono termini applicativi che variano dai diciotto ai ventiquattro mesi. Secondo le stime del Governo, se solo il 10% degli Italiani decidesse di avviare gli interventi previsti da questa seconda misura, gli investimenti sarebbero dell’ordine di 60/70 miliardi, circa quattro punti di Pil, venendo coinvolti oltre alle imprese edili anche tutto l’indotto collegato all’edilizia, dalle ditte fornitrici di materiali, ai professionisti e tecnici che sarebbero coinvolti nell’operazione.
È intuitivo anche lo sforzo logistico ed organizzativo al quale le amministrazioni locali saranno chiamate per gestire concretamente questa seconda linea di azione, poiché quel 10% di Italiani auspicato dal Governo potenzialmente si traduce in milioni di nuove istanze edilizie da esaminare ed istruire in un arco temporale limitato.
Si tratta, quindi, di un impatto senza precedenti che potrebbe mettere in crisi soprattutto i Comuni di minori dimensioni, assorbendone totalmente le risorse umane e strumentali e rendendo oggettivamente difficoltosa anche l’attività di vigilanza su quanto si andrà a realizzare, sia per ciò che attiene alla verifica della corrispondenza tra autorizzato e costruito, sia per quel che riguarda il regolare svolgimento dell’attività costruttiva, l’impiego di mano d’opera regolare e la sicurezza dei cantieri e dei luoghi di lavoro.
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