Capitolo 1 – Nozione, evoluzione e fonti del diritto del lavoro
“Il diritto del lavoro”
“Nozione, oggetto e finalità”
“Il diritto del lavoro è un insieme di norme che regolano il rapporto di lavoro, tutelando non solo l’interesse economico, ma anche la libertà, la dignità e la personalità del lavoratore. L’oggetto scientifico della materia è la disciplina dei rapporti di lavoro e delle relazioni giuridiche tra datore di lavoro e lavoratore”.
“Le partizioni del diritto del lavoro”
“Tradizionalmente si suole ripartire il diritto del lavoro in: diritto del lavoro in senso stretto, o diritto privato del lavoro, che comprende la materia oggetto del contratto e del rapporto di lavoro; legislazione sociale, o diritto pubblico del lavoro, ossia il complesso delle norme che regolano i rapporti tra lo Stato, i datori e i prestatori di lavoro; diritto sindacale, che concerne la materia dei rapporti sindacali, la contrattazione collettiva e l’autotutela sindacale”.
“L’evoluzione del diritto del lavoro”
“Dal codice civile del 1865 allo Statuto dei lavoratori”
“Il diritto del lavoro ha subito un’evoluzione significativa dal codice civile del 1865 fino allo Statuto dei lavoratori. Questo percorso ha visto l’introduzione di norme sempre più dettagliate e specifiche per la tutela dei lavoratori, anche e soprattutto di matrice costituzionale, che hanno segnato un punto di svolta nella legislazione del lavoro in Italia”.
“Le principali riforme degli ultimi anni”
“Negli ultimi anni, il diritto del lavoro ha visto l’introduzione di importanti riforme volte a modernizzare e rendere più flessibile il mercato del lavoro. Si segnalano il Jobs Act (legge 183 del 2014 e successivi decreti attuativi), il Decreto Lavoro (D.L. 48 del 2023, conv. in legge 85 del 2023), il Decreto Disabilità (D.Lgs. 62 del 2024) e il Collegato Lavoro (legge 203 del 2024), che hanno riguardato molteplici aspetti, tra cui la regolamentazione dei contratti di lavoro e le politiche attive per l’occupazione, nonché l’introduzione di istituti nuovi, come il contratto misto”.
“Classificazione delle fonti”
“Classificazione delle fonti”
“Le fonti del diritto del lavoro si classificano in tre gruppi principali: fonti internazionali o sovranazionali; fonti legislative statuali e regionali; fonti contrattuali collettive e individuali”.
“Fonti sovranazionali”
“Diritto internazionale”
“Le norme internazionali di origine consuetudinaria costituiscono fonti dirette del diritto del lavoro.
Le norme internazionali di natura pattizia (cioè i trattati) sono considerate, invece, fonti indirette in quanto devono essere ratificate con legge dello Stato per entrare a far parte dell’ordinamento giuridico italiano”.
“Diritto europeo”
“Il nucleo principale dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea è rappresentato dai trattati che hanno istituito le Comunità europee e l’Unione europea. A questi atti devono poi aggiungersi quelli che, nel corso del tempo, hanno modificato o integrato le disposizioni originarie facendo confluire le Comunità nell’Unione Europea. L’attività legislativa dell’Unione europea si traduce in atti che costituiscono le fonti del diritto europeo derivato e che possono essere distinte in fonti vincolanti, come i regolamenti, le direttive e le decisioni, e fonti non vincolanti, come la raccomandazione e il parere”.
“L’efficacia delle direttive dell’Unione europea”
“Le direttive dell’Unione Europea hanno un’efficacia vincolante per gli Stati membri, che sono tenuti a recepirle nel loro ordinamento giuridico. Con il recepimento le direttive producono effetti nel diritto interno, e la loro importanza è resa palese dal fatto che molti tra i più importanti provvedimenti in materia di lavoro costituiscono attuazione di direttive”.
“Fonti statuali e regionali”
“Fonti statuali e regionali”
“Le fonti legislative sono, in ordine gerarchico: la Costituzione; la legge ordinaria e gli atti aventi forza di legge; i regolamenti emanati dal Governo e le leggi regionali”.
“Fonti contrattuali individuali e sindacali”
“Fonti contrattuali individuali e sindacali”
“Le fonti contrattuali includono i contratti collettivi e individuali di lavoro. Nella contrattazione collettiva, i lavoratori e i datori di lavoro sono rappresentati dalle rispettive associazioni di categoria (sindacati e associazioni datoriali), mentre nel contratto individuale di lavoro l’accordo viene raggiunto direttamente tra il singolo datore di lavoro e il singolo prestatore di lavoro”.
“La consuetudine”
“La consuetudine”
“La consuetudine consiste nella ripetizione costante e uniforme di una determinata condotta, con la convinzione dell’obbligatorietà della condotta stessa (cd. usi normativi). Nella materia del lavoro, gli usi prevalgono sulle disposizioni di legge se più favorevoli al prestatore di lavoro”.
“La giurisprudenza costituzionale”
“La giurisprudenza costituzionale”
“Per l’attuazione dei principi della Costituzione in materia di lavoro, un ruolo significativo è svolto dalla Corte costituzionale, da sempre rivolta ad assicurare l’adeguamento delle norme di legge ai principi costituzionali. Le principali regole interpretative sono rappresentate dall’equità e dal principio del favor prestatoris”.
“L’individuazione delle fonti di disciplina del rapporto di lavoro in base al principio di territorialità”
“Se le parti non hanno scelto la legislazione da applicare, si applica il principio di territorialità, o principio della lex loci, in base al quale il contratto è disciplinato dalla legge del Paese in cui il lavoratore svolge abitualmente il suo lavoro in esecuzione del contratto”.
Capitolo 2 – La disciplina del contratto di lavoro subordinato
“Le caratteristiche del lavoro subordinato”
“Il lavoratore subordinato”.
“In base all’articolo 2094 del codice civile, il lavoratore subordinato è colui che si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
“La nozione di subordinazione”
“Il criterio maggioritario di identificazione della subordinazione fa riferimento al carattere dell’eterodeterminazione della prestazione, nel senso che il lavoratore subordinato esegue la prestazione dedotta in contratto secondo ordini, direttive e impostazioni impartite dal datore di lavoro o dai suoi collaboratori gerarchici”.
“Critica alla nozione tradizionale di subordinazione”
“La nozione tradizionale di subordinazione è stata oggetto di critiche, in quanto non sempre rispecchia la complessità delle moderne relazioni di lavoro. L’evolversi dei processi produttivi, anche per effetto di sempre nuove tecnologie telematiche ed informatiche, ha reso le mansioni del lavoratore sempre meno esecutive, con conseguente maggiore sfera di autonomia del prestatore nell’esecuzione delle stesse”.
“I criteri elaborati dalla giurisprudenza”
“La giurisprudenza ha individuato una serie di indici per facilitare la distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo nelle ipotesi in cui il vincolo di subordinazione non sia agevolmente apprezzabile. Tali indici, come ad esempio l’inserimento strutturale del lavoratore nell’organizzazione produttiva del datore e l’obbligo di osservare un orario di lavoro determinato, pur essendo sussidiari, cioè con rilievo secondario rispetto all’assoggettamento del lavoratore al potere di direzione e controllo del datore, sono considerati sintomatici della subordinazione, cioè se sono riscontrati nello svolgimento del rapporto di lavoro, possono essere valutati come indizi per rivelare la natura subordinata di un rapporto di lavoro”.
“L’apparato protettivo del lavoro subordinato”
“L’apparato protettivo del lavoro subordinato”
“Il lavoro subordinato è regolato da una disciplina garantista, prescrittiva e in gran parte inderogabile. Tra le principali norme di tutela, vi sono quelle riguardanti la retribuzione, la tutela previdenziale e assicurativa e la tutela contro i licenziamenti illegittimi”.
“La fonte del rapporto di lavoro subordinato. Il contratto individuale di lavoro”
“La fonte del rapporto di lavoro subordinato. Il contratto individuale di lavoro”
“Secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie, il contratto individuale di lavoro è fonte del rapporto di lavoro subordinato, in quanto per la sua costituzione è necessario un accordo tra le parti”.
“Le caratteristiche del contratto di lavoro subordinato”
“Le caratteristiche del contratto di lavoro subordinato”
“Il contratto di lavoro subordinato è: oneroso, essendo necessaria l’esistenza di una retribuzione che è la naturale controprestazione dell’attività lavorativa; sinallagmatico, trattandosi di contratto a prestazioni corrispettive; commutativo, nel senso che la legge e i contratti collettivi stabiliscono esattamente l’entità delle prestazioni e delle controprestazioni; eterodeterminato, poiché il suo contenuto è in gran parte predeterminato dalle disposizioni di legge e dai contratti collettivi”.
“La capacità dei soggetti contraenti”
“La capacità giuridica”
“La capacità giuridica consiste nell’attitudine giuridicamente riconosciuta ad essere titolare di diritti e obblighi e costituisce il necessario presupposto del contratto, ai fini della valida costituzione del rapporto di lavoro. Il datore di lavoro acquista la capacità giuridica con la nascita, o con il riconoscimento della personalità giuridica se si tratta di persona giuridica. Il lavoratore, invece, può accedere al lavoro al compimento dei 16 anni, salvo eccezioni previste dalla legge”.
“La capacità d’agire”
“Nel diritto del lavoro la capacità di agire designa la capacità di stipulare il contratto di lavoro e di esercitare i diritti e le azioni che ne discendono. Il datore di lavoro acquista la capacità d’agire al compimento dei 18 anni; secondo la dottrina prevalente il lavoratore, invece, acquista la capacità d’agire a 16 anni e quindi a questa età può stipulare il contratto di lavoro senza l’assistenza dei genitori o del rappresentante legale”.
“L’idoneità psico-fisica e tecnica”
“Parte della dottrina considera, come requisito autonomo, l’idoneità psico-fisica del lavoratore, cioè l’attitudine al lavoro dal punto di vista psico-fisico. L’idoneità tecnica è, invece, un ulteriore requisito che attiene alla capacità professionale necessaria per svolgere determinate attività e, in alcuni casi, è richiesta a pena di nullità del contratto”.
“I requisiti essenziali del contratto”
“I requisiti essenziali del contratto”
“I requisiti essenziali del contratto di lavoro, fondamentali per la validità dello stesso, sono l’accordo delle parti, la causa, l’oggetto e, quando richiesta a pena di nullità, la forma”.
“L’accordo delle parti e i vizi della volontà”
“L’accordo delle parti è essenziale per la costituzione del contratto di lavoro; la volontà espressa nell’accordo deve però essere libera e priva di vizi”.
“La forma”
“La forma del contratto di lavoro è generalmente libera, non essendo previste particolari modalità di manifestazione del consenso. Tuttavia, in determinate ipotesi la legge espressamente prevede casi di forma vincolata. In particolare, la forma scritta del contratto di lavoro o di alcune clausole dello stesso può essere richiesta a pena di nullità o soltanto a fini probatori”.
“La causa”
“La causa è considerata come la funzione economico-sociale che il contratto è diretto a realizzare
e, nel contratto di lavoro, si identifica nello scambio tra lavoro e retribuzione”.
“L’oggetto”
“L’oggetto del contratto è costituito dalla prestazione di lavoro e dalla retribuzione. In sostanza esso indica il contenuto delle rispettive prestazioni, del lavoratore e del datore, e comprende tutte le attività che possono essere ricondotte nel vincolo della subordinazione”.
“Gli elementi accidentali del contratto di lavoro”
“Gli elementi accidentali del contratto di lavoro”
“Gli elementi accidentali, come il termine e la condizione, non sono necessari all’esistenza del contratto di lavoro; tuttavia, una volta inseriti nel contratto, concorrono a definirne la struttura, ne diventano parte integrante e incidono sulla sua efficacia”.
“Il patto di prova”
“Il patto di prova”
“Il patto di prova designa la clausola apposta al contratto di lavoro, con cui le parti subordinano l’assunzione definitiva all’esito positivo di un periodo di prova. La sua funzione è verificare, nell’interesse reciproco del lavoratore e del datore, l’utilità della prosecuzione del lavoro”.
“Il contratto a tempo indeterminato, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti e le tipologie contrattuali speciali”
“Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”
“Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato rappresenta il modello standard di lavoro subordinato, ed è caratterizzato dalla stabilità, in quanto destinato a proseguire nel tempo, finché una delle parti non eserciti il recesso”.
“Il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti (CATUC)”
“Il CATUC è un normale contratto di lavoro subordinato che ha come peculiarità un diverso regime di tutela in materia di licenziamenti illegittimi per i lavoratori assunti dal 7-3-2015”.
“Le tipologie contrattuali speciali
“Il concetto di specialità può essere inteso in relazione a diversi aspetti, potendo la specialità derivare: dalla causa del rapporto, che può essere arricchita da ulteriori elementi rispetto al normale scambio tra prestazione di lavoro e retribuzione, come ad esempio avviene nell’apprendistato; dalla durata della prestazione di lavoro, che può essere temporalmente modulata, come ad esempio nel lavoro part-time; dal contesto in cui la prestazione di lavoro è resa, come nel lavoro domestico; dalla tipologia di attività dedotta in contratto, come nel portierato”.
“ Il lavoro agile”
“Caratteristiche e disciplina
“Il lavoro agile, o smartworking, è una particolare modalità di esecuzione della prestazione di lavoro subordinato, caratterizzata dalla flessibilità nel luogo e/o nell’orario di lavoro, consentendo al lavoratore di svolgere le proprie mansioni senza precisi vincoli di luogo di lavoro e di orario e con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici. L’avvio del lavoro agile deve avvenire sempre mediante accordo scritto tra le parti”.
“Tutela dei lavoratori”
“La tutela del lavoratore agile include la protezione della sua salute e sicurezza, la parità di trattamento economico e normativo rispetto ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda; la tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali, nonché il diritto alla disconnessione”.
“L’invalidità del contratto e la tutela dell’art. 2126 c.c.”
“L’invalidità del contratto e la tutela dell’art. 2126 c.c.
“La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non producono effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione. Nel caso, quindi, di un contratto di lavoro invalido (nullo o annullabile) che abbia comunque avuto esecuzione, l’articolo 2126 del codice civile fa salvi gli effetti prodotti dallo stesso per il tempo in cui ha avuto esecuzione. Tale tutela, però, non opera nel caso in cui l’invalidità del contratto deriva dall’illiceità dell’oggetto o della causa del contratto. Se, però, l’illiceità dell’oggetto o della causa deriva dalla violazione di norme che tutelano il prestatore, questi avrà diritto ugualmente alla retribuzione concordata”.
“La certificazione del contratto di lavoro”
“La funzione e l’ambito di applicazione della certificazione
“La certificazione del contratto di lavoro è un procedimento mediante il quale le parti possono far attestare che il contratto che si vuole sottoscrivere ha i requisiti di forma e contenuto richiesti dalla legge”.
“Gli organismi di certificazione”
“La certificazione è effettuata da apposite commissioni di certificazione, che possono essere costituite presso gli enti bilaterali, gli Ispettori territoriali del lavoro e le Province, le Università pubbliche e private e le Fondazioni universitarie, i Consigli provinciali dei consulenti del lavoro e la Direzione generale dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali del Ministero del Lavoro”.
“Il procedimento di certificazione”
“Il procedimento di certificazione ha carattere volontario, infatti l’avvio della procedura avviene con apposita istanza redatta per iscritto e sottoscritta da entrambe le parti del contratto di lavoro e presentata alla competente Commissione di certificazione”.
“Gli effetti della certificazione e i rimedi giurisdizionali”
“Gli effetti della certificazione, connessi alla natura del contratto di lavoro, permangono tra le parti del contratto e verso i terzi anche in caso di contenzioso, fino all’esito di un eventuale ricorso relativo alla certificazione stessa. Le parti e i terzi possono impugnare l’atto certificato nel caso in cui ritengano sussistente un errore di qualificazione o la difformità tra il programma negoziale dichiarato nella procedura di certificazione e quello effettivamente realizzato dalle parti. In caso di rigetto del ricorso, l’atto di certificazione è confermato e, quindi, il rapporto di lavoro tra le parti permane secondo la tipologia contrattuale certificata; in caso di accoglimento del ricorso, invece, si producono gli effetti del rapporto reale”.
Capitolo 3 – Lavoro autonomo, parasubordinazione e altre forme di lavoro
“Il lavoro autonomo”
“Ambito di operatività”
“Il lavoro autonomo consiste nel compimento di un’opera o di un servizio, con lavoro prevalentemente proprio, che il lavoratore svolge senza vincolo di subordinazione, verso un corrispettivo, nei confronti del committente”.
“Il Jobs Act del lavoro autonomo”
“Il Jobs Act del lavoro autonomo, cioè la legge 81 del 2017, ha introdotto nel nostro ordinamento un complesso di disposizioni dirette ad ampliare le tutele dei rapporti di lavoro autonomo. Ad esempio, si è previsto che la gravidanza, la malattia e l’infortunio dei lavoratori autonomi, che prestano la loro attività in via continuativa, non comportano l’estinzione del rapporto di lavoro che, su richiesta del lavoratore, rimane sospeso, senza diritto al corrispettivo, per un periodo non superiore a 150 giorni per anno solare, salvo che venga meno l’interesse del committente”.
“La parasubordinazione”
“La parasubordinazione”
“In alcuni casi, il lavoro autonomo può svolgersi con caratteristiche analoghe a quelle rinvenibili nel lavoro subordinato e quando ciò accade si parla comunemente di parasubordinazione. Tale categoria, di matrice dottrinale, ha ricevuto il primo riconoscimento legislativo nell’ambito del diritto processuale civile, quando la legge 533 del 1973, nel modificare l’articolo 409 del codice di procedura civile, ha esteso l’applicazione delle disposizioni sul processo del lavoro, tra l’altro, a tutti gli altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione d’opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”.
“Le collaborazioni coordinate e continuative”
“Il contrasto all’utilizzo fraudolento delle co.co.co.”
“Al fine di contrastare il diffondersi di forme di collaborazione fittizie, ossia volte esclusivamente ad eludere la disciplina del lavoro subordinato, era stato introdotto il lavoro a progetto, che costituiva una modalità operativa obbligatoria delle collaborazioni coordinate e continuative. Esse infatti non potevano essere attuate senza l’individuazione, nel contratto, di un progetto specifico, determinato dal committente e gestito autonomamente dal collaboratore. Il lavoro a progetto, tuttavia, è stato abrogato, ed è stato vietato dal 25 giugno 2015”.
“Co.co.co. genuine e co.co.co. fittizie”
“Le co.co.co. genuine sono collaborazioni che si concretano in una prestazione di opera continuativa e prevalentemente personale, nell’ambito della quale il collaboratore, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, organizza autonomamente l’attività lavorativa. Sono invece fittizie le collaborazioni che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali e continuative, le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, e sono quindi etero-organizzate. Alle co.co.co. etero-organizzate si applica, salvo eccezioni, la disciplina del lavoro subordinato, anche quando le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.
“Il lavoro tramite piattaforme digitali: la tutela dei riders che svolgono prestazioni di lavoro autonomo”
“Ambito di operatività”
“Il D.Lgs. 81 del 2015 prevede livelli minimi di tutela per i riders autonomi che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore, attraverso piattaforme anche digitali. Questa disciplina trova, tuttavia, applicazione soltanto qualora il rapporto non presenti le caratteristiche di etero-organizzazione, la cui presenza comporta l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato”.
“Norme minime di tutela”
“Tra le norme minime di tutela previste a favore dei riders vi sono quelle relative al compenso e alla copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”.
“Il lavoro gratuito”
“Il lavoro gratuito”
“Il lavoro gratuito è consentito solo in specifiche circostanze, come in caso di vincoli di parentela, di affetto o in caso di attività di volontariato”.
“ Il lavoro nell’impresa sociale”
“Il lavoro nell’impresa sociale”
“La qualifica di impresa sociale può essere acquisita da tutti gli enti privati che esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. I lavoratori operanti nell’impresa sociale hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi”.
“Le prestazioni occasionali”
“Disciplina”
“Le prestazioni occasionali sono definite dalla legge prendendo come punto di riferimento dei limiti di compenso massimi che, nel corso di un anno civile, possono essere, rispettivamente, percepiti dai prestatori ed erogati dagli utilizzatori. La legge prevede inoltre un limite di durata della prestazione occasionale, nonché ipotesi in cui non sono consentite.
La fruizione delle prestazioni occasionali è possibile mediante un’apposita piattaforma informatica INPS a cui gli utilizzatori e i prestatori devono registrarsi per svolgere i relativi adempimenti”.
“Acquisizione delle prestazioni occasionali: il libretto di famiglia (LF) e il contratto di prestazione occasionale (CPO)”
“Le prestazioni occasionali possono essere acquisite attraverso due modalità: il libretto di famiglia e il contratto di prestazione occasionale. Il libretto di famiglia è destinato alle persone fisiche che non esercitano attività professionale o d’impresa e viene utilizzato per il pagamento di prestazioni come giardinaggio, assistenza domiciliare a bambini, anziani o persone con disabilità. Tutti gli altri utilizzatori per i quali non è previsto il libretto di famiglia, cioè sostanzialmente i liberi professionisti e gli imprenditori, accedono alle prestazioni di lavoro occasionali mediante il contratto di prestazione occasionale”.
Capitolo 4 – La disciplina dei contratti di lavoro speciali
“ Il concetto di specialità”
“Il concetto di specialità”
“La specialità di alcuni contratti può derivare dalla durata della prestazione lavorativa, dalla causa del rapporto e dal contesto in cui la prestazione di lavoro viene resa”.
“ Il contratto di lavoro a tempo determinato”
“Funzione e disciplina del contratto di lavoro a termine”
“L’apposizione di un termine finale alla durata del contratto fa sì che il rapporto di lavoro subordinato sia sottoposto ad una scadenza prestabilita; al verificarsi del termine, quindi, il rapporto di lavoro si estingue automaticamente. In ciò si sostanzia la principale differenza rispetto al lavoro subordinato a tempo indeterminato, destinato per sua natura a proseguire nel tempo, finché una delle parti non eserciti il recesso”.
“La legittimità delle assunzioni a termine”
“Per la legittimità delle assunzioni a termine, la legge richiede in primo luogo che, nelle imprese con organico maggiore di 5 dipendenti, sia rispettato un numero massimo di contratti a termine, ferme restando eventuali differenti previsioni della contrattazione collettiva e alcune eccezioni di legge.
È inoltre previsto l’obbligo della forma scritta del contratto, che deve riportare il termine di scadenza del rapporto. In mancanza di forma scritta, l’apposizione del termine è priva di effetto e il lavoratore si intende assunto a tempo indeterminato”.
“Divieti”
“Esistono divieti specifici per l’utilizzo dei contratti a termine, come ad esempio per la sostituzione di lavoratori in sciopero o presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario in regime di integrazione salariale, che interessi lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a termine”.
“Il limite massimo di durata del contratto a termine”
“Al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a 12 mesi; tuttavia, il contratto può avere una durata superiore, ma comunque non eccedente i 24 mesi, solo in presenza di almeno una delle causali previste dalla legge, come ad esempio la sostituzione di lavoratori. Anche la durata dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale e indipendentemente dai periodi di interruzione tra un contratto e l’altro, non può superare i 24 mesi. Superato il limite dei 24 mesi, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, è prevista la trasformazione in contratto a tempo indeterminato”.
“Rinnovi e proroghe”
“Il datore di lavoro può rinnovare o prorogare il contratto di lavoro liberamente nei primi 12 mesi e, successivamente, solo in presenza di una delle causali previste dalla legge.
Inoltre, sia per la proroga che per il rinnovo del contratto a termine la legge prevede a tutela del lavoratore dei limiti. Ad esempio, in caso di rinnovo, salvo eccezioni di legge, il lavoratore può essere riassunto soltanto se il datore di lavoro rispetta precisi intervalli di tempo”.
“La prosecuzione del rapporto oltre la scadenza del termine”
“La legge ammette brevi prosecuzioni del rapporto oltre la scadenza del termine per consentire di ultimare le attività lavorative in corso. L’attività lavorativa può proseguire fino a 30 giorni se il contratto è di durata inferiore a 6 mesi, e fino a 50 giorni se il contratto è di durata pari o superiore a 6 mesi”.
“Il rapporto di lavoro: il trattamento economico e normativo dei lavoratori a termine”
“I lavoratori assunti a tempo determinato devono essere considerati come ogni altro lavoratore. Il rapporto di lavoro, infatti, soggiace alle regole generali del lavoro subordinato, per cui il prestatore a termine ha diritto al trattamento economico e normativo in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili e in proporzione al periodo lavorato”.
“Il diritto di precedenza”
“Per i lavoratori a tempo determinato il diritto di precedenza consiste nella possibilità di essere preferiti ad altri lavoratori nel caso in cui l’azienda proceda a nuove assunzioni a tempo indeterminato. Per il riconoscimento di questo diritto è necessario il rispetto di alcuni requisiti previsti dalla legge”.
“Regime delle impugnazioni e tutele”
“Nel caso di violazione della disciplina del lavoro a termine, è possibile impugnare il contratto di lavoro nel rispetto dei temini di legge”.
“Il contratto di apprendistato”
“Caratteristiche”
“Il contratto di apprendistato è un contratto di lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e all’occupazione dei giovani. La specialità del contratto di apprendistato deriva dalla causa del contratto, che è mista, cioè non solo scambio tra prestazione di lavoro e retribuzione, ma anche, e soprattutto, scambio tra attività lavorativa e formazione professionale, cui è tenuto il datore di lavoro”.
“Apprendistato per la qualifica e per il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore”
“Questa tipo di apprendistato, detto anche di primo livello, è finalizzato al conseguimento di un titolo di studio tramite un percorso formativo duale che si realizza, in parte, presso un’istituzione formativa, come ad esempio, un’istituzione scolastica che eroga la formazione esterna e in parte sul posto di lavoro, cioè presso un’impresa che eroga la formazione interna.
Con l’apprendistato di primo livello possono essere assunti i giovani dai 15 anni di età compiuti e fino al compimento dei 25 anni, salvo eccezioni di legge”.
“Apprendistato professionalizzante”
“Questa tipo di apprendistato, detto anche di secondo livello, è finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale a fini contrattuali. Con l’apprendistato di secondo livello possono essere assunti, in tutti i settori di attività, i giovani di età compresa tra i 18 e i 29 anni, salvo eccezioni di legge”.
“Apprendistato di alta formazione e di ricerca”
“Questa tipo di apprendistato, detto anche di terzo livello, è finalizzato al conseguimento di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, compresi i dottorati di ricerca, la specializzazione tecnica superiore, nonché al praticantato per l’accesso agli ordini professionali. Con l’apprendistato di terzo livello possono essere assunti, in tutti i settori di attività, i giovani di età compresa dai 18 ai 29 anni in possesso di un diploma di istruzione superiore o di un diploma professionale (o titolo equivalente)”.
“Disciplina del rapporto di lavoro”
“La disciplina del contratto di apprendistato è rimessa ad accordi interconfederali ovvero ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nel rispetto dei principi stabiliti dal decreto legislativo 81 del 2015, tra cui rileva ad esempio la necessità della forma scritta ai fini della prova e il divieto di retribuzione a cottimo. Al termine del periodo di formazione, le parti possono recedere dal contratto, dandone preavviso ma, in mancanza di recesso, il rapporto prosegue come un normale rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.
“L’assunzione degli apprendisti. Limiti”
“L’assunzione degli apprendisti segue le regole ordinarie valevoli per tutti i contratti di lavoro ma, in più, è soggetta ad un limite di contingentamento, cioè deve essere mantenuto un determinato rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati in organico. Inoltre, all’apprendistato professionalizzante si applica un limite di stabilizzazione nel caso in cui il datore di lavoro occupi almeno 50 dipendenti. In questa ipotesi, infatti, l’assunzione dei giovani è subordinata alla verifica che, nei 36 mesi precedenti, almeno il 20% degli apprendisti, o diversa percentuale prevista dalla contrattazione collettiva, sia stata mantenuta in servizio alla scadenza del contratto. In caso di violazione del limite di stabilizzazione, gli apprendisti assunti in sovrannumero sono considerati lavoratori subordinati a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”.
“Il mancato assolvimento dell’obbligo formativo”
“In caso di mancata attività di formazione, il datore di lavoro deve restituire, maggiorati, i benefici contributivi connessi all’assunzione di apprendisti. In particolare, nel caso in cui si accerti un grave inadempimento dell’obbligo formativo, tale da impedire la realizzazione delle finalità del contratto, imputabile esclusivamente al datore di lavoro, questi è obbligato a corrispondere agli istituti previdenziali la differenza tra la minore contribuzione versata e quella prevista per la qualifica da far raggiungere all’apprendista, maggiorata del 100%”.
“Il lavoro a domicilio”
“Il lavoro a domicilio”
“Il rapporto di lavoro a domicilio costituisce una particolare tipologia di lavoro subordinato, la cui specialità consiste nel fatto che la prestazione lavorativa, in luogo di essere eseguita nei locali dell’azienda e sotto il diretto controllo del datore di lavoro, si svolge presso il domicilio del lavoratore o in locali di cui questi abbia disponibilità. L’assenza di un coordinamento spaziale e temporale rende quindi meno pregnante il potere di direzione e controllo del datore di lavoro e pone il lavoratore a domicilio in una posizione di maggiore autonomia rispetto alla generalità dei lavoratori subordinati”.
“Il lavoro domestico”
“Il lavoro domestico”
“Il lavoro domestico è definito dalla dottrina come un rapporto di lavoro subordinato in cui l’attività lavorativa è svolta a favore di una comunità familiare o di comunità simili. Ulteriore caratteristica del lavoro domestico è che il luogo di lavoro è di regola l’abitazione del datore di lavoro.
La specialità del rapporto di lavoro domestico si rinviene, dunque, sia in riferimento all’ambiente lavorativo, in quanto la prestazione è svolta, con vincolo di subordinazione, nell’ambito di una comunità familiare o di comunità similari, sia con riferimento alla natura del datore di lavoro che è un soggetto privato non organizzato in forma di impresa”.
“Il portierato”
“Il portierato”
“Si definisce portiere, in senso stretto, il lavoratore subordinato preposto a servizi di vigilanza,
custodia e pulizia di uno stabile condominiale, abitato, cioè, da più proprietari o affittuari.
Il lavoro dei portieri è regolato da una normativa speciale, contenuta nel D.P.R. 1403 del 1971 e soprattutto dalla contrattazione collettiva. Il rapporto di lavoro si stabilisce tra il portiere e i proprietari del fabbricato che, nella persona Dell’amministratore condominiale, fungono da datore di lavoro”.
“ Il lavoro sportivo”
“Caratteristiche”
“È lavoratore sportivo l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara e ogni altro tesserato che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercitano attività sportiva verso un corrispettivo. Ricorrendone i presupposti, l’attività di lavoro sportivo può costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato oppure di un rapporto di lavoro autonomo, anche nella forma delle collaborazioni coordinate e continuative; inoltre, è possibile avvalersi di prestatori di lavoro occasionale, secondo la normativa vigente”.
“Disciplina del rapporto di lavoro subordinato sportivo”
“La disciplina in materia prevede alcune peculiarità per adattarsi allo specifico tipo di lavoro: il contratto può contenere l’apposizione di un termine finale; le Federazioni possono costituire un fondo per la corresponsione del trattamento di fine rapporto; il contratto non può contenere clausole di non concorrenza o limitative della libertà professionale dello sportivo dopo la cessazione del contratto”.
“Rapporto di lavoro sportivo nei settori professionistici”
“L’area del professionismo è composta dalle società che svolgono la propria attività sportiva con finalità lucrative nei settori che, indipendentemente dal genere, conseguono la relativa qualificazione dalle Federazioni Sportive Nazionali o dalle Discipline Sportive Associate, anche paralimpiche. Nei settori professionistici, il lavoro prestato dagli atleti come attività principale, ovvero prevalente, e continuativa, si presume oggetto di contratto di lavoro subordinato. Tuttavia, il lavoro sportivo costituisce oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti: l’attività è svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni collegate in un breve periodo di tempo; lo sportivo non è contrattualmente obbligato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione o di allenamento; la prestazione oggetto del contratto, pur continuativa, non supera 8 ore settimanali oppure 5 giorni al mese o 30 giorni all’anno”.
“Rapporto di lavoro sportivo nell’area del dilettantismo”
“L’area del dilettantismo comprende le associazioni e le società sportive dilettantistiche che svolgono attività sportiva in tutte le sue forme, con prevalente finalità altruistica, senza distinzioni tra attività agonistica, didattica, formativa, fisica o motoria. Nell’ambito dell’area del dilettantismo, il lavoro sportivo si presume oggetto di contratto di lavoro autonomo, nella forma della collaborazione coordinata e continuativa, quando ricorrono i seguenti requisiti nei confronti del medesimo committente: la durata delle prestazioni oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non supera le 24 ore settimanali, escluso il tempo dedicato alla partecipazione a manifestazioni sportive; le prestazioni oggetto del contratto risultano coordinate sotto il profilo tecnico-sportivo, in osservanza dei regolamenti delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate e degli Enti di promozione sportiva, anche paralimpici”.
“Il CCNL per i lavoratori dello sport”
“Il 12 gennaio 2024 è stato rinnovato il CCLN per i lavoratori dello sport tra Confederazione italiana dello sport – Confcommercio imprese per l’Italia e SLC-CGIL, FISASCAT-CISL e UILCOM-UIL, al fine di regolamentare con un unico contratto il sistema sportivo nel suo complesso e tutto il mondo orbitante nel settore dello sport”.
“ Il telelavoro”
“Il telelavoro”
“Il telelavoro costituisce una particolare modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, caratterizzata dal fatto che l’attività lavorativa è eseguita mediante le tecnologie dell’informazione ed è prestata in un luogo diverso dalla sede dell’impresa. Il telelavoro è disciplinato dalla legge solo nell’ambito del pubblico impiego, mentre nell’ambito privato la sua regolamentazione è rimessa alla contrattazione collettiva. Non configurando una tipologia contrattuale specifica, la qualificazione giuridica del telelavoro va dedotta di volta in volta a seconda del diverso contesto in cui viene a svolgersi il rapporto. In ragione delle modalità concrete di esecuzione della prestazione lavorativa, infatti, il telelavoratore può essere titolare di un rapporto di lavoro autonomo, parasubordinato o
subordinato”.
“Il contratto misto”
“Il contratto misto”
“Il contratto misto è caratterizzato dalla contestuale stipulazione, da parte del medesimo lavoratore con la medesima azienda, di un contratto di lavoro subordinato, a tempo parziale e indeterminato, e di un contratto di lavoro autonomo o d’opera professionale. In altri termini, in presenza dei requisiti previsti dalla legge, una stessa persona può essere assunta, contestualmente, dalla stessa azienda, con un contratto di lavoro subordinato e con un contratto di lavoro autonomo”.
Capitolo 5 – La mediazione pubblica e privata e le politiche attive del lavoro
“Il sistema del collocamento e le politiche attive (D.Lgs. 150/2015)”
“Il collocamento della manodopera come pubblica funzione di esclusiva competenza statale”
“Il collocamento della manodopera è stata storicamente una funzione di esclusiva competenza statale, regolata da normative che assicurassero l’efficienza e l’equità nell’accesso al lavoro, al precipuo fine di promuovere l’occupazione. La disciplina originaria, dettata dalla legge 264 del 1949, è durata più di mezzo secolo, imponendo il divieto di mediazione privata oggi definitivamente eliminato”.
“La deregolamentazione delle assunzioni e il decentramento amministrativo del collocamento”
“A partire dal 1996, l’organizzazione del collocamento in Italia ha subito un lungo processo di riforma che ha portato a una deregolamentazione delle assunzioni, introducendo una disciplina meno vincolante che, tra l’altro, si basa sul meccanismo dell’assunzione diretta del lavoratore da parte del datore di lavoro. Tale cambiamento ha reso il mercato del lavoro più flessibile, facilitando l’incontro tra domanda e offerta di lavoro”.
“La riforma dei servizi per il lavoro e delle politiche attive
“La riforma dei servizi per il lavoro e delle politiche attive è stata realizzata dal D.Lgs. 150 del 2015, che ha introdotto cambiamenti significativi per migliorare l’efficienza dei servizi offerti, potenziare le politiche attive del lavoro, favorire l’inserimento e il reinserimento dei lavoratori nel mercato del lavoro”.
“Soppressione dell’ANPAL e trasferimento delle relative funzioni al Ministero del Lavoro
“La soppressione dell’ANPAL ha comportato il trasferimento delle relative funzioni al Ministero del Lavoro, centralizzando le competenze in materia di politiche attive del lavoro. Il provvedimento si inscrive nella gamma degli interventi finalizzati a semplificare e rendere più efficiente la gestione delle politiche del lavoro”.
“Funzioni e compiti dell’operatore pubblico”
“Le funzioni dello Stato”
“Lo Stato ha il fondamentale ruolo di indirizzo politico e di coordinamento, mediante l’individuazione di strategie, obiettivi e priorità. In generale, compete al Ministero del Lavoro fissare le linee di indirizzo triennali e gli obiettivi annuali dell’azione in materia di politiche attive, specificare i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) che devono essere erogati su tutto il territorio nazionale e verificarne il rispetto, nonché monitorare le politiche occupazionali del lavoro”.
“Le funzioni delle Regioni”
“Le Regioni esercitano, con il Ministro del Lavoro, il ruolo di indirizzo politico in materia di politiche attive per il lavoro e hanno competenze specifiche nel mercato del lavoro, tra le quali l’erogazione concreta dei servizi per il lavoro e l’attuazione delle misure di politica attiva del lavoro
tramite i centri per l’impiego”.
“ I servizi per il lavoro e i livelli essenziali delle prestazioni (LEP)”
“I servizi per il lavoro e i livelli essenziali delle prestazioni (LEP)”
“Mediante i servizi per il lavoro vengono costruiti percorsi di inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro. Essi sono quindi rivolti alla generalità delle persone in cerca di occupazione, con particolare riguardo ai disoccupati che fruiscono di trattamenti a sostegno del reddito e ai lavoratori a rischio di perdita del lavoro, come ad esempio i cassaintegrati dipendenti da aziende in crisi. I servizi per l’impiego comprendono un’ampia gamma di interventi, i livelli essenziali delle prestazioni, tra i quali rilevano ad esempio l’orientamento di base, l’orientamento specialistico e l’avviamento ad attività formative ai fini della qualificazione e riqualificazione professionale”.
“I sistemi di raccolta dei dati, di interoperabilità e di coordinamento”
“Il Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro (SIUPL o SIU) e la formazione del fascicolo elettronico del lavoratore”
“Il SIUPL consta di un nodo di coordinamento nazionale e di nodi di coordinamento regionali, al quale affluisce una pluralità di dati e comunicazioni, quali quelli relativi ai lavoratori percettori di trattamenti a sostegno del reddito, ai servizi per il lavoro e alle politiche attive del lavoro nonché le comunicazioni obbligatorie relative ad instaurazioni, modifiche e cessazioni dei rapporti di lavoro. I dati e le informazioni del SIUPL costituiscono la base per la formazione e il rilascio del fascicolo elettronico del lavoratore”.
“La Rete dei servizi per le politiche del lavoro”
“La Rete dei servizi per le politiche del lavoro è stata istituita al fine di promuovere l’effettività dei diritti al lavoro, alla formazione e all’elevazione professionale e il diritto di ogni individuo ad accedere a servizi di collocamento gratuito, assicurando, tramite l’attività posta in essere dalle strutture pubbliche e private, accreditate o autorizzate ai datori di lavoro il soddisfacimento dei fabbisogni di competenze e ai lavoratori il sostegno nell’inserimento o nel reinserimento al lavoro”.
“La Borsa continua nazionale del lavoro: dal sistema Clic-lavoro allo SPID”
“La Borsa continua nazionale del lavoro è un sistema che facilita l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, che è stata concretamente operativa mediante il sistema Clic-lavoro. Attualmente, tuttavia, per accedere ai servizi online del Ministero del Lavoro, lo strumento di autenticazione è lo SPID e, talvolta, la Carta d’identità elettronica”.
“La Banca dati delle politiche attive e passive”
“La Banca dati delle politiche attive e passive raccoglie le informazioni concernenti i soggetti da collocare nel mercato del lavoro, i servizi erogati per una loro migliore collocazione nel mercato stesso e le opportunità di impiego nonché le informazioni relative agli incentivi e comprende un’apposita sezione denominata fascicolo dell’azienda, che contiene le informazioni concernenti le assunzioni, nonché le trasformazioni e le cessazioni di rapporti di lavoro”.
“Le attività di mediazione e i soggetti abilitati”
“La mediazione e le altre attività”
“Il termine mediazione può essere utilizzato per indicare, in senso generico, l’insieme delle attività, che gli operatori possono attuare sul mercato del lavoro e che sono rivolte ai datori di lavoro e ai lavoratori. Ad esempio, sono attività di mediazione la ricerca e selezione del personale e la somministrazione di lavoro”.
“Le agenzie per il lavoro”
“Le agenzie per il lavoro sono soggetti privati, autorizzati dal Ministero del lavoro a svolgere attività di mediazione. In particolare, l’autorizzazione ministeriale abilita l’agenzia ad operare su tutto il territorio nazionale”.
“Svolgimento di attività di mediazione in forma abusiva e regime sanzionatorio: le novità introdotte dal decreto PNRR”
“Nei casi di svolgimento delle attività di mediazione in forma abusiva, cioè senza autorizzazione,
opera il rigoroso regime sanzionatorio previsto dall’articolo 18 del D.Lgs. 276 del 2003, che è stato profondamente modificato dal decreto PNRR, mediante la reintroduzione della responsabilità penale per fattispecie che in passato erano state depenalizzate”.
“Regimi particolari di autorizzazione”
“Accanto agli operatori pubblici e privati, vi sono ulteriori soggetti che possono svolgere attività di intermediazione, a condizione che non vi sia finalità di lucro. Tra gli altri, sono abilitati ad esercitare tali attività le Università, i Comuni e i patronati”.
“La tutela dei lavoratori sul mercato del lavoro”
“La tutela dei lavoratori sul mercato del lavoro”
“La tutela dei lavoratori sul mercato del lavoro è garantita mediante la previsione di divieti per le agenzie per il lavoro, per gli operatori pubblici e per tutti gli altri soggetti abilitati ad operare sul mercato del lavoro, come ad esempio il divieto di indagini sulle opinioni personali del lavoratore e il divieto di oneri in capo al lavoratore”.
Capitolo 6 – Le modalità di assunzione dei lavoratori
“L’assunzione diretta dei lavoratori”
“L’assunzione diretta dei lavoratori”
“Nella generalità dei casi l’instaurazione del rapporto di lavoro avviene mediante assunzione diretta del lavoratore, cioè mediante contatto diretto tra lavoratore e datore di lavoro. Regole particolari restano, però, per le assunzioni di alcune categorie di lavoratori, come i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea residenti all’estero e le persone con disabilità, che ancora fanno capo a forme di collocamento speciali”.
“La comunicazione obbligatoria di assunzione e di instaurazione del rapporto di lavoro”
“La comunicazione obbligatoria di assunzione e di instaurazione del rapporto di lavoro”
“La comunicazione d’instaurazione del rapporto di lavoro è obbligatoria non solo in caso di rapporto di lavoro subordinato, ma anche per altri tipi di rapporti di lavoro, come ad esempio per le co.co.co. Di norma, la comunicazione va inviata telematicamente, il giorno antecedente all’instaurazione del rapporto di lavoro, al Ministero del Lavoro. Un’eccezione alla regola della comunicazione preventiva è però prevista, ad esempio, per le agenzie di somministrazione, che sono tenute ad effettuare la comunicazione entro il ventesimo giorno del mese successivo alla data di assunzione. Ulteriore eccezione sussiste in caso d’impiego di lavoratori autonomi occasionali: in questo caso la comunicazione è preventiva, ma va inviata all’Ispettorato territoriale del lavoro, e non al Ministero del Lavoro”.
“Comunicazioni obbligatorie relative alle vicende modificative e alla cessazione del rapporto di lavoro”
“Comunicazioni obbligatorie relative alle vicende modificative e alla cessazione del rapporto di lavoro”
“La cessazione del rapporto di lavoro e le vicende modificative del rapporto di lavoro devono essere comunicate entro cinque giorni dal loro verificarsi. Tra le vicende modificative, devono essere comunicate ad esempio: la trasformazione di un rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato; la trasformazione di un contratto da tempo parziale a tempo pieno”.
“La pluriefficacia delle comunicazioni”
“La pluriefficacia delle comunicazioni”
“La comunicazione di assunzione e le comunicazioni relative alle vicende modificative e alla cessazione del rapporto di lavoro sono valide anche ai fini dell’assolvimento di tutti gli obblighi di comunicazione che, a qualsiasi fine, sono a carico del datore di lavoro e dei lavoratori nei confronti ad esempio dell’INPS, dell’INAIL e dell’Ispettorato del lavoro”.
Capitolo 7 – Misure per l’occupazione dei lavoratori
“I servizi per l’impiego e l’assistenza alla ricerca di lavoro”
“L’elenco anagrafico e le schede professionali”
“L’elenco anagrafico e le schede professionali sono strumenti che raccolgono informazioni sui lavoratori, facilitando la gestione e l’analisi dei dati lavorativi. Questi strumenti sono essenziali per il monitoraggio e la pianificazione delle politiche del lavoro”.
“La dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (DID) e lo stato di disoccupazione”
“La DID è una dichiarazione che attesta la disponibilità immediata di una persona allo svolgimento di attività lavorative e alla partecipazione a misure di politica attiva del lavoro, determinando formalmente l’inizio dello stato di disoccupazione”.
“La profilazione e la presa in carico dell’utente”
“L’attività di profilazione consiste nella raccolta dei dati della persona relativamente al percorso formativo e lavorativo intrapreso fino a quel momento: in pratica, mediante una procedura automatizzata di elaborazione dei dati, sulla base delle informazioni fornite, l’utente viene assegnato ad una classe di profilazione, che serve a valutarne il livello di occupabilità. Il centro per l’impiego provvede, poi, giuridicamente alla presa in carico della persona, mediante la stipula del Patto di servizio personalizzato”.
“Il programma GOL”
“Il Programma GOL è finalizzato all’inserimento occupazionale, mediante l’erogazione di servizi specifici. La caratteristica principale di GOL, infatti, è la personalizzazione degli interventi, effettuata sulla base di una profilazione svolta dai centri per l’impiego che deve tenere conto, da un lato, delle competenze e delle esigenze del lavoratore, dall’altro, delle concrete opportunità occupazionali offerte dal mercato del lavoro di riferimento”.
“Il superamento del Reddito di cittadinanza: il Supporto per la formazione e il lavoro e l’Assegno di inclusione”
“Abrogazione del Reddito di cittadinanza”
“L’abrogazione del Reddito di cittadinanza ha comportato la revisione delle misure di sostegno al reddito, con l’obiettivo di promuovere l’occupazione e l’inclusione sociale”.
“Il Supporto per la formazione e il lavoro”
“Il Supporto per la formazione e il lavoro è una misura finalizzata all’attivazione al lavoro, mediante la partecipazione a progetti di formazione, qualificazione e riqualificazione professionale, orientamento, accompagnamento al lavoro e rientranti, in generale, nelle politiche attive del lavoro”.
“L’Assegno di inclusione”
“L’Assegno di inclusione è una misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli della popolazione attraverso percorsi di inserimento sociale, formazione, lavoro e politica attiva del lavoro”.
Capitolo 8 – I collocamenti speciali
“Il collocamento mirato delle persone con disabilità: fondamento, lavoratori beneficiari e quote di riserva”
“Il fondamento del collocamento mirato”
“Il collocamento mirato delle persone con disabilità è disciplinato dalla Legge 68 del 1999, che detta una disciplina diretta a valorizzare le residue capacità lavorative delle persone con disabilità e a collocarle nell’occupazione più idonea e al contempo più proficua per l’impresa”.
“Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità e buone prassi”
“Le Linee guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità sono state adottate
con D.M. 43 del 2022 e, pur non sostituendosi alle legislazioni regionali, offrono un quadro di riferimento complessivo rispetto a principi, interventi e metodologie di attuazione”.
“Le novità introdotte dal Decreto Disabilità”
“Il Decreto Disabilità ha introdotto disposizioni volte alla revisione e semplificazione, nonché al riordino della normativa in materia di disabilità. La finalità del provvedimento è assicurare il riconoscimento della condizione di disabilità, rimuovere gli ostacoli e attivare i sostegni utili al pieno esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, delle libertà e dei diritti civili e sociali nei vari contesti di vita, liberamente scelti”.
“Lavoratori beneficiari”
“L’attuale sistema del collocamento mirato è riservato ai soggetti che, a causa delle loro disabilità psicofisiche, hanno difficoltà ad accedere al mercato del lavoro:”.
“Accertamento dello stato di disabilità”
“L’accertamento delle condizioni di disabilità che danno diritto al sistema del collocamento mirato di cui alla legge 68 del 1999 è in generale finalizzato a definire il profilo funzionale del lavoratore, valutandone tra l’altro le capacità, le abilità e le competenze”.
“Datori di lavoro soggetti all’obbligo di assunzione e quote di riserva”
“Tutti i datori di lavoro che occupano da 15 dipendenti in poi sono tenuti ad assumere una determinata quota, cd. quota di riserva, di lavoratori con disabilità che varia in ragione del numero dei lavoratori già occupati in azienda”.
“L’elenco regionale e le modalità di assunzione”
“All’elenco regionale, tenuto dai centri per l’impiego, devono iscriversi le persone con disabilità che risultano disoccupate e aspirano ad una occupazione conforme alle proprie capacita lavorative: per ogni persona iscritta viene poi definito il profilo funzionale, con le capacità lavorative, le abilità, le competenze e le inclinazioni, nonché la natura e il grado della disabilità”.
“Lo strumento della «convenzione» per l’occupazione di lavoratori svantaggiati e con disabilità”
“Principi generali”
“Al fine di favorire l’inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati e con disabilità, i servizi per l’impiego possono stipulare apposite convenzioni quadro su base territoriale con le associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro, con le associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela delle cooperative, con i consorzi e con le imprese sociali”.
“Tipi di convenzioni per le assunzioni delle persone con disabilità”
“Esistono due tipi di convenzioni per l’assunzione di persone con disabilità finalizzati rispettivamente: il primo tipo, alla formazione delle persone con disabilità; il secondo tipo, all’assunzione di persone con disabilità che presentino particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario”.
“Idoneità lavorativa”
“Idoneità lavorativa”
“L’idoneità lavorativa è determinata attraverso la valutazione delle capacità e delle competenze del lavoratore, assicurando che le mansioni assegnate siano compatibili con il suo stato di salute e le sue abilità”.
“Le assunzioni dei lavoratori stranieri”
“Lavoratori cittadini di Stati membri dell’Unione Europea”
“I lavoratori cittadini di Stati membri dell’Unione Europea, e i loro familiari, hanno il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, nonché il diritto di esercitare qualsiasi attività economica autonoma o subordinata, escluse le attività che la legge riserva ai cittadini italiani”.
“Lavoratori cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea: il principio del contingentamento”
“L’ingresso in Italia di cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea per motivi di lavoro deve avvenire, salvo eccezioni, nell’ambito di quote massime d’ingresso: ciò al fine di garantire la massima compatibilità degli ingressi con le potenzialità di inserimento nel mercato del lavoro”.
“Ingresso in Italia per motivi di lavoro e procedura di assunzione di lavoratori extra UE”
“Il datore di lavoro che vuole instaurare in Italia un rapporto di lavoro subordinato con uno straniero residente all’estero deve, in primo luogo, preventivamente richiedere al centro per l’impiego competente di verificare l’indisponibilità di un lavoratore presente sul territorio nazionale. Verificata l’indisponibilità, il datore deve trasmettere allo Sportello unico la documentazione richiesta dalla legge, quali la richiesta nominativa di nulla osta al lavoro e la proposta del contratto di soggiorno. A questo punto, i passaggi essenziali della procedura di assunzione sono i seguenti: rilascio del nulla osta al lavoro da parte dello Sportello unico; richiesta da parte del lavoratore del visto d’ingresso alla rappresentanza diplomatica o consolare competente; conferma, da parte del datore, della richiesta di nulla osta al lavoro allo Sportello unico; sottoscrizione del contratto di soggiorno da parte del datore e del lavoratore straniero, mediante apposizione di firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata; trasmissione da parte del datore del contratto di soggiorno allo Sportello unico per gli adempimenti concernenti la richiesta di rilascio del permesso di soggiorno. Il permesso di soggiorno per motivi di lavoro è rilasciato dalla Questura”.
“La procedura per l’assunzione di lavoratori extra UE già regolarmente residenti in Italia”
“Per i lavoratori extra UE già regolarmente residenti in Italia, la procedura di assunzione è semplificata, non essendo necessario espletare la procedura per il rilascio del permesso di soggiorno”.
“L’accesso al lavoro degli stranieri soggiornanti di lungo periodo”
“Lo straniero in possesso, da almeno 5 anni, di un permesso di soggiorno in corso di validità può chiedere al questore il rilascio del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo se dimostra la disponibilità di un certo reddito annuo e di un alloggio idoneo e se supera un test di conoscenza della lingua italiana”.
“Il principio di parità di trattamento”
“Per quanto concerne lo svolgimento del rapporto di lavoro, il trattamento normativo ed economico del lavoratore extra UE deve essere equiparato a quello di un lavoratore italiano di pari mansioni e inquadramento. La parità di trattamento deve realizzarsi, ad esempio, relativamente alla retribuzione e alle prestazioni assistenziali e previdenziali”.
Capitolo 9 – Decentramento produttivo, somministrazione di lavoro e appalto
“L’abrogazione del divieto di interposizione e appalto nelle prestazioni di lavoro”
“La ratio del divieto dei fenomeni interpositori”
“Il divieto di interposizione e appalto nelle prestazioni di lavoro, originariamente previsto dalla legge 1369 del 1960, mirava a reprimere l’interposizione di manodopera, fenomeno in cui un soggetto si interpone tra il datore di lavoro e i lavoratori, spesso per eludere obblighi normativi. L’abrogazione di questo divieto ha comportato la possibilità dell’intermediazione di lavoro, purché rispettati specifici requisiti di legge”.
“Le fattispecie vietate e le sanzioni
“La legge 1369 del 1960 perseguiva ogni forma subdola di appalto, vietando agli imprenditori, tra l’altro, di affidare in appalto l’esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante l’impiego di manodopera assunta e retribuita direttamente dall’appaltatore o dall’intermediario”.
“Appalti leciti e regime di solidarietà”
“La legge 1369 del 1960 non vietava qualsiasi tipo di appalto, ma solo quelli che avessero una finalità fraudolenta. Nel caso di appalti di per sé leciti, ma che presentavano elementi di rischio, la legge imponeva determinate garanzie per i minimi salariali e per la contribuzione previdenziale”.
“Trasformazioni produttive-organizzative e abrogazione della L. 1369/1960”
“A seguito della destrutturazione dell’impresa e del crescente fenomeno dell’esternalizzazione, le limitazioni esistenti per l’interposizione di prestazioni di lavoro erano divenute anacronistiche, sicché furono superate, prima con l’introduzione del lavoro temporaneo da parte della legge 196 del 1977 e, successivamente, con il D.Lgs. 276 del 2003 che abrogò la legge 1369 del 1960”.
“La somministrazione di lavoro”
“Dal lavoro interinale alla somministrazione di lavoro”
“Il lavoro interinale permetteva l’impiego temporaneo di manodopera per esigenze di produzione contingenti senza che l’imprenditore fosse costretto ad assumere i lavoratori di cui necessitasse. Tuttavia, il permanere di alcuni limiti operativi ha successivamente indotto il legislatore a definire una nuova disciplina meno restrittiva della fornitura, denominata somministrazione di lavoro, che attualmente è disciplinata dal D.Lgs. 81 del 2015”.
“Caratteri della somministrazione di lavoro”
“La somministrazione consiste nella fornitura professionale di manodopera effettuata da un’agenzia autorizzata all’impresa richiedente per il soddisfacimento di esigenze produttive di quest’ultima. Il rapporto di somministrazione coinvolge quindi tre soggetti: l’agenzia di somministrazione, cioè il somministratore; il lavoratore somministrato; l’impresa utilizzatrice, cioè l’utilizzatore. Questi soggetti sono legati da due distinti rapporti contrattuali: il contratto di somministrazione, concluso tra agenzia di somministrazione e impresa utilizzatrice e il contratto di lavoro individuale stipulato tra agenzia di somministrazione e lavoratore somministrato”.
“Il contratto di somministrazione di lavoro”
“Il contratto di somministrazione di lavoro è il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore.
Il contratto di somministrazione di lavoro non è quindi un contratto di lavoro, ma un contratto di natura commerciale, avente ad oggetto l’affitto di lavoratori”.
“Divieto di somministrazione”
“Il D.Lgs. 81 del 2015 prevede delle ipotesi in cui la somministrazione di lavoro è vietata, come ad esempio per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero oppure presso unità produttive nelle quali siano operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione di lavoro”.
“Limiti quantitativi per l’impiego dei lavoratori somministrati”
“Il D.Lgs. 81 del 2015 prevede, per l’utilizzatore, limiti quantitativi all’utilizzo di lavoratori esterni, cioè forniti da un’agenzia di somministrazione. Tuttavia, sia per la somministrazione a tempo indeterminato che per quella a tempo determinato, sono previste delle ipotesi esenzione da limiti quantitativi. Ad esempio, è esente dal limite di legge la somministrazione a tempo determinato di lavoratori assunti dal somministratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato”.
“Somministrazione irregolare e somministrazione fraudolenta”
“Si ha somministrazione irregolare quando si realizza una fornitura di lavoro al di fuori dei limiti e dei requisiti previsti dal D.Lgs. 81 del 2015, ad esempio quando manca la forma scritta e vi sia stata violazione dei limiti quantitativi per l’impiego, da parte dell’utilizzatore, di lavoratori somministrati.
La somministrazione si definisce, invece, fraudolenta, quando è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili della legge o del contratto collettivo applicato al lavoratore”.
“Il rapporto di lavoro derivante da somministrazione”
“Contratto di lavoro e disciplina applicabile”
“I lavoratori da inviare in missione sono assunti dall’agenzia di somministrazione: la legge non individua una specifica figura di contratto di lavoro tra agenzia di somministrazione e prestatore di lavoro, limitandosi a stabilire che il rapporto di lavoro può essere a tempo indeterminato o determinato. Nel caso di assunzione a tempo indeterminato, il rapporto di lavoro è soggetto alla disciplina prevista per i rapporti di lavoro a tempo indeterminato e al lavoratore spetta, per i periodi nei quali egli rimane in attesa di essere inviato in missione, l’indennità mensile di disponibilità. Nel caso, invece, in cui l’agenzia di somministrazione assuma il lavoratore a tempo determinato, tale rapporto di lavoro è soggetto alla disciplina generale sul rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato, ad esclusione di alcune norme”.
“Trattamento normativo ed economico del lavoratore”
“La legge stabilisce l’importante principio della parità di trattamento dei lavoratori assunti dall’impresa di somministrazione che, per tutta la durata della missione, hanno diritto a condizioni di base di lavoro e d’occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte. Per quanto riguarda il trattamento economico, il lavoratore in regime di somministrazione ha diritto alla normale retribuzione spettante al lavoratore dell’utilizzatore e occupato in analoghe mansioni. Se il lavoratore è assunto dall’agenzia di somministrazione a tempo indeterminato, ha diritto ad un’apposita indennità di disponibilità per i periodi in cui non effettua alcuna missione presso un’impresa utilizzatrice”.
“Ripartizione dei poteri e degli obblighi datoriali”
“Il rapporto di lavoro derivante dalla somministrazione prevede una singolare ripartizione dei poteri tipici del datore di lavoro tra agenzia di somministrazione e utilizzatore.
L’agenzia assume il ruolo formale di datore di lavoro, gestendo direttamente tutti gli aspetti connessi al rapporto di lavoro, quali ad esempio il pagamento della retribuzione e l’esercizio del potere disciplinare; l’utilizzatore esercita il potere organizzativo e direttivo, al fine di conformare la prestazione dei lavoratori alle concrete esigenze della propria organizzazione aziendale”.
“L’appalto e la tutela dei lavoratori”
“Dal divieto di appalto di mere prestazioni di lavoro ai requisiti dell’appalto genuino”
“Ai sensi dell’articolo 1655 del codice civile, l’appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro. Pertanto, si è in presenza di una forma lecita di appalto quando sussiste con certezza l’assunzione del rischio d’impresa e l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore”.
“Appalto genuino e tutela dei dipendenti”
“Al personale impiegato nell’appalto, in primo luogo, spetta un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello previsto dal contratto collettivo nazionale e territoriale stipulato dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, applicato nel settore e per la zona strettamente connessi con l’attività oggetto dell’appalto. Inoltre, a carico di tutti i soggetti coinvolti nella catena dell’appalto opera un particolare regime di solidarietà, che opera entro 2 anni dalla cessazione dell’appalto e dal quale sono escluse le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento. Ulteriori tutele sono previste ai fini della salute e sicurezza sul lavoro dei dipendenti dell’appaltatore”.
“Appalti illeciti: tutela dei dipendenti e regime sanzionatorio”
“L’appalto illecito configura un’ipotesi di somministrazione illecita, nell’ambito della quale l’appaltatore è un finto imprenditore che funge da mero intermediario che mette a disposizione dell’appaltante le prestazioni di lavoro dei propri dipendenti. Quando ciò accade, in primo luogo, il lavoratore può agire in giudizio per la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’appaltante. Ulteriore tutela del lavoratore è rappresentata dalla responsabilità solidale dei soggetti coinvolti nella catena dell’appalto illecito per il pagamento dei trattamenti retributivi, dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi dovuti al lavoratore. Infine, è previsto un severo regime sanzionatorio”.
“Il distacco del lavoratore”
“Requisiti di legittimità”
“Il distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa. Per un distacco legittimo sono necessari l’esistenza di uno specifico interesse del datore di lavoro distaccante che deve sussistere per tutta la durata del distacco, la temporaneità del distacco e lo svolgimento di una determinata attività lavorativa da parte del lavoratore distaccato”.
“Assenza dei requisiti legislativi: tutela del lavoratore e regime sanzionatorio”
“Il distacco di un lavoratore, attuato senza rispettare i requisiti di legge, è considerato un’illecita interposizione di manodopera, quindi un’ipotesi di somministrazione illecita, nell’ambito della quale il datore di lavoro presso cui il lavoratore è stato distaccato assume il ruolo di utilizzatore, mentre il datore di lavoro dal quale il lavoratore è stato distaccato quello di somministratore. In questa ipotesi:
il lavoratore interessato può fare ricorso in giudizio per la costituzione di un rapporto di lavoro con il soggetto che ne ha utilizzato la prestazione; sussiste la responsabilità solidale dei soggetti coinvolti nel distacco illecito per il pagamento dei trattamenti retributivi, dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi dovuti al lavoratore; è previsto un severo regime sanzionatorio”.
“Il distacco transnazionale”
“Ambito di applicazione”
“Il distacco ha dimensioni transnazionali quando, in base ad accordi commerciali tra imprese residenti in Stati diversi della UE, una impresa distacca temporaneamente all’estero i propri dipendenti per eseguire lavori nel territorio di uno Stato membro diverso dallo Stato in cui essi sono abitualmente occupati”.
“Le tutele”
“Al rapporto di lavoro tra le imprese e i lavoratori distaccati si applicano, durante il periodo del distacco, se più favorevoli, le medesime condizioni di lavoro e di occupazione previste in Italia, dalle disposizioni normative e dai contratti collettivi, per i lavoratori che effettuano prestazioni lavorative subordinate analoghe nel luogo in cui si svolge il distacco relativamente, tra l’altro, ai periodi massimi di lavoro e ai periodi minimi di riposo, alla retribuzione, alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, alla parità di trattamento fra uomo e donna e ad altre disposizioni in materia di non discriminazione”.
“Il caporalato”
“Ambito di operatività”
“Con il termine «caporalato» ci si riferisce a quel fenomeno consistente nel reclutamento e nell’impiego illeciti di lavoratori, e nella loro sottoposizione a condizioni di sfruttamento lavorativo, come ad esempio orari di lavoro eccessivi.
Il caporalato è diffuso principalmente in agricoltura, ma può estendersi anche ad altri settori lavorativi”.
“Il Tavolo Caporalato e il Sistema informativo per la lotta al caporalato nell’agricoltura”
“Il Tavolo Caporalato è stato istituito presso il Ministero del Lavoro allo scopo di promuovere la programmazione di una proficua strategia per il contrasto al fenomeno del caporalato e del connesso sfruttamento lavorativo in agricoltura. Al fine, poi, di consentire lo sviluppo della strategia per il contrasto al caporalato e di favorire l’evoluzione qualitativa del lavoro agricolo, presso il Ministero del Lavoro è stato istituito il Sistema informativo per la lotta al caporalato nell’agricoltura, che costituisce uno strumento di condivisione delle informazioni tra le amministrazioni statali e le Regioni.
“Linee Guida nazionali in materia di identificazione, protezione e assistenza alle vittime”
“Le Linee Guida nazionali in materia di identificazione, protezione e assistenza alle vittime di sfruttamento lavorativo in agricoltura hanno contribuito a definire una cornice organica di soggetti, strumenti e principi, attraverso i quali i diversi livelli di Governo sono chiamati a cooperare per realizzare l’integrazione delle politiche, delle misure e dei servizi con l’obiettivo di innalzare i livelli di tutela delle vittime di sfruttamento lavorativo in agricoltura”.
“Il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”
“Al fine di reprimere penalmente il caporalato, il nostro ordinamento prevede, all’articolo 603bis del codice penale, il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Secondo il dettato normativo, salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da 1 a 6 anni e con la multa da euro 500 a euro 1.000 per ciascun lavoratore reclutato, chiunque: recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori (reato di intermediazione illecita); utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno (reato di sfruttamento lavorativo). È previsto un aumento di pena se i fatti di intermediazione, assunzione, utilizzazione o impiego sono commessi mediante violenza o minaccia, oppure se sussistono altre circostanze aggravanti, ad esempio il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa.
“Assistenza e tutela dei lavoratori stranieri vittime di caporalato”
“Al fine di favorire l’emersione di situazioni di sfruttamento lavorativo, il D.L. 145 del 2024, conv. in legge 187 del 2024 ha introdotto un sistema di assistenza e tutela dei soggetti vittime di tali situazioni, nonché, soprattutto per i lavoratori stranieri, specifici interventi che consentono loro di permanere legalmente nel territorio dello Stato, garantendogli anche la possibilità di accesso a percorsi di formazione e inserimento lavorativo”.
Capitolo 10 – Tutela del lavoro minorile, della genitorialità e contro le discriminazioni
“Il lavoro minorile”
“I principi della tutela del lavoro minorile”
“L’articolo 37 della Costituzione prevede che la Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione». Secondo il dettato costituzionale, inoltre, è la legge a dover fissare «il limite minimo di età per il lavoro salariato». In applicazione di tale norma, è stata emanata la legge 977 del 1967 sulla tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti, la cui disciplina è stata poi adeguata agli indirizzi espressi in ambito europeo con il D.Lgs. 345 del 1999, al quale tra l’altro si deve il consolidamento del principio generale per il quale l’età minima di ammissione all’impiego deve coincidere con quella in cui cessano gli obblighi scolastici”.
“I requisiti di età e di istruzione per l’ammissione al lavoro”
“L’età minima per l’ammissione al lavoro coincide con il completamento del periodo di istruzione obbligatoria, cioè con il compimento dei 16 anni. È quindi vietato impiegare i bambini in attività lavorative, salvo attività di carattere culturale, artistico, sportivo o pubblicitario e purché tali attività non compromettano la sicurezza, l’integrità psico-fisica, lo sviluppo, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o formazione professionale”.
“Le lavorazioni vietate e la tutela dell’integrità psico-fisica del lavoratore minore”
“La legge 977 del 1967 stabilisce un divieto rigoroso di impiegare adolescenti in lavorazioni e lavori potenzialmente pregiudizievoli per il loro pieno sviluppo fisico, salvo deroghe previste dalla legge, ad esempio per motivi di formazione professionale. Per i bambini il divieto discende dal più generale divieto di svolgere qualsiasi tipo di attività lavorativa, salvo casi eccezionali, come ad esempio attività culturali. L’integrità psico-fisica del lavoratore minore è altresì tutelata dalla legge mediante altre disposizioni, come ad esempio la previsione di visite mediche preassuntive e periodiche”.
“Il lavoro nello spettacolo dei minori di anni quattordici”
“Il D.M. 218 del 2006 stabilisce i limiti e le precauzioni per l’utilizzo di minori di 14 anni in programmi radiotelevisivi, sia nell’ambito di un rapporto di lavoro che al di fuori di esso, attraverso l’uso delle loro immagini o voci. Ad esempio, è vietato far assumere ai minori, anche per gioco o per finzione, sostanze nocive, come tabacco, bevande alcoliche o stupefacenti, nonché coinvolgerli in argomenti o immagini di contenuto volgare o violento”.
“Il rapporto di lavoro”
“Secondo l’ articolo 37 Cost., ai minori dev’essere garantita parità di trattamento retributivo rispetto agli adulti a parità di lavoro svolto. In materia di orario di lavoro, i bambini non possono lavorare più di 7 ore al giorno e 35 ore alla settimana, mentre per gli adolescenti il limite è di 8 ore giornaliere e 40 ore settimanali. Inoltre, è vietato il lavoro notturno per i minori, mentre il riposo settimanale deve essere di almeno due giorni, possibilmente consecutivi e comprendenti la domenica”.
“La tutela della genitorialità nel lavoro subordinato”
“Fonti e finalità della disciplina”
“Il nostro ordinamento ha da sempre tutelato l’assolvimento dei compiti di maternità e cura dei figli ritenendo essenziale la funzione familiare svolta dalla donna. Per evitare, però, che attraverso una normativa protezionistica speciale possano derivare per la madre lavoratrice conseguenze discriminatorie e penalizzanti, la Costituzione ha sancito, all’ articolo 37, la parità normativa, e retributiva a parità di lavoro, fra lavoratori e lavoratrici. Allo stesso tempo, la norma richiede che le condizioni di lavoro devono essere tali da consentire alla lavoratrice l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione. Tali principi sono presenti anche nel Testo Unico per la tutela ed il sostegno della maternità e della paternità emanato con D.Lgs. 151 del 2001, che attualmente costituisce la fonte normativa principale in materia”.
“Il congedo di maternità”
“Il congedo di maternità è un periodo di astensione obbligatoria dal lavoro riconosciuto dalla legge alle lavoratrici, durante il quale sussiste il divieto assoluto di adibirle al lavoro. Il congedo ha una durata pari a 5 mesi, salvo eccezioni, e la modalità tradizionale di fruizione prevede l’astensione dal lavoro durante i 2 mesi precedenti alla data presunta del parto e i 3 mesi successivi allo stesso. In alternativa, la lavoratrice può scegliere di astenersi esclusivamente dopo il parto, entro i 5 mesi successivi allo stesso, oppure a partire dal mese precedente alla data presunta del parto e nei 4 mesi successivi allo stesso. Le due ultime modalità di fruizione del congedo di maternità sono consentite, però, a condizione che i medici competenti attestino che esse non comportino pregiudizio alla salute della lavoratrice e del bambino”.
“Il congedo di paternità”
“La legge riconosce al padre lavoratore due tipi di congedo di paternità: quello obbligatorio e quello alternativo. Il congedo di paternità obbligatorio consente di astenersi dal lavoro dai 2 mesi precedenti alla data presunta del parto fino ed entro i 5 mesi successivi allo stesso, per un massimo di 10 giorni lavorativi, elevati a 20 in caso di parto plurimo. Il congedo di paternità alternativo consiste, invece, nel diritto del padre lavoratore di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre. Per i giorni di congedo sia obbligatorio che alternativo, al padre spetta un’indennità che: nel primo caso è pari al 100% della retribuzione; nel secondo caso all’ 80% della retribuzione”.
“Il congedo parentale”
“Il congedo parentale consiste nel diritto riconosciuto a ciascuno genitore, per ogni bambino nei primi suoi 12 anni di vita, di astenersi dal lavoro entro limiti massimi, individuali e complessivi. Per i periodi di congedo parentale, fino al dodicesimo anno di vita del figlio, è riconosciuta un’indennità, pari ad una percentuale della retribuzione. In particolare, i mesi di congedo indennizzabili sono complessivamente 9 e sono così ripartiti tra i due genitori: 3 mesi alla madre, 3 mesi al padre e 3 mesi ad uno solo dei due genitori. Se poi vi è soltanto un genitore, l’indennità è riconosciuta per 9 mesi di congedo a quest’ultimo. Per i periodi di congedo parentale ulteriori ai 9 mesi indennizzabili per entrambi i genitori o per il genitore solo, è poi dovuta, fino al dodicesimo anno di vita del bambino, un’indennità, a condizione che il reddito individuale dell’interessato sia inferiore a determinate soglie previste dalla legge”.
“I riposi giornalieri (cd. permessi per allattamento)”
“Durante il primo anno di vita del bambino, la lavoratrice ha diritto a periodi di riposo giornalieri, i cosiddetti permessi per allattamento, la cui durata varia in base all’orario di lavoro giornaliero della lavoratrice. Infatti, se l’orario di lavoro è pari o superiore a sei ore, la lavoratrice ha diritto a due ore di riposo; se invece è inferiore a sei ore, il diritto si riduce a un’ora di riposo. Se poi la lavoratrice usufruisce di asilo nido o di altra struttura idonea in azienda o nelle immediate vicinanze, la durata del riposo è di mezz’ora”.
“Tutela della sicurezza, divieto di licenziamento, dimissioni e diritto al rientro”
“La sicurezza e la salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in allattamento”
“La legge prevede misure specifiche per proteggere la sicurezza e la salute delle lavoratrici durante la gravidanza e fino a 7 mesi di età del figlio. Tali misure prevedono il divieto di adibire le lavoratrici a mansioni che comportino il trasporto o il sollevamento di pesi, nonché a lavori pericolosi, faticosi e insalubri. Se una lavoratrice è normalmente impiegata in tali attività, durante il periodo in questione deve essere trasferita ad altre mansioni, e se le nuove mansioni sono inferiori a quelle abituali la lavoratrice conserva la retribuzione e la qualifica precedenti. Il datore di lavoro è inoltre tenuto a valutare i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici e, se esistenti, ad adottare tutte le misure necessarie”.
“Divieto di licenziamento, dimissioni e diritto al rientro”
“Sussiste un divieto assoluto di licenziamento e di sospensione dal lavoro delle lavoratrici dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine del congedo obbligatorio, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. Tale divieto si applica anche ai padri lavoratori che usufruiscono del congedo di paternità per tutta la durata del congedo e fino al compimento di un anno di età del bambino. È inoltre vietato il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore. La legge tuttavia prevede delle eccezioni a tale divieto, ad esempio la colpa grave, della lavoratrice o del lavoratore, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro. La legge prevede poi l’obbligo di convalida, da parte della sede territoriale dell’Ispettorato del lavoro, delle eventuali dimissioni presentate dalla lavoratrice durante la gravidanza e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi 3 anni di vita del bambino. Infine, alle lavoratrici e ai lavoratori che abbiano fruito di congedi, permessi e riposi, al termine dei periodi di divieto di lavoro, è riconosciuto il diritto di conservare il posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate o occupati all’inizio del periodo di astensione dal lavoro o in altra ubicata nel medesimo Comune, nonché di essere adibiti alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti. I genitori che abbiano fruito dei congedi di maternità o paternità hanno anche il diritto di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che sarebbero loro spettati durante l’assenza, previsti dai contratti collettivi, da leggi o da regolamenti”.
“La tutela della genitorialità per gli iscritti alla gestione separata INPS, per i lavoratori autonomi e per i liberi professionisti”
“Lavoratori iscritti alla gestione separata INPS”
“A condizione che sussista il requisito contributivo previsto dalla legge, le madri lavoratrici iscritte in via esclusiva alla gestione separata INPS hanno diritto, indipendentemente dall’effettiva astensione dall’attività lavorativa, a un’indennità di maternità per i 2 mesi precedenti e i 3 mesi successivi alla data del parto. Anche i padri lavoratori iscritti alla gestione separata INPS hanno diritto a un’indennità di paternità in specifiche circostanze, ad esempio in caso di morte della madre, a condizione che, in capo agli stessi, sussista il medesimo requisito contributivo previsto dalla legge per le lavoratrici”.
“Lavoratori autonomi iscritti a gestioni speciali dell’INPS”
“Le lavoratrici autonome, ad esempio coltivatrici dirette ed esercenti attività commerciali, iscritte alle gestioni speciali INPS, hanno diritto a un’indennità giornaliera di maternità per i 2 mesi precedenti i 3 mesi successivi alla data del parto, salvo ipotesi eccezionali in cui l’indennità è riconosciuta anche per i periodi antecedenti ai 2 mesi prima del parto, ad esempio in caso di gravi complicanze della gravidanza. In determinate circostanze, ad esempio in caso di morte della madre, l’indennità spetta anche al padre lavoratore autonomo per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre lavoratrice autonoma o per la parte residua. Le lavoratrici e i lavoratori autonomi hanno diritto, inoltre, al congedo parentale e al relativo trattamento economico, limitatamente ad un periodo di 3 mesi, entro il primo anno di vita del bambino”.
“Liberi professionisti iscritti alla Cassa previdenziale di appartenenza”
“Le libere professioniste iscritte alla Cassa previdenziale di appartenenza hanno diritto a un’indennità di maternità per i 2 mesi precedenti e i 3 mesi successivi alla data del parto, indipendentemente dall’effettiva astensione dall’attività lavorativa. In alcune ipotesi, ad esempio gravi complicanze della gravidanza, l’indennità di maternità è riconosciuta anche ai periodi antecedenti ai 2 mesi prima del parto. Inoltre, in alcune circostanze, ad esempio in caso di morte della madre, al padre lavoratore libero professionista è riconosciuto il diritto all’indennità di paternità, per il periodo in cui sarebbe spettata alla madre libera professionista o per la parte residua”.
“La parità di genere e le pari opportunità nel rapporto di lavoro”
“Il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna”
“Il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, il D.Lgs. 198 del 2006, ha introdotto misure volte ad eliminare ogni discriminazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza o come scopo di compromettere o impedire il riconoscimento, il godimento o l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo.
È stato, inoltre, specificato il principio di parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini, da assicurare in tutti gli ambiti, compresi quelli dell’occupazione, del lavoro e della retribuzione.
Nel Codice è stato altresì definito il concetto di discriminazione, distinguendo tra varie tipologie, come ad esempio le discriminazioni dirette e indirette, le molestie e le molestie sessuali”.
“L’organizzazione amministrativa per la promozione delle pari opportunità”
“Il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna individua le istituzioni responsabili delle politiche di pari opportunità in Italia. Al vertice vi è il Presidente del Consiglio dei Ministri, cui spetta promuovere e coordinare le politiche di pari opportunità. Un ruolo significativo è poi svolto dalla Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna, che fornisce supporto tecnico-scientifico per l’elaborazione delle politiche in materia, nonché dal Comitato nazionale per l’attuazione dei principi di parità di trattamento, che favorisce la rimozione degli ostacoli che limitano l’uguaglianza tra uomini e donne in tema di accesso al lavoro e condizioni di lavoro, comprese le retribuzioni. Infine, rilevanti compiti sono riconosciuti ai consiglieri di parità nell’ambito della promozione dell’occupazione femminile e della rimozione degli ostacoli alla realizzazione della piena eguaglianza tra i sessi nei luoghi di lavoro e, più in generale, nell’attuazione delle cd. azioni positive”.
“Le azioni positive”
“Le azioni positive sono misure previste per promuovere le pari opportunità tra uomo e donna e per realizzare la parità tra lavoratori e lavoratrici, essendo finalizzate ad esempio ad eliminare le disparità nell’accesso al lavoro, nella progressione in carriera e nella vita lavorativa. Le azioni positive possono essere promosse da un’ampia gamma di soggetti, tra cui le imprese, le associazioni e i centri per l’impiego”.
“La certificazione della parità di genere”
“La certificazione della parità di genere è finalizzata ad attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione a opportunità di crescita in azienda, parità salariale a parità di mansioni, politiche di gestione delle differenze di genere e tutela della maternità. Le aziende che conseguano tale certificazione accedono ad una serie di benefici, come ad esempio esoneri contributivi”.
“Il divieto di discriminazioni di genere nel rapporto di lavoro”
“Il D.Lgs. 198 del 2006 stabilisce il divieto di discriminazione di genere nei rapporti economici, estendendolo a tutti gli aspetti della vita economica, vietando la discriminazione ad esempio: nell’accesso al lavoro, nella retribuzione per l’attività svolta; nell’attribuzione di qualifiche, mansioni e nella progressione di carriera”.
“Ulteriori discriminazioni vietate”
“Normativa di riferimento”
“Nel nostro ordinamento la normativa di riferimento sulla tutela contro le discriminazioni si basa principalmente sul D.Lgs. 215 del 2003 e sul D.Lgs. 216 del 2003, che dettano disposizioni dirette a fornire un’adeguata tutela contro discriminazioni fondate sui più diversi motivi, in aggiunta agli strumenti di tutela previsti contro le discriminazioni di genere”.
“Parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica”
“Il D.Lgs. 215 del 2003 contiene disposizioni relative all’attuazione della parità di trattamento tra le persone, disponendo le misure necessarie affinché le differenze di razza o di origine etnica non siano causa di discriminazione. Il principio di parità di trattamento, senza distinzione di razza e origine etnica, si applica a tutte le persone, nel settore sia pubblico che privato, ed è suscettibile di tutela giurisdizionale, con specifico riferimento a determinate aree, come ad esempio l’accesso al lavoro, le condizioni di lavoro e l’assistenza sanitaria”.
“Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Misure per agevolare l’esercizio dei diritti conferiti ai lavoratori nel quadro della libera circolazione”
“Il D.Lgs. 216 del 2003 contiene disposizioni relative all’attuazione della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione, dalle convinzioni personali, dalla condizione di disabilità, dall’età, dalla nazionalità e dall’orientamento sessuale, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro, disponendo anche le misure necessarie affinché tali fattori non siano causa di discriminazione. Il principio di parità di trattamento, senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di condizione di disabilità, di età, di nazionalità e di orientamento sessuale, si applica a tutte le persone, nel settore sia pubblico che privato, ed è suscettibile di tutela giurisdizionale, con specifico riferimento a determinate aree, tra cui l’accesso al lavoro, le condizioni di lavoro e l’accesso a vantaggi sociali e fiscali”.
Capitolo 11 – La prestazione di lavoro
“La prestazione lavorativa”
“La prestazione lavorativa”
“La prestazione di lavoro subordinato consiste nella messa a disposizione del proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore, e rappresenta il contenuto principale dell’obbligazione del lavoratore desumibile dalle mansioni, dalle qualifiche e dalle categorie”.
“Le mansioni”
“Le mansioni”
“Le mansioni indicano l’insieme dei compiti e delle concrete e specifiche attività che il lavoratore è chiamato ad eseguire e che sono esigibili dal datore di lavoro: esse individuano, in sostanza, l’oggetto specifico dell’obbligazione lavorativa, ossia le attività concretamente svolte dal lavoratore e forniscono il criterio per determinare la prestazione dovuta”.
“Le qualifiche”
“Le qualifiche”
“La qualifica designa lo status professionale del lavoratore, legalmente e contrattualmente identificato secondo il contenuto delle mansioni. In particolare, essa esprime il tipo e il livello di una figura professionale e consente di determinare la posizione del lavoratore nella struttura organizzativa dell’impresa, nonché il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore”.
“Le categorie”
“Distinzioni”
“Le categorie costituiscono entità classificatorie che raggruppano vari profili professionali, dando vita ad un sistema di classificazione che, al pari delle qualifiche, delinea il regime giuridico cui il lavoratore è sottoposto ai fini del trattamento economico. L’individuazione delle categorie si desume da codice civile e dalla contrattazione collettiva, per cui è possibile distinguere le categorie legali da quelle cosiddette contrattuali”.
“Le categorie legali”
“L’articolo 2095 del codice civile individua quattro categorie di lavoratori subordinati e cioè i dirigenti, i quadri, gli impiegati e gli operai. Nella categoria dei dirigenti sono inquadrati quei lavoratori subordinati che ricoprono nell’azienda una posizione che implica un elevato grado di professionalità, autonomia e potere decisionale, al fine di promuovere, coordinare e gestire la realizzazione degli obiettivi dell’impresa. I quadri sono definiti come prestatori di lavoro subordinato che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa. Può invece definirsi impiegato chi professionalmente presta la propria attività alle dipendenze di un imprenditore privato, con la funzione di collaborazione, tanto di concetto che di ordine, eccettuata ogni prestazione che sia semplicemente di mano d’opera. Infine, la definizione di operaio si ha per esclusione, nel senso che è tale il prestatore che non può qualificarsi impiegato ai sensi di legge”.
“Le categorie contrattuali”
“Le categorie contrattuali sono state introdotte dalla contrattazione collettiva in aggiunta a quelle legali, e le figure professionali che si individuano in tale ambito sono quelle dei funzionari e degli intermedi. I funzionari sono lavoratori con funzioni direttive, mentre gli intermedi si collocano al massimo livello nella categoria degli operai, in quanto preposti alla guida e al controllo di un gruppo di operai”.
“L’inquadramento unico”
“L’inquadramento unico”
“L’inquadramento unico è un sistema di classificazione professionale introdotto dalla contrattazione collettiva a partire dagli anni Settanta. Questo sistema ha segnato un cambiamento significativo rispetto al passato, poiché non si basa più sulla tradizionale separazione tra impiegati e operai, ma si fonda su una pluralità di livelli professionali, che sono comuni a entrambe le categorie e ordinati in un’unica scala. L’appartenenza a un determinato livello professionale è determinata sulla base di declaratorie, cioè di definizioni generali che descrivono le caratteristiche dell’attività prestata, ed esemplificazioni, che forniscono un elenco dei diversi profili professionali specifici e quindi delle mansioni”.
“Le informazioni dovute al lavoratore sulle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro”
“Contenuto dell’obbligo informativo”
“Al momento dell’assunzione, il datore di lavoro è tenuto a fornire al lavoratore una serie di informazioni fondamentali riguardanti le condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro, tra le quali: il luogo di lavoro; l’inquadramento, il livello e la qualifica del lavoratore; la data di inizio e la tipologia del rapporto di lavoro; l’importo iniziale della retribuzione; la programmazione dell’orario normale di lavoro”.
“Modalità e tempi di comunicazione”
“Di regola, l’obbligo di informazione è assolto mediante la consegna al lavoratore, all’atto dell’instaurazione del rapporto di lavoro e prima dell’inizio dell’attività lavorativa, alternativamente, del contratto individuale di lavoro, redatto per iscritto, o della copia della comunicazione d’instaurazione del rapporto di lavoro. Per semplificare l’adempimento degli obblighi informativi e di pubblicazione in merito al rapporto di lavoro, alcune informazioni, ad esempio quelle relative alla programmazione dell’orario normale di lavoro, possono essere comunicate al lavoratore, e il relativo onere informativo ritenersi assolto, con l’indicazione del riferimento normativo o del contratto collettivo, anche aziendale, che ne disciplina le materie”.
“Ulteriori obblighi informativi nel caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati”
“Ferma restando la disciplina dei controlli a distanza prevista dallo Statuto dei lavoratori, il datore di lavoro è tenuto a informare il lavoratore dell’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio integralmente automatizzati deputati a fornire indicazioni rilevanti ai fini dell’assunzione o del conferimento dell’incarico, della gestione o della cessazione del rapporto di lavoro, dell’assegnazione di compiti o mansioni nonché indicazioni incidenti sulla sorveglianza, sulla valutazione, sulle prestazioni e sull’adempimento delle obbligazioni contrattuali dei lavoratori. Ai fini dell’adempimento dei suddetti obblighi, il datore di lavoro deve fornire al lavoratore, unitamente alle informazioni generali sul rapporto di lavoro, prima dell’inizio dell’attività lavorativa, ulteriori informazioni, ad esempio sugli aspetti del rapporto di lavoro sui quali incide l’utilizzo dei predetti sistemi”.
“Il mutamento delle mansioni (cd. ius variandi)”
“Mobilità orizzontale e verticale”
“Il lavoratore ha diritto di svolgere le mansioni indicate nel contratto di lavoro ed è legittimo il passaggio ad altre mansioni se comprese nel livello e nella categoria legale di appartenenza (mobilita orizzontale). Inoltre, il lavoratore può essere adibito a mansioni superiori con diritto al trattamento retributivo corrispondente all’attività svolta (mobilita verticale)”.
“Demansionamento”
“Il demansionamento del lavoratore può avvenire in tre ipotesi. In primo luogo, il datore di lavoro può assegnare il lavoratore a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale (mobilità verso il basso unilaterale): l’assegnazione a mansioni inferiori deve essere, però, giustificata da una modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore. Ulteriori ipotesi di adibizione a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono poi essere previste dai contratti collettivi (mobilità verso il basso per accordo collettivo). Infine, le parti possono stipulare accordi individuali per modificare le mansioni, la categoria legale, il livello di inquadramento e la relativa retribuzione (mobilità verso il basso consensuale). In quest’ultimo caso, tuttavia, è necessario che gli accordi avvengano: nell’interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita; in una delle sedi protette previste dalla legge”.
“Gli obblighi del lavoratore”
“Gli obblighi integrativi”
“L’obbligazione principale del lavoratore è lo svolgimento della prestazione lavorativa. La legge pone, tuttavia, a carico del lavoratore ulteriori obblighi, cosiddetti integrativi, che concorrono a definire la prestazione lavorativa ed il suo modo di essere, e che non costituiscono dei doveri accessori. Essi sono l’obbligo di diligenza, di obbedienza e di fedeltà”.
“La diligenza”
“L’articolo 2104, comma 1, del codice civile sancisce l’obbligo di diligenza cui il lavoratore è tenuto per il corretto e puntuale espletamento delle sue attività. La diligenza indica quel complesso di cautele, cure e attenzioni che devono informare l’esecuzione della prestazione. Nella previsione normativa, essa costituisce il criterio per valutare la prestazione dovuta dal lavoratore, cosiddetta diligenza in senso oggettivo, e per indicare, quindi, il grado e l’entità di ciò che è dovuto dal lavoratore”.
“L’obbedienza”
“L’articolo 2104, comma 2, del codice civile sancisce che il prestatore di lavoro deve osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall’imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende. L’obbligo di obbedienza del prestatore di lavoro discende dal potere direttivo del datore di lavoro nei suoi confronti. Il lavoratore è subordinato al secondo, in quanto svolge l’attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore: egli è pertanto sottoposto al potere direttivo del datore e, quindi, ha il dovere di obbedire alle disposizioni impartite”.
“La fedeltà”
“L’obbligo di fedeltà, previsto dall’articolo 2105 del codice civile, consiste nell’ulteriore dovere posto a carico del lavoratore a tutela dell’interesse dell’imprenditore alla capacità di concorrenza e di competitività dell’impresa e si collega ai principi di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 del codice civile. Esso si sostanzia nell’obbligo di tenere un comportamento leale verso il datore di lavoro e di tutelarne gli interessi.
L’obbligo di fedeltà pone in capo al lavoratore due distinti obblighi: il divieto di concorrenza e l’obbligo di riservatezza”.
“Il whistleblowing”
“Il whistleblowing consiste nella segnalazione da parte dei lavoratori di violazioni di disposizioni normative delle quali siano venuti a conoscenza nell’ambito del proprio contesto lavorativo: tale istituto rappresenta una deroga all’articolo 2105 del codice civile, giustificata dal perseguimento dell’interesse all’integrità dell’azienda. Soggetti tutelati sono non soltanto i lavoratori subordinati, ma anche, ad esempio, i lavoratori parasubordinati. Le misure di protezione sono state previste inoltre anche per quei soggetti, ad esempio i facilitatori, che, per il ruolo assunto nell’ambito del processo di segnalazione, potrebbero essere destinatari di ritorsioni”.
“I diritti del lavoratore”
“I diritti del lavoratore”
“I diritti del lavoratore costituiscono le situazioni giuridiche attive, riferibili alla prestazione lavorativa, che si esprimono nelle facoltà, libertà e prerogative riconosciute al lavoratore e vengono solitamente classificati in: diritti patrimoniali, come ad esempio il diritto alla retribuzione; diritti personali, ossia i diritti inerenti alla personalità dell’individuo, costituzionalmente garantiti, concernenti l’integrità fisica, la salute, la libertà, la dignità e la riservatezza; diritti sindacali, che comprendono le espressioni tipiche dell’attività sindacale riconosciuta ai singoli lavoratori”.
“Prescrizioni minime relative alle condizioni di lavoro e misure di tutela”
“Cumulo di impieghi”
“Il datore di lavoro, fermo il rispetto dell’obbligo di fedeltà, non può vietare al lavoratore lo svolgimento di altra attività lavorativa in orario al di fuori della programmazione dell’attività lavorativa concordata, né può riservargli, per tale motivo, un trattamento meno favorevole. Il datore, tuttavia, può limitare o negare al lavoratore lo svolgimento di un altro e diverso rapporto di lavoro qualora sussista una delle condizioni previste dalla legge, ad esempio nel caso in cui, pur senza violazione dell’obbligo di fedeltà, vi sia conflitto d’interessi tra la diversa e ulteriore attività lavorativa e quella principale”.
“Prevedibilità minima del lavoro”
“Il D.Lgs. 104 del 2022 ha stabilito il principio della prevedibilità minima dell’orario di lavoro per i lavoratori il cui rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa si svolga secondo modalità organizzative in tutto o in gran parte imprevedibili: si tratta di rapporti di lavoro nei quali non è predeterminato l’orario di lavoro e la sua collocazione temporale, e nei quali il programma di lavoro è determinato principalmente dal datore di lavoro. In queste ipotesi, il datore non può imporre al lavoratore di svolgere l’attività lavorativa, salvo che il lavoro si svolga entro ore e giorni di riferimento predeterminati e il lavoratore sia informato sull’incarico o sulla prestazione da eseguire con un periodo di preavviso ragionevole. In carenza di una o di entrambe queste condizioni, il lavoratore ha diritto di rifiutare di assumere un incarico di lavoro o di rendere la prestazione, senza subire alcun pregiudizio”.
“Transizione a forme di lavoro più prevedibili, sicure e stabili”
“Il lavoratore che abbia maturato un’anzianità di lavoro di almeno 6 mesi presso lo stesso datore di lavoro o committente e che abbia completato l’eventuale periodo di prova, può chiedere che gli venga riconosciuta una forma di lavoro con condizioni più prevedibili, sicure e stabili, se disponibile”.
“Formazione obbligatoria”
“Quando il datore di lavoro, secondo previsioni di legge o di contratto individuale o collettivo, è tenuto ad erogare ai lavoratori una formazione per lo svolgimento del lavoro per cui sono impiegati, tale formazione va garantita gratuitamente a tutti i lavoratori e va considerata come orario di lavoro e, ove possibile, deve svolgersi durante lo stesso. L’obbligo in esame non riguarda la formazione professionale o la formazione necessaria al lavoratore per ottenere, mantenere o rinnovare una qualifica professionale, salvo che il datore di lavoro non sia tenuto a fornirla per legge o in base alla contrattazione collettiva”.
“Misure di tutela”
“In caso di violazione dei diritti riconosciuti ai lavoratori dal D.Lgs. 104 del 2022 o del diritto del
lavoratore ad essere informato sulle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro, sono previste misure di tutela di diversa natura. In primo luogo, fermo il diritto di ricorrere all’autorità giudiziaria, trovano applicazione i generali meccanismi di risoluzione rapida delle controversie, comprese le procedure previste dai contratti collettivi di lavoro: ad esempio, i lavoratori possono promuovere un tentativo di conciliazione presso gli uffici territoriali dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. È poi prevista una sanzione amministrativa a carico del datore che adotta comportamenti di carattere ritorsivo o comunque con effetti sfavorevoli nei confronti del lavoratore, o dei rappresentanti dei lavoratori, per aver agito a tutela dei diritti riconosciuti al lavoratore. Viene, infatti, riconosciuto ai lavoratori e ai loro rappresentanti la possibilità di presentare al datore un reclamo o di avviare un procedimento, anche non giudiziario, per ottenere il rispetto dei diritti. Completano il quadro delle tutele le previsioni dirette a proteggere il lavoratore contro il licenziamento o contro il recesso del committente”.
“Il mobbing come violazione del diritto alla salute e alla tutela della personalità”
“Fondamento giuridico e qualificazione della fattispecie”
“Dottrina e giurisprudenza definiscono il mobbing come l’insieme di quei comportamenti posti in essere dal datore di lavoro, intermedi e colleghi, che si traducono in atteggiamenti persecutori, attuati con specifica determinazione e continuità, tali da arrecare danni rilevanti alla condizione psico-fisica del lavoratore, anche al solo fine di allontanarlo dalla collettività nel cui ambito svolge la propria opera”.
“L’individuazione del mobbing”
“Per la configurazione del mobbing la giurisprudenza individua, come necessari, i seguenti elementi: una serie di comportamenti di carattere persecutorio, finalizzati all’emarginazione del dipendente che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente; il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi”.
“La tutela del lavoratore”
“In ambito civile, il mobbing è stato innanzitutto inquadrato nell’ambito dell’articolo 2087 del codice civile, che pone a carico del datore di lavoro il generale obbligo di sicurezza, sicché sussiste la responsabilità contrattuale di quest’ultimo per non aver adempiuto ad un obbligo che nasce dal rapporto di lavoro. Inoltre, si ritiene possibile anche la responsabilità extracontrattuale del datore di lavoro, ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, per violazione dell’obbligo generale di non arrecare ad altri un danno ingiusto. In ambito penale, a seconda della condotta avuta dal mobber, possono venire in rilievo diverse norme, come ad esempio l’articolo 572 del codice penale, se le vessazioni siano avvenute nell’ambito di un rapporto di lavoro che si svolga con forme e modalità di natura para-familiare e possono, quindi, integrare il reato di maltrattamenti in famiglia”.
“Differenza tra mobbing e stalking”
“La distinzione tra mobbing e stalking risiede principalmente nel contesto in cui essi si verificano: il mobbing è un fenomeno che si manifesta principalmente nel luogo di lavoro, mentre lo stalking si colloca nella sfera privata della vittima. Si è così parlato, più propriamente, di stalking occupazionale, che si realizza quando l’attività persecutoria inizia sul luogo di lavoro e si protrae nella sfera privata del mobbizzato, per completare e/o rafforzare il progetto di mobbing che si sia rivelato inefficace allo scopo”.
“Lo straining”
“Lo straining è una forma di mobbing attenuato, in quanto caratterizzato da una singola azione che provoca però effetti duraturi nel tempo, causando al lavoratore un forte stress. Tuttavia, indipendentemente dalla classificazione come mobbing o straining, ciò che conta per la giurisprudenza è che il fatto commesso costituisca un illecito ai sensi dell’ articolo 2087 del codice civile, che impone al datore di lavoro l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e morale del lavoratore”.
Capitolo 12 – Poteri e obblighi del datore di lavoro
“I poteri del datore di lavoro: natura e limiti”
“I poteri del datore di lavoro: natura e limiti”
“I poteri specifici del datore di lavoro sono suddivisi nel: potere direttivo; potere di vigilanza e controllo; potere disciplinare. Tuttavia, l’esercizio di questi poteri è soggetto a limiti legislativi ben definiti, nonché al divieto generale di discriminazione previsto dall’ articolo 15 dello Statuto dei Lavoratori, che impone al datore di lavoro di esercitare in maniera imparziale e non arbitraria i propri poteri con riferimento alla maggior parte delle manifestazioni del potere imprenditoriale”.
“Il potere direttivo”
“Il potere direttivo”
“Il potere direttivo è un insieme di facoltà che il datore di lavoro esercita per garantire l’esecuzione e la disciplina del lavoro. In particolare: il potere gerarchico, che designa la posizione di supremazia del datore di lavoro quale capo dell’impresa, dal quale dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori; il potere conformativo, che indica il potere di specificazione dell’attività lavorativa, ovvero la concreta determinazione delle modalità per l’esecuzione del lavoro; il potere direttivo in senso stretto, che consiste nell’emanazione delle disposizioni concernenti l’organizzazione del lavoro”.
“Il potere di vigilanza e di controllo”
“Il potere di vigilanza e di controllo”
“Il potere di vigilanza e controllo è finalizzato a garantire che l’attività lavorativa venga svolta secondo le modalità stabilite dal datore di lavoro. Tuttavia, l’esercizio di questo potere è soggetto a limiti significativi imposti dallo Statuto dei Lavoratori, come ad esempio il diritto dei lavoratori di esprimere liberamente il proprio pensiero nei luoghi di lavoro e il divieto per il datore di lavoro di condurre indagini, anche tramite terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché sui fatti non rilevanti ai fini della valutazione della sua attitudine professionale”.
“La disciplina dei controlli a distanza (art. 4 St. Lav.)”
“La disciplina dei controlli a distanza (art. 4 St. Lav.)”
“L’ articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori vieta i controlli intenzionali, cioè quelli effettuati mediante strumentazioni che servono esclusivamente a realizzare un controllo a distanza sull’attività dei lavoratori. Al contrario, la norma ammette i controlli preterintenzionali, cioè quelli che costituiscono una conseguenza eventuale e indiretta di controlli effettuati mediante strumentazioni installate per altre finalità previste dalla legge, come ad esempio la tutela del patrimonio aziendale”.
“Il potere disciplinare”
“Funzione”
“Il potere disciplinare individua la facoltà del datore di lavoro di imporre sanzioni al lavoratore che non rispetti i propri doveri contrattuali, e in generale agli obblighi diligenza, obbedienza e fedeltà. Tale potere è, comunque, sottoposto a ben precisi limiti volti a preservare la libertà e la dignità del lavoratore”.
“Limiti: requisiti sostanziali e procedimentali”
“I requisiti sostanziali per il legittimo esercizio del potere disciplinare sono: la sussistenza e l’imputabilità del fatto; l’adeguatezza della sanzione; il limite alla rilevanza della recidiva, non potendo tenersi conto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione. I requisiti procedimentali sono: la predeterminazione e la pubblicità del codice disciplinare, nonché la preventiva e specifica contestazione dell’addebito. Inoltre, fatta eccezione per il rimprovero verbale, dopo la contestazione dell’infrazione, il datore deve aspettare almeno 5 giorni per la concreta adozione e applicazione della sanzione”.
“L’impugnativa delle sanzioni disciplinari”
“Il lavoratore che intende contestare la sanzione disciplinare può fare ricorso all’autorità giudiziaria oppure avvalersi di una procedura arbitrale, la quale può svolgersi secondo le modalità previste dai contratti collettivi o presso l’Ispettorato territoriale del lavoro”.
“Gli obblighi del datore di lavoro”
“Gli obblighi del datore di lavoro”
“La posizione giuridica del datore di lavoro è caratterizzata da una serie di doveri, tra i quali ad esempio l’obbligo di corrispondere al lavoratore la retribuzione e il trattamento di fine rapporto, l’obbligo di tutela delle condizioni di lavoro e dell’integrità fisica del lavoratore e l’obbligo di tutela assicurativa e previdenziale”.
“L’obbligo di tutelare la riservatezza dei lavoratori”
“ll Codice in materia di protezione dei dati personali”
“La protezione dei dati personali è disciplinata dal D.Lgs. 196 del 2003, il Codice in materia di protezione dei dati personali, che reca disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento nazionale al
Regolamento UE 2016/679, noto come GDPR (acronimo di General Data Protection Regulation), relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali. Il trattamento dei dati personali deve avvenire secondo le norme del Codice e di quelle del GDPR, nel rispetto della dignità umana, dei diritti e delle libertà fondamentali della persona”.
“Il trattamento dei dati nell’ambito del rapporto di lavoro”
“Il Codice in materia di protezione dei dati personali si applica anche nell’ambito del rapporto di lavoro in quanto, sia per la costituzione che per la gestione dello stesso, il datore di lavoro entra naturalmente in possesso di una serie di informazioni che riguardano la sfera personale e privata del lavoratore. Tuttavia, per il trattamento dei dati riguardanti i lavoratori, restano fermi i limiti previsti dalla legge, come ad esempio il divieto, sia fini dell’assunzione sia nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale dello stesso”.
“Il trattamento di particolari categorie di dati”
“Il Regolamento UE 2016/679 vieta il trattamento dei dati genetici, dei dati biometrici e dei dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona, nonché dei dati personali che rivelino l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, o l’appartenenza sindacale. I divieti in alcuni casi non si applicano, ad esempio, quando il trattamento sia necessario per finalità di valutazione della capacità lavorativa del dipendente oppure riguardi dati personali resi manifestamente pubblici dall’interessato”.
“L’obbligo di sicurezza del datore di lavoro”
“Evoluzione legislativa: dalla legislazione speciale al Testo Unico della sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/2008)”
“Nel nostro ordinamento, il quadro normativo in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro comprende una molteplicità di fonti. In primo luogo, rileva l’articolo 2087 del codice civile che rappresenta una norma di chiusura del sistema di sicurezza, volta a ricomprendere ipotesi non espressamente previste dalla legge e che ha la funzione di adeguamento permanente dell’ordinamento alla sottostante realtà socio-economica. Oltre all’articolo 2087 del codice civile, nel nostro ordinamento rileva: la Costituzione che, tra l’altro, prevede, all’articolo 32, la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività; lo Statuto dei Lavoratori che, tra l’altro, conferisce al lavoratore il diritto di controllare, mediante proprie rappresentanze, l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali.
Tuttavia, punto di riferimento fondamentale in materia è il Testo Unico in materia di salute e sicurezza del lavoro, cioè il D.Lgs. 81 del 2008”.
“La prevenzione”
“La prevenzione consiste nell’azione o nella serie di azioni che mirano a cautelare dagli infortuni
e ad evitarli e precisamente è definita dal D.Lgs. 81 del 2008 come il complesso delle disposizioni o misure necessarie anche secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno. La prevenzione si articola, quindi, nei due momenti dell’analisi dei rischi e della predisposizione delle misure per prevenirli”.
“Le misure generali di tutela”
“Il D.Lgs. 81 del 2008, all’articolo 15, elenca le misure generali di tutela del sistema di sicurezza aziendale, stabilendo in questo modo gli obblighi generali in cui si concreta il principio di prevenzione
e il criterio di priorità da seguire nelle scelte per la realizzazione del predetto sistema.
Le misure generali di tutela vanno poi integrate da quelle previste per specifici rischi, come ad esempio per la movimentazione manuale dei carichi”.
“La valutazione dei rischi”
“La valutazione dei rischi è una delle misure generali di tutela previste dal D.Lgs. 81 del 2008 e deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati, ad esempio, alle lavoratrici in stato di gravidanza, nonché quelli connessi alle differenze di genere e alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro.
La valutazione dei rischi deve avvenire sotto la diretta responsabilità del datore di lavoro, trattandosi di un obbligo non delegabile ad alcun altro soggetto”.
“Il documento di valutazione dei rischi (DVR)”
“Gli esiti della valutazione dei rischi devono essere formalizzati nel documento di valutazione dei rischi (cosiddetto DVR): la redazione di tale documento deve avvenire sotto la diretta responsabilità del datore di lavoro, non essendo delegabile ad alcun altro soggetto.
La valutazione dei rischi e il DVR devono essere aggiornati periodicamente con l’obbligo di rielaborazione in caso di variazioni che abbiano comportato una nuova valutazione, come ad esempio l’acquisto di nuovi macchinari”.
“Il sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi tramite crediti”
“Salvo eccezioni previste dalla legge, le imprese e i lavoratori autonomi, che operano nei cantieri temporanei o mobili, sono tenuti al possesso di una patente a crediti. La domanda per il rilascio della patente va presentata all’Ispettorato nazionale del lavoro che la rilascia subordinatamente al possesso dei requisiti previsti dalla legge. La patente è dotata di un punteggio iniziale di 30 crediti, che possono però essere incrementati fino alla soglia massima di 100 crediti, secondo alcuni criteri prestabiliti; inoltre, nei casi e con le modalità previste dalla legge, possono essere attribuiti fino a 40 crediti ulteriori. Il punteggio della patente può, però, subire anche decurtazioni nei casi previsti dalla legge.
La patente può inoltre essere: revocata, quando l’Ispettorato del lavoro accerti l’assenza di uno o più requisiti dichiarati inizialmente dal richiedente; sospesa in via cautelare quando ad esempio si verificano infortuni da cui deriva la morte del lavoratore, imputabile almeno a titolo di colpa grave al datore di lavoro, al suo delegato o al dirigente”.
“Il servizio di prevenzione e protezione”
“Il Servizio di Prevenzione e Protezione è costituito dall’insieme di persone, sistemi e mezzi, esterni o interni all’azienda, finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori e svolge un ruolo di supporto nei confronti del datore di lavoro.
Il Servizio di prevenzione e protezione è coordinato da un responsabile, nominato dal datore di lavoro, trattandosi di un obbligo non delegabile”.
“I soggetti responsabili e la delega di funzioni”
“L’obbligo giuridico di tutelare l’integrità psicofisica dei dipendenti ricade in primo luogo sul datore di lavoro, per cui è fondamentale identificare, nelle varie realtà lavorative, la persona fisica che assume giuridicamente tale status: a tal fine rilevano due parametri, e cioè la titolarità del rapporto di lavoro e l’effettivo esercizio dei poteri direttivi all’interno dell’impresa o dell’unità produttiva.
Salvo eccezioni di legge, è tuttavia ammessa la delega di funzioni da parte del datore di lavoro, purché siano rispettate le condizioni previste dalla legge: ad esempio, il delegato deve possedere tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate e deve accettare la delega per iscritto.
La delega di funzioni non esclude però l’obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento, da parte del delegato, delle funzioni trasferite.
Pur in subordine al datore di lavoro, soggetti responsabili sono anche i dirigenti e i preposti nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze: su entrambe le figure ricade una responsabilità diretta in materia di sicurezza, indipendentemente da un’eventuale delega di funzioni effettuata dal datore di lavoro”.
“I soggetti tutelati”
“Beneficiari del sistema di tutela predisposto dal D.Lgs. 81 del 2008 sono tutti i lavoratori, subordinati e autonomi, nonché i soggetti ad essi equiparati”.
“Gli obblighi e i diritti dei lavoratori e la formazione”
“Il D.Lgs. 81 del 2008 pone a carico dei lavoratori una serie di obblighi, disponendo espressamente
che ogni lavoratore deve prendersi cura della propria sicurezza e della propria salute e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione e alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.
Ad esempio, i lavoratori devono osservare le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti ed utilizzare correttamente i macchinari e i dispositivi di sicurezza. Oltre a tali obblighi, ai lavoratori sono riconosciuti anche specifici diritti in caso di pericolo grave e immediato, come ad esempio il diritto di allontanarsi dal posto di lavoro.
Il datore di lavoro deve assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza, in particolare sui: concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo e assistenza; rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell’azienda”.
“I rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza”
“L’articolo 9 della legge 300 del 1970 prevede che i lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica. Questa disposizione è stata rafforzata mediante l’introduzione, nel 1994, della figura del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza e, nel 2008, del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriale e del Rappresentante dei Lavoratori di Sito Produttivo”.
“La sorveglianza sanitaria”
“La sorveglianza sanitaria è finalizzata alla tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori, in relazione all’ambiente di lavoro, ai fattori di rischio professionali e alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.
La sorveglianza sanitaria è obbligatoria quando la legislazione la prevede espressamente in relazione ad attività che, per la loro rischiosità, impongono di accertare l’idoneità del lavoratore alle mansioni.
La sorveglianza sanitaria deve essere svolta esclusivamente tramite il medico competente e deve essere effettuata a cura e a spese del datore di lavoro, il quale provvede a nominarlo anche quando ne venga fatta richiesta nel documento di valutazione dei rischi”.
Capitolo 13 – La retribuzione
“L’obbligazione retributiva”
“I requisiti della retribuzione”
“La retribuzione rappresenta la prestazione fondamentale cui è obbligato il datore di lavoro nei confronti del lavoratore. Essa indica il corrispettivo del lavoro prestato, cioè il complessivo trattamento economico che deve essere corrisposto al lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro come diritto soggettivo irrinunciabile sancito e tutelato dalla Costituzione, il cui articolo 36, infatti, dispone che la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e qualità del lavoro, nonché in ogni caso sufficiente a garantire al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.
“Il principio della corrispettività”
“Il rapporto di lavoro, oltre ad essere un rapporto oneroso, è un rapporto di scambio, o a prestazioni corrispettive, in quanto la prestazione del datore è strutturalmente e funzionalmente correlata alla esecuzione della prestazione di lavoro. Alla retribuzione è quindi attribuito il carattere della corrispettività, in quanto prestazione dovuta dal datore in dipendenza della prestazione lavorativa. Il principio della corrispettività, valevole per la disciplina generale dei contratti di scambio, non ha però vigenza assoluta per il contratto di lavoro, in quanto è attenuato dalla sussistenza del principio del favor prestatoris che, in determinate ipotesi tassativamente individuate, fa sì che il datore di lavoro sia tenuto al pagamento della retribuzione anche in assenza di prestazione lavorativa”.
“I sistemi di retribuzione”
“Le tipologie retributive indicate nell’art. 2099 c.c.”
“L’articolo 2099 del codice civile contempla diverse tipologie retributive, stabilendo che la retribuzione può essere determinata: a tempo, a cottimo, con partecipazione agli utili o ai prodotti, con provvigione e, infine, in natura. Tali sistemi costituiscono metodi per calcolare l’ammontare della retribuzione, a sua volta determinata dai contratti collettivi o dagli accordi individuali”.
“Le forme ordinarie di retribuzione. Il cottimo”
“Le forme ordinarie di retribuzione sono la retribuzione a tempo e quella a cottimo. La retribuzione a tempo è il sistema classico e più diffuso, basato sulla corresponsione di una somma di denaro stabilita in rapporto al tempo di lavoro, indipendentemente dal risultato raggiunto. La retribuzione a cottimo, invece, tiene conto del risultato e della produttività del lavoro, valutando il rendimento del lavoratore. L’articolo 2100 del codice civile stabilisce che il cottimo è obbligatorio quando il lavoratore è vincolato a un determinato ritmo produttivo, come nelle catene di montaggio. Di regola, la retribuzione a cottimo si combina con la retribuzione a tempo: in tal caso si parla di cottimo misto, ipotesi nella quale il cottimo si configura come una maggiorazione integrativa della retribuzione fissa calcolata a tempo. Costituisce quindi un’eccezione il cottimo puro o pieno, nel quale la retribuzione è interamente determinata in base al sistema del cottimo: la sua principale applicazione avviene nel lavoro a domicilio”.
“Le forme speciali di retribuzione”
“Sono forme speciali di retribuzione: la retribuzione in natura; la provvigione; la partecipazione agli utili e al capitale dell’impresa; la retribuzione differita”.
“La determinazione della retribuzione”
“Le fonti della retribuzione”
“La retribuzione è in concreto stabilita: dalla contrattazione collettiva; dall’accordo delle parti, soprattutto nell’ipotesi in cui manchino contratti collettivi che stabiliscano la misura della retribuzione; dal giudice, in caso di mancata determinazione collettiva o negoziale”.
“Il principio di non discriminazione”
“Lo Statuto dei Lavoratori vieta la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio, cioè ad esempio determinati esclusivamente da ragioni politiche, sindacali o religiose”.
“Gli elementi della retribuzione”
“Gli elementi della retribuzione”
“La retribuzione si compone di diversi elementi, che costituiscono il trattamento economico complessivo. Il primo elemento è la paga base, legata alla categoria e alla qualifica del lavoratore, cui si aggiungono gli scatti di anzianità, ossia gli aumenti periodici della retribuzione, legati alla permanenza del lavoratore presso lo stesso datore di lavoro. Vi è poi è l’elemento distinto della retribuzione, che consiste in una piccola somma mensile erogata per 13 mensilità al fine di compensare l’abolizione dell’indennità di contingenza. Infine, ci sono le attribuzioni patrimoniali accessorie, corrisposte in via saltuaria o anche continuativa, previste nei contratti collettivi o individuali in aggiunta alla retribuzione normale minima”.
“L’adempimento dell’obbligazione retributiva”
“L’adempimento dell’obbligazione retributiva”
“Di regola, la retribuzione deve essere corrisposta entro il termine stabilito dai contratti collettivi o individuali oppure, in mancanza di questi, secondo gli usi. Il diritto al pagamento della retribuzione sorge a lavoro compiuto: è questo il principio della postnumerazione.
Qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato, i datori di lavoro non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, bensì soltanto attraverso una banca o un ufficio postale, ad esempio mediante bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore”.
Capitolo 14 – Luogo e durata della prestazione
e i rapporti di lavoro ad orario flessibile
“Il luogo della prestazione. Il trasferimento del lavoratore”
“La sede di lavoro”
“La prestazione di lavoro va eseguita nel luogo stabilito dalle parti nel contratto o dall’imprenditore nel regolamento di impresa. Il luogo in cui deve essere eseguita la prestazione di lavoro coincide normalmente con l’unità produttiva che viene specificata nel contratto di lavoro. Se il contratto non indica il luogo, allora la prestazione va eseguita nella sede dell’impresa”.
“Il trasferimento del lavoratore”
“In base all’articolo 2103 del codice civile, il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.
“La trasferta e il trasfertismo”
“La trasferta è un cambiamento temporaneo e provvisorio del luogo in cui il lavoratore subordinato svolge la sua prestazione. Quando la trasferta diventa invece una modalità normale, e non più sporadica, della prestazione lavorativa, si parla di trasfertismo.
La differenza tra trasferta e trasfertismo rileva soprattutto ai fini del trattamento economico e per la disciplina previdenziale e fiscale”.
“La durata della prestazione e i criteri per la determinazione dell’orario di lavoro”
“Funzione dell’orario di lavoro e fonti normative”
“L’orario di lavoro serve a calcolare la retribuzione spettante al lavoratore e ha storicamente costituito un limite alla durata giornaliera e settimanale della prestazione lavorativa, evitando l’eccessivo logoramento delle energie psico-fisiche del lavoratore.
Le principali fonti normative in materia di orario di lavoro sono rappresentate dall’articolo 36 della Costituzione, che ha stabilito una riserva di legge per la durata massima della giornata lavorativa, e dal D.Lgs. 66 del 2003 che, all’articolo 1, ha definito l’orario di lavoro come qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
“L’orario normale settimanale e l’orario multiperiodale”
“Il parametro di riferimento per determinare l’orario di lavoro è la settimana lavorativa. In particolare, l’orario normale di lavoro è fissato in 40 ore settimanali, e tutte le ore lavorate oltre tale limite sono classificate come lavoro straordinario, che è soggetto a un regime legale specifico: questo è il regime legale. Tuttavia, i contratti collettivi possono stabilire un orario settimanale inferiore alle 40 ore settimanali, ad esempio introducendo una settimana lavorativa di 36 ore: questo è il regime contrattuale. L’orario settimanale può poi essere fissato dalla contrattazione collettiva come durata media delle prestazioni di lavoro in un periodo non superiore all’anno, e con la possibilità di compensare orari settimanali differenti nel periodo prescelto: questo è il regime contrattuale di orario
multiperiodale”.
“Il limite massimo settimanale”
“La durata massima settimanale del lavoro, includendo sia il lavoro ordinario che quello straordinario, non deve superare le 48 ore per un periodo di 7 giorni: questo limite massimo settimanale deve essere osservato non rigidamente in ciascuna settimana, ma come media in un periodo non superiore a 4 mesi, elevabile a 6 e fino a 12 mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o organizzative, o diverso periodo specificato dal contratto collettivo”.
“Il riposo obbligatorio settimanale”
“Il lavoratore ha diritto, ogni 7 giorni, a un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola in coincidenza con la domenica, da cumulare con le ore di riposo giornaliero. La pausa settimanale può essere calcolata anche come media in un periodo non superiore a 14 giorni: sia per la regola del riposo ogni 7 giorni che per quella della coincidenza dello stesso con la domenica, sono però previste diverse deroghe”.
“L’orario di lavoro giornaliero e le pause intermedie”
“Il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore (cd. riposo giornaliero), per cui si ricava a contrario che la durata massima della giornata lavorativa e di 13 ore. Inoltre, se l’orario di lavoro giornaliero supera le 6 ore, il lavoratore ha diritto a delle pause per recuperare le energie psico-fisiche, per alleviare il lavoro monotono e ripetitivo e, se necessario, per consumare il pasto”.
“Il regime sanzionatorio”
“Per la violazione delle disposizioni previste in materia di orario massimo settimanale, di riposo obbligatorio settimanale e di riposo giornaliero, è prevista l’applicazione di sanzioni amministrative, il cui importo varia in proporzione al numero di lavoratori coinvolti e ai periodi in cui si sono verificate le violazioni di legge”.
“Il lavoro straordinario”
“Il lavoro straordinario è il lavoro prestato oltre l’orario normale di lavoro, cioè oltre la quarantesima ora. Se il contratto collettivo ha previsto una durata settimanale del lavoro inferiore alla durata legale, ad esempio di 36 ore, le ore di lavoro eventualmente effettuate in più sono considerate lavoro straordinario soltanto se viene superato il limite legale di 40 ore settimanali.
Per il lavoro straordinario sono riconosciute maggiorazioni retributive oppure, in alternativa o in aggiunta a queste, riposi compensativi e sono previsti limiti, giornalieri e settimanali”.
“Le ferie annuali e le festività”
“Il diritto al riposo annuale (ferie)”
“L’articolo 36 della Costituzione sancisce il diritto del lavoratore a fruire di ferie annuali retribuite: trattasi di un diritto irrinunciabile.
Il periodo di riposo annuale deve essere congruo, cioè avere una durata adeguata; possibilmente fruito in maniera continuativa; effettivo, cioè le giornate di riposo devono essere concretamente godute dal lavoratore. Questo diritto si applica a tutti i lavoratori subordinati, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, dalla qualifica rivestita e dall’anzianità di servizio”.
“La durata del periodo feriale”
“Il lavoratore ha diritto a un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a 4 settimane, ferma restando la facoltà per la contrattazione collettiva di derogare in senso più favorevole, cioè prevedendo periodi di ferie più lunghi. Il lavoratore matura il diritto al periodo feriale in base ai giorni lavorati in un periodo di 12 mesi.
Il momento di godimento delle ferie, per ciascun lavoratore, è stabilito dal datore di lavoro, che deve tenere conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore, salvaguardando il principio di massima della continuità del periodo feriale”.
“Il principio dell’effettivo godimento delle ferie”
“Il D.Lgs. 66 del 2003 ha introdotto il divieto di monetizzazione delle ferie e il principio dell’effettività del loro godimento. In base al divieto di monetizzazione, non è ammissibile che il lavoratore rinunci a fruire delle ferie, ottenendo in cambio il controvalore della giornata lavorativa a titolo di maggiorazione. Tuttavia, esistono delle ipotesi in cui la monetizzazione è legittima, ad esempio nel caso in cui il rapporto di lavoro cessi nel corso dell’anno. Il principio dell’effettivo godimento delle ferie implica che esse siano fruite effettivamente nell’anno di maturazione: questo principio non si applica però a tutto il periodo spettante, ma soltanto ad un periodo minimo di 2 settimane; le restanti due settimane di ferie spettanti possono essere godute dal lavoratore nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione. I lavoratori possono anche cedere i riposi e le ferie da loro maturati ai lavoratori dipendenti dallo stesso datore di lavoro. È però necessario che la fruizione dei riposi e delle ferie ceduti sia finalizzata ad agevolare il lavoratore che ne beneficia nell’assistenza dei figli minori che, per le particolari condizioni di salute, necessitano di cure costanti”.
“Eventi che determinano una sospensione delle ferie in godimento”
“Dall’applicazione del principio dell’effettività del godimento delle ferie, dovrebbe conseguire la sospensione delle stesse in tutti quei casi in cui il lavoratore sia impedito da eventi oggettivi che inficiano quei benefici che esse comportano: a tale conclusione si è giunti soprattutto grazie all’intervento giurisprudenziale che, in questo modo, ha cercato di presidiare l’importante funzione dell’istituto. In particolare, la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto alla sospensione del decorso delle ferie per malattia intervenuta durante la fruizione delle ferie quando sussiste una specifica incompatibilità con l’essenziale funzione di riposo e recupero delle energie psicofisiche del lavoratore”.
“Le festività”
“Oltre al riposo giornaliero, settimanale e annuale, i lavoratori hanno diritto alla sospensione dal lavoro in occasione delle festività nazionali, ad esempio il primo giorno dell’anno, il giorno dell’Epifania e il lunedì dopo Pasqua. Durante le festività, ai lavoratori spetta la normale retribuzione giornaliera, che include ogni elemento accessorio”.
“Il lavoro notturno”
“Disciplina e ambito di operatività”
“Si ha periodo notturno quando l’attività è svolta nel corso di un periodo pari ad almeno 7 ore consecutive comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le ore 5 del mattino.
Per lavoratore notturno s’intende qualsiasi lavoratore che, durante il periodo notturno, svolga almeno 3 ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale, nonché qualsiasi lavoratore che svolga, durante il periodo notturno, almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dai contratti collettivi di lavoro. In difetto di disciplina collettiva, è considerato lavoratore notturno qualsiasi lavoratore che svolga, per almeno 3 ore, lavoro notturno per un minimo di 80 giorni lavorativi all’anno. Tale limite minimo è riproporzionato in caso di lavoro a tempo parziale”.
“Durata e organizzazione del lavoro notturno”
“La disciplina del lavoro notturno deve essere predisposta dalla contrattazione collettiva, nel rispetto delle disposizioni del D.Lgs. 66 del 2003 e, in particolare, della durata massima della prestazione.
L’orario di lavoro dei lavoratori notturni non può superare le 8 ore in media nelle 24 ore, salva l’individuazione, da parte dei contratti collettivi, di un periodo di riferimento più ampio sul quale calcolare come media il suddetto limite”.
“Tutela della salute dei lavoratori notturni”
“Il datore di lavoro ha l’obbligo di verificare lo stato di salute dei lavoratori notturni, attraverso controlli preventivi e periodici, adeguati al rischio cui il lavoratore è esposto.
È comunque vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Inoltre in alcune ipotesi previste dalla legge, non sussiste l’obbligo di prestare lavoro notturno ed un eventuale rifiuto non può essere sanzionato: è il caso, ad esempio, della lavoratrice madre di un figlio di età inferiore a 3 anni o, in alternativa, del padre convivente con la stessa”.
“Il lavoro a tempo parziale”
“Caratteristiche”
“Il lavoro a tempo parziale, o part-time, si sostanzia in un rapporto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato o a termine, caratterizzato da un orario di lavoro inferiore rispetto all’orario di lavoro a tempo pieno: l’orario di lavoro pieno a cui fare riferimento è quello stabilito dalla legge in 40 ore settimanali o il minor orario settimanale fissato dal contratto collettivo.
Il contratto part-time deve essere stipulato in forma scritta al fine di provare la sussistenza del rapporto: se non si riesce a fornire la prova circa la stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro, potrà essere dichiarata, a domanda del lavoratore, la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno”.
“Il lavoro supplementare e straordinario”
“Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi ed entro i limiti dell’orario normale di lavoro, il datore di lavoro può chiedere al lavoratore di effettuare prestazioni di lavoro supplementare, definite come prestazioni di lavoro svolte oltre l’orario concordato fra le parti anche in relazione alle giornate, alle settimane o ai mesi. In mancanza di previsioni del contratto collettivo, il lavoro supplementare può essere svolto entro i limiti posti dal D.Lgs. 81 del 2015: ad esempio, il datore di lavoro può richiederlo in misura non superiore al 25 per cento delle ore di lavoro settimanali concordate. Su richiesta del datore di lavoro, il lavoratore part-time può effettuare anche lavoro straordinario, cioè attività lavorativa svolta oltre l’orario legale settimanale”.
“Le clausole di elasticità”
“Nell’ambito di un rapporto di lavoro part-time, è possibile modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa e/o aumentare la durata della stessa attraverso la stipulazione di clausole di elasticità, che devono essere stipulate per iscritto e nel rispetto delle disposizioni della contrattazione collettiva. In mancanza di regole definite dal contratto collettivo, si applicano le previsioni del D.Lgs. 81 del 2015: ad esempio, sulla misura massima dell’aumento dell’orario, che non può eccedere il limite del 25 per cento della normale prestazione annua a tempo parziale; sul trattamento economico del lavoratore, che ha diritto ad una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria”.
“La trasformazione del rapporto”
“Il lavoratore part-time non ha un diritto alla trasformazione del proprio rapporto di lavoro in rapporto a tempo pieno, ma soltanto un diritto di precedenza alla trasformazione, cioè il diritto di essere preferito ad altri lavoratori in caso di nuove assunzioni a tempo pieno da parte del datore di lavoro, per l’espletamento delle stesse mansioni, o di mansioni di pari livello e categoria legale rispetto a quelle oggetto del rapporto di lavoro part-time. Il diritto di precedenza è però riconosciuto solo ai lavoratori che, assunti in origine a tempo pieno, hanno successivamente trasformato il proprio rapporto in part-time. Anche il lavoratore a tempo pieno, in generale, non ha un diritto alla trasformazione del proprio rapporto di lavoro in part-time, salvo ricorrano determinate ipotesi previste dalla legge: ad esempio, sia affetto da patologie oncologiche. È riconosciuta invece soltanto una priorità nella trasformazione del contratto di lavoro a tempo pieno in part-time ai lavoratori che si trovino in determinate circostanze previste dalla legge: ad esempio, lavoratori che abbiano il coniuge affetto da patologie oncologiche. Resta comunque ferma la possibilità per le parti di accordarsi per la trasformazione di un rapporto di lavoro a tempo pieno in part-time”.
“Il principio di non discriminazione”
“Il D.Lgs. 81 del 2015 sancisce il principio di non discriminazione per i lavoratori a tempo parziale, stabilendo che questi non devono ricevere un trattamento meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno di pari inquadramento”.
“Il lavoro intermittente”
“Campo di applicazione”
“Mediante il contratto di lavoro intermittente un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro, che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente. Elemento peculiare di tale tipologia contrattuale è che la prestazione non è effettuata con continuità, come accade in un normale rapporto di lavoro subordinato, ma solo su richiesta del datore, che può utilizzare il lavoratore intermittente solo quando ne ha effettivamente bisogno. Le esigenze per le quali è legittimo il ricorso al lavoro intermittente sono individuate dai contratti collettivi: oltre che nei casi previsti dai contratti collettivi, il contratto di lavoro intermittente è attivabile con soggetti con più di 55 anni di età e con soggetti con meno di 24 anni di età. Il ricorso al lavoro intermittente è ammesso, comunque, per ciascun lavoratore con lo stesso datore di lavoro, nel limite di un periodo complessivamente non superiore alle 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari. In alcuni casi, il ricorso al lavoro intermittente è vietato: ad esempio, per la sostituzione di lavoratori in sciopero”.
“Contratto di lavoro”
“Il contratto di lavoro intermittente deve essere redatto in forma scritta ai fini della prova, e deve contenere determinati elementi, tra cui la natura variabile della programmazione del lavoro, la durata e le condizioni che permettono la stipulazione del contratto, nonché il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore. Nel contratto di lavoro devono essere indicati anche il luogo e le modalità della disponibilità eventualmente garantita dal lavoratore. Il contratto intermittente, infatti, non genera automaticamente un obbligo del lavoratore di restare a disposizione e a rispondere positivamente alla chiamata del datore. Perché tale obbligo sussista, è necessario che sia oggetto di apposita ed espressa previsione da parte del contratto individuale”.
“Diritti del lavoratore e indennità di disponibilità”
“Il lavoratore intermittente ha diritto, per i periodi lavorati, a un trattamento economico e normativo complessivamente non meno favorevole di quello di un lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte e in proporzione alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita. Nei periodi in cui non viene utilizzata la prestazione, il lavoratore non matura alcun trattamento economico e normativo. Tuttavia, quando il lavoratore è obbligato contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro, egli ha diritto a percepire un’indennità mensile di disponibilità per i periodi in cui è in attesa di utilizzazione”.
“Permessi e congedi (quadro generale)”
“Permessi e congedi retribuiti”
“I lavoratori sono legittimati ad assentarsi dal lavoro usufruendo dei congedi e dei permessi disciplinati dal legislatore. Si tratta di ipotesi di previsione legale (o contrattuale) in cui si consente, per brevi periodi, la sospensione dell’obbligazione di lavoro, garantendo però la conservazione del posto di lavoro e, in alcuni casi, anche la retribuzione. Tra i principali permessi e congedi retribuiti si ricordano quelli riconosciuti: ai donatori di sangue, che hanno diritto di astenersi dal lavoro nel giorno del prelievo; ai lavoratori studenti che hanno diritto a permessi giornalieri per sostenere prove di esame; alle lavoratrici gestanti, che hanno diritto a permessi retribuiti per l’effettuazione di esami prenatali, accertamenti clinici o visite mediche specialistiche, nel caso in cui questi debbano essere eseguiti durante l’orario di lavoro”.
“Permessi e congedi non retribuiti”
“Tra i più importanti permessi e congedi non retribuiti ricordiamo quelli riconosciuti: ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali che hanno diritto, oltre ai permessi retribuiti previsti dallo Statuto dei Lavoratori, a non meno di 8 giorni annui di permesso per convegni, congressi e iniziative sindacali in genere; per adempiere a doveri civici, come ad esempio votazioni”.
“Permessi per la disabilità”
“Permessi per i lavoratori con disabilità”
“La legge 104 del 1992 riconosce alle persone handicappate in situazione di gravità e cioè, secondo la terminologia introdotta dal D.Lgs. 62 del 2024, alle persone con disabilità con necessità di sostegno elevato o molto elevato, il diritto a 2 ore di permesso giornaliero retribuito o, in alternativa, a 3 giorni di permesso mensile, retribuiti e fruibili anche in maniera continuativa o frazionata”.
“Permessi per i lavoratori che assistono un familiare con disabilità”
“Il lavoratore dipendente ha diritto a fruire di 3 giorni di permesso mensile retribuito per assistere una persona con disabilità in situazione di gravità e cioè, secondo la terminologia introdotta dal D.Lgs. 62 del 2024, con necessità di sostegno elevato o molto elevato, non ricoverata a tempo pieno e rispetto alla quale il lavoratore sia coniuge, parte di un’unione civile, convivente di fatto, parente o affine entro il secondo grado. In caso di mancanza o decesso dei genitori o del coniuge o della parte di un’unione civile o del convivente di fatto, ovvero qualora gli stessi siano affetti da patologie invalidanti o abbiano compiuto 65 anni di età, il diritto è riconosciuto a parenti o affini entro il terzo grado della persona con disabilità da assistere”.
“Permessi per i genitori di figli con disabilità”
“La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre di minore con disabilità in situazione di gravità e cioè, secondo la terminologia introdotta dal D.Lgs. 62 del 2024, con necessità di sostegno elevato o molto elevato, hanno la possibilità di chiedere ai rispettivi datori di lavoro di usufruire: in alternativa al prolungamento fino a 3 anni del congedo parentale, di 2 ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino; oppure di 3 giorni di permesso mensile retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino”.
“Congedo straordinario di 2 anni”
“In caso di assistenza ad un soggetto con disabilità in situazione di gravità e cioè, secondo la terminologia introdotta dal D.Lgs. 62 del 2024, con necessità di sostegno elevato o molto elevato, il lavoratore ha diritto a fruire di un congedo straordinario della durata massima di 2 anni, retribuito dal datore di lavoro. Il diritto al congedo è riconosciuto ad una pluralità di soggetti conviventi con la persona da assistere, anche se la convivenza sia stata instaurata successivamente alla richiesta, secondo un ordine di priorità che tiene conto dell’eventuale decesso, mancanza o impossibilità di assistenza del soggetto deputato a prestarla”.
“Permessi e congedi per eventi particolari”
“Permessi e congedi per eventi particolari”
“La legge 53 del 2000 prevede che i lavoratori possono fruire di speciali permessi retribuiti, in particolare 3 giorni lavorativi all’anno, in caso di eventi particolari quali, ad esempio, il decesso o la grave malattia del coniuge o del convivente o di un parente entro il secondo grado. In alternativa, nei casi di documentata grave infermità, il lavoratore o la lavoratrice può concordare con il datore diverse modalità di espletamento della prestazione lavorativa. I lavoratori hanno, inoltre, diritto a un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a 2 anni, per gravi e documentati motivi familiari”.
“Congedi per la formazione”
“Congedi per la formazione”
“Al fine di promuovere la formazione professionale dei lavoratori, la legge 53 del 2000 prevede appositi congedi per finalità formative. In particolare, tali congedi sono finalizzati al completamento della scuola dell’obbligo, al conseguimento del titolo di studio di secondo grado, del diploma universitario o di laurea, alla partecipazione ad attività formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro. Per queste finalità i lavoratori dipendenti, con un’anzianità di servizio presso la stessa azienda o amministrazione di almeno 5 anni, possono richiedere al proprio datore di lavoro la sospensione del rapporto di lavoro per un periodo di congedo, da utilizzare in via continuativa o frazionata, non superiore a 11 mesi nell’arco dell’intera vita lavorativa.
La legge 53 del 2000 sancisce, inoltre, il diritto per tutti i lavoratori a fruire di congedi per la formazione continua, cioè di percorsi di formazione per tutto l’arco della vita, allo scopo di accrescere le proprie conoscenze e competenze professionali”.
“Congedo per le donne vittime di violenza di genere”
“Congedo per le donne vittime di violenza di genere”
“A tutela delle donne lavoratrici vittime di violenza di genere è previsto un apposito congedo retribuito, se inserite in percorsi di protezione debitamente certificati dai servizi sociali del comune di residenza, dai centri antiviolenza o dalle case rifugio. Il diritto ad astenersi dal lavoro compete per motivi connessi al percorso di protezione per una durata massima di 3 mesi”.
“La disciplina normativa e previdenziale dell’assenza per malattia del lavoratore e il ruolo dell’INPS”
“Specialità della disciplina rispetto a quella di diritto comune”
“Mentre la disciplina generale dei contratti a prestazioni corrispettive prevede che, nel caso in cui una delle parti non può effettuare la prestazione a cui è tenuta, l’altra parte è liberata dalla propria obbligazione e può recedere dal contratto, per il contratto di lavoro vigono norme speciali che, per tutelare il lavoratore, producono effetti diversi. L’esecuzione del rapporto di lavoro subordinato può infatti essere sospesa nelle ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione per cause che riguardano il lavoratore, ma che non sono a lui imputabili a titolo di colpa, come ad esempio la malattia e l’infortunio. In questi casi, l’articolo 2110 del codice civile riconosce al lavoratore il diritto alla conservazione del posto di lavoro per un certo periodo di tempo, detto periodo di comporto, e a una tutela economica per i giorni di assenza, i quali tra l’altro sono computati nell’anzianità di servizio”.
“L’incapacità lavorativa”
“La malattia comporta la sospensione del rapporto di lavoro quando l’alterazione dello stato di salute del lavoratore incide sulla sua capacità lavorativa, rendendo impossibile l’esecuzione della prestazione. A tal proposito, si ritiene che l’incapacità lavorativa debba essere concreta, confrontando lo stato di salute con l’effettiva attività svolta dal lavoratore, e attuale, e quindi non soltanto potenziale”.
“Il trattamento economico”
“Per i lavoratori con qualifica impiegatizia nel settore dell’industria, e più in generale per i settori previsti dalla legge o dal contratto collettivo, il trattamento economico è posto interamente a carico del datore di lavoro: si parla, infatti, di malattia non indennizzabile dall’INPS. Sono a carico dell’INPS le indennità giornaliere di malattia per alcune categorie di lavoratori subordinati, tra cui operai e categorie assimilate dell’industria, dell’artigianato e dell’agricoltura, operai e impiegati nel settore del commercio e del terziario, nonché lavoratori soci di società ed enti cooperativi, a partire dal quarto giorno di malattia e fino a un massimo di 180 giorni nell’anno solare. I primi tre giorni di malattia, noti come periodo di carenza, sono invece a carico del datore di lavoro”.
“Adempimenti del lavoratore”
“Il lavoratore deve tempestivamente comunicare al datore di lavoro lo stato di malattia e sottoporsi ad accertamento sanitario dal medico curante che, nei casi d’infermità comportante incapacità lavorativa, rilascia un certificato medico. Il medico curante rilascia e trasmette telematicamente il certificato di malattia all’INPS, che a sua volta lo invia immediatamente, sempre per via telematica, al datore di lavoro interessato. Nel caso in cui non sia stato possibile inviare telematicamente la certificazione all’INPS, il lavoratore deve ricevere copia cartacea del certificato di malattia e farlo recapitare o trasmetterlo, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, al datore di lavoro. Il lavoratore è tenuto a comunicare e a certificare anche la prosecuzione della malattia entro il giorno successivo alla scadenza della prognosi precedente; analogamente, nel caso di guarigione anticipata, il lavoratore deve richiedere una rettifica del certificato in corso, per documentare correttamente il periodo di incapacità temporanea al lavoro”.
“L’accertamento dello stato di malattia”
“L’accertamento sullo stato di malattia del lavoratore deve essere effettuato esclusivamente da medici iscritti in apposite liste dell’ente previdenziale o dai medici delle ASL, e avvengono in specifici intervalli di tempo, denominati fasce di reperibilità. In caso di assenza ingiustificata del lavoratore alla visita medica di controllo, è prevista la perdita dell’indennità di malattia: in particolare, la perdita totale per un massimo di 10 giorni e, in caso di irreperibilità ad una seconda visita di controllo, perdita del 50 per cento per il restante periodo di malattia.
Tuttavia, in alcuni casi, in considerazione della natura delle patologie dichiarate dal lavoratore, è previsto l’esonero dall’obbligo di osservare le fasce di reperibilità: ad esempio, sono esonerati i lavoratori subordinati, dipendenti da datori di lavoro privati, per i quali l’assenza sia eziologicamente riconducibile a patologie gravi che richiedono terapie salvavita”.
“Adempimenti del datore di lavoro”
“Il datore di lavoro è tenuto a pagare direttamente l’indennità di malattia al lavoratore, anticipando le somme che sono di competenza dell’INPS, salvo i casi in cui l’indennità sia corrisposta direttamente dall’ente previdenziale, e a corrispondere la retribuzione per i giorni e nei casi in cui la copertura economica dell’evento sia in tutto o in parte a suo carico”.
“Il metodo della lordizzazione”
“In virtù di diffuse previsioni dei contratti collettivi, il datore di lavoro è tenuto a integrare l’indennità di malattia, per consentire al lavoratore di raggiungere una misura più elevata di trattamento economico ovvero il totale della retribuzione. Il calcolo della quota integrativa a carico del datore di lavoro avviene con un particolare metodo, denominato lordizzazione, finalizzato ad evitare che il lavoratore in stato di malattia percepisca, per effetto dell’integrazione, un trattamento economico complessivo superiore al cento per cento della retribuzione, o alla misura minore stabilita dal CCNL. Il metodo della lordizzazione utilizza, come elemento di calcolo della quota integrativa a carico del datore, non la pura e semplice indennità di malattia, ma questa aumentata di una ipotetica contribuzione”.
“La surroga dell’INPS”
“La malattia di un lavoratore può essere causata o aggravata dal comportamento di terzi, che ne possono rispondere a titolo di dolo o colpa. In tali situazioni, l’INPS, quale ente gestore dell’assicurazione sociale, ha il diritto di surroga, consistente nella possibilità di ottenere dal terzo responsabile il rimborso della somma corrisposta al soggetto danneggiato come indennità per la malattia che ne è conseguita. Sicché, al fine di consentire all’ente assicuratore di esperire le azioni surrogatorie e di rivalsa, il medico deve segnalare nei certificati di malattia i casi di infermità comportante incapacità lavorativa, derivante da responsabilità di terzi”.
“La tutela della malattia del lavoratore autonomo”
“La malattia dei lavoratori autonomi che prestano la loro attività in via continuativa per il committente non comporta l’estinzione del rapporto di lavoro. Su richiesta del lavoratore autonomo, l’esecuzione della prestazione può essere sospesa, senza diritto al corrispettivo, per un periodo non superiore a 150 giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell’interesse del committente”.
“La tutela della malattia del lavoratore parasubordinato”
“I lavoratori parasubordinati iscritti alla gestione separata INPS, né pensionati né iscritti ad altra
forma previdenziale obbligatoria, hanno diritto alla tutela in caso di malattia a carico dell’Istituto.
In particolare, in presenza dei requisiti legislativi, sono previste: l’indennità per degenza ospedaliera, per un periodo massimo di 180 giorni nell’anno solare, per ogni giornata di degenza presso strutture ospedaliere pubbliche e private accreditate dal SSN; l’indennità giornaliera di malattia, nel limite massimo di giorni pari ad un sesto della durata complessiva del rapporto di lavoro e comunque non inferiore a 20 giorni nell’arco dell’anno solare, con esclusione degli eventi morbosi di durata inferiore a 4 giorni”.
Capitolo 15 – L’estinzione del rapporto di lavoro
“Le cause di estinzione del rapporto di lavoro subordinato”
“Tipologia”
“Il rapporto di lavoro può estinguersi per diverse cause. Tra queste, le principali sono: la scadenza del termine, applicabile ai rapporti di lavoro che prevedono una durata determinata; la morte del lavoratore; il recesso del prestatore di lavoro, noto come dimissioni, o del datore di lavoro, comunemente chiamato licenziamento; la risoluzione consensuale, o mutuo consenso, che si verifica quando entrambe le parti concordano di terminare il contratto”.
“Il recesso di una delle parti del rapporto”
“La cessazione del rapporto di lavoro avviene principalmente attraverso il recesso, che può essere attuato sia dal lavoratore con le dimissioni, sia dal datore di lavoro con il licenziamento del lavoratore. Il recesso è un atto unilaterale recettizio, nel senso che diventa efficace nel momento in cui l’altra parte ne viene a conoscenza. Nel rapporto di lavoro a tempo determinato, entrambe le parti non possono recedere dal contratto prima della scadenza del termine stabilito, a meno che si verifichi una giusta causa: in assenza di giusta causa, la parte che recede anticipatamente può essere obbligata a risarcire l’altra parte per i danni subiti a causa del recesso anticipato.
Nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, invece, mentre il recesso del lavoratore è libero, quello del datore di lavoro è sottoposto alla sussistenza di una causa giustificatrice”.
“L’obbligo di preavviso”
“Il recesso da un contratto a tempo indeterminato richiede l’osservanza di un periodo di preavviso, per permettere al datore di lavoro, in caso di dimissioni del lavoratore, di cercare un sostituto, e al lavoratore, in caso di licenziamento, di trovare una nuova occupazione. La durata del preavviso è determinata dai contratti collettivi e varia in base alla qualifica e all’anzianità di servizio del lavoratore. Durante questo periodo, il rapporto di lavoro continua normalmente, ed entrambe le parti devono rispettare tutti gli obblighi contrattuali inclusa l’esecuzione della prestazione lavorativa e il pagamento della retribuzione. La violazione dell’obbligo di preavviso impone alla parte recedente di corrispondere all’altra l’indennità di mancato preavviso, equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso. L’obbligo di preavviso non è tuttavia richiesto quando le dimissioni o il licenziamento avvengono per giusta causa”.
“L’estinzione del rapporto di lavoro nel Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”
“Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha previsto, all’articolo 189, che i rapporti di lavoro subordinato in corso alla data della sentenza dichiarativa dell’apertura della procedura di liquidazione giudiziale restano sospesi fino a quando il curatore, previa autorizzazione del giudice, comunica ai lavoratori di subentrarvi, assumendo i relativi obblighi, ovvero il recesso. Quando non è disposta né autorizzata la prosecuzione dell’esercizio dell’impresa e non è possibile il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo, il curatore comunica per iscritto il recesso dai relativi rapporti di lavoro subordinato. In ogni caso, decorso il termine di 4 mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale senza che il curatore abbia comunicato il subentro, i rapporti di lavoro subordinato cessano con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale: peraltro, il curatore o i singoli lavoratori possono chiedere al giudice la proroga di questo termine se sussistono elementi concreti per l’autorizzazione all’esercizio dell’impresa o per il trasferimento dell’azienda o di un suo ramo”.
“La disciplina delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali”
“Disciplina generale”
“Salvo eccezioni, sia per le dimissioni volontarie e che per le risoluzioni consensuali del rapporto di lavoro, devono essere utilizzati, a pena di inefficacia, i moduli resi disponibili dal Ministero del Lavoro e trasmessi al datore di lavoro e alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro.
Entro sette giorni dalla trasmissione del modulo, il lavoratore ha diritto di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale, utilizzando le stesse modalità”.
“Dimissioni per fatti concludenti”
“In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, oltre i 15 giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima.
In questo caso, non si deve applicare la procedura telematica perché il rapporto di lavoro s’intende risolto per volontà del lavoratore, realizzandosi un’ipotesi di dimissioni per fatti concludenti.
L’effetto risolutivo, tuttavia, non si verifica quando: l’Ispettorato accerta la non veridicità della comunicazione da parte del datore di lavoro; il lavoratore dimostra di non aver potuto comunicare i motivi che giustificano la sua assenza per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro”.
“La disciplina del licenziamento individuale”
“Dalla libertà di recesso alla disciplina limitativa dei licenziamenti”
Nel codice civile del 1865, la materia del lavoro era circoscritta in una visione economica esclusivamente di tipo liberale, sostanzialmente ribadita dal codice civile del 1942, che prevedeva univocamente la libertà di recesso del datore e del prestatore dal contratto di lavoro a tempo indeterminato. Con l’entrata in vigore della Costituzione, però, si sono però affermati principi fondamentali come l’uguaglianza sostanziale e la tutela del lavoro, gettando le basi per l’emanazione di una legge che prevedesse il divieto dei licenziamenti immotivati. Sicché, furono previste: con la legge 604 del 1966, l’illegittimità dei licenziamenti intimati senza una giusta causa o un giustificato motivo; con lo Statuto dei lavoratori, all’articolo 18, la cosiddetta tutela reale, cioè la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato”.
“L’intervento di riforma della legge Fornero”
“La legge Fornero ha introdotto cambiamenti radicali al sistema di tutela reale previsto dallo Statuto dei lavoratori, limitando il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, precedentemente applicato in tutti i casi di licenziamento illegittimo, alle sole ipotesi di illegittimità più gravi, mentre in tutti gli altri casi ai lavoratori viene riconosciuta un’indennità economica come risarcimento del danno subito. Un’altra significativa novità è stata l’introduzione del contributo di licenziamento, anche chiamato ticket licenziamento, a carico del datore di lavoro, che deve essere versato in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che danno diritto alla NASPI”.
“La disciplina dei licenziamenti nel Jobs Act”
“Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro delle persone in cerca di occupazione, la legge 183 del 2014, cosiddetto Jobs Act, ha delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi che prevedessero, per le nuove assunzioni, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, cosiddetto CATUC. In attuazione del Jobs Act, è stato, quindi, emanato il D.Lgs. 23 del 2015 che ha disciplinato il regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo dei lavoratori con qualifica di operai, impiegati o quadri assunti, dal 7 marzo 2015, con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Il punto focale della disciplina è il concetto di tutele crescenti secondo cui, semplicemente, l’entità dell’indennità risarcitoria dovuta al lavoratore cresce in relazione agli anni di servizio presso il datore di lavoro recedente. Il D.Lgs. 23 del 2015 ha in sostanza delineato un sistema di tutele del lavoratore illegittimamente licenziato, che si affianca non solo all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ma anche alla tutela prevista dalla legge 604 del 1966”.
“Gli ulteriori interventi sulla disciplina dei licenziamenti illegittimi”
“Negli ultimi anni la disciplina dei licenziamenti illegittimi è stata oggetto di modifiche legislative; tuttavia, sono gli interventi della Corte costituzionale ad avere avuto maggiore peso sull’intero impianto normativo. In particolare, tra i principali interventi sui licenziamenti a tutele crescenti, ricordiamo, in primo luogo, le sentenze 194 del 2018 e 150 del 2020 che, dichiarando costituzionalmente illegittimi rispettivamente il primo comma dell’articolo 3 e l’articolo 4 del D.Lgs. 23 del 2015, hanno sottolineato l’illegittimità del meccanismo di quantificazione dell’indennità, prima stabilita applicando rigidamente il criterio dell’anzianità di servizio; secondo la Consulta, invece, è necessario, in considerazione del caso concreto, applicare anche gli ulteriori criteri rinvenibili nella disciplina dei licenziamenti illegittimi. Con la sentenza 128 del 2024, è stato dichiarato illegittimo anche il secondo comma dell’ articolo 3 del D.Lgs. 23 del 2015, nella parte in cui non prevedeva l’applicazione della tutela reintegratoria nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro. Con la sentenza 22 del 2024, è stata poi dichiarata l’illegittimità del primo comma dell’articolo 2 del D.Lgs. 23 del 2015, laddove limitava la tutela reintegratoria piena ai soli casi di nullità dei licenziamenti espressamente previsti dalla legge, mentre tale tutela va riconosciuta anche quando la nullità del licenziamento non sia espressamente prevista, purché rechi un divieto di licenziamento al ricorrere di determinati presupposti. Ulteriori interventi della Corte costituzionale hanno riguardato, poi, il settimo comma dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori secondo cui, a seguito delle modifiche operate dalla legge Fornero, il giudice può applicare la tutela reintegratoria in caso di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. In particolare, i profili di illegittimità sono due e hanno riguardato: il primo, il potere del giudice di disporre la reintegrazione nel posto di lavoro, il secondo, il carattere manifesto dell’insussistenza del fatto. Tali aspetti sono stati oggetto, rispettivamente, delle sentenze 59 del 2021 e 125 del 2022, con la conseguenza che ora il giudice applica la tutela reintegratoria in caso di insussistenza del fatto”.
“L’attuale assetto normativo”
“L’attuale disciplina dei licenziamenti illegittimi si articola su due complessi normativi. Il primo si basa sugli articoli 18 della legge 300 del 1970 e 8 della legge 604 del 1966, mentre il secondo è fondato sulle disposizioni del D.Lgs. 23 del 2015, applicabile a tutti gli assunti a partire dal 7 marzo 2015”.
“La regolamentazione del licenziamento”
“I presupposti di legittimità”
“Affinché il recesso datoriale sia legittimo, devono essere rispettati i requisiti sostanziali e formali previsti dalla legge. I requisiti sostanziali si traducono nell’obbligo di una causa giustificatrice del recesso: il licenziamento del prestatore di lavoro, infatti, non può avvenire che per giusta causa o per giustificato motivo. I requisiti formali riguardano essenzialmente la forma e il contenuto dell’atto di recesso, nonché la procedura di comunicazione, diversa, in generale, a seconda della causa giustificatrice e delle dimensioni occupazionali del datore di lavoro”.
“L’onere della prova”
“L’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro. Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore deve dimostrare non solo l’effettività delle ragioni poste a base del licenziamento, ma anche l’impossibilità di una diversa proficua utilizzazione dei lavoratori licenziati: è questo il cosiddetto obbligo di repêchage. Qualora invece si tratti di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, ovvero per giustificato motivo oggettivo, soggetto alla disciplina delle tutele crescenti, il lavoratore è tenuto a dimostrare direttamente l’insussistenza del fatto materiale contestatogli, ovvero allegato dal datore di lavoro, se intende ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro. Nel caso di licenziamento discriminatorio, la specifica normativa consente al lavoratore di avvalersi di presunzioni e dati statistici provare la discriminazione subita, con la conseguenza che spetta poi al datore provare l’insussistenza della discriminazione. L’onere della prova del carattere ritorsivo del licenziamento grava, invece, sul lavoratore, che deve dimostrare che è stato intimato come reazione arbitraria e ingiusta ad un suo legittimo comportamento”.
“I requisiti sostanziali”
“La giusta causa”
“L’articolo 2119 del codice civile definisce la giusta causa come causa che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto: si tratta di un qualsiasi fatto di oggettiva gravità, riferibile alla sfera sia contrattuale che extracontrattuale. La gravità delle ragioni legittima il licenziamento in tronco, cioè l’interruzione immediata del rapporto di lavoro, in quanto non grava sul datore di lavoro l’onere di dare il preavviso”.
“Il giustificato motivo soggettivo”
“Il giustificato motivo soggettivo consiste nel notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro. Si tratta di fatti o comportamenti colposi del lavorator, strettamente attinenti al rapporto di lavoro, che, sebbene meno gravi rispetto all’ipotesi di giusta causa, sono tali da far venir meno nel datore la fiducia posta a fondamento del rapporto”.
“Il licenziamento disciplinare”
“Si qualifica come disciplinare il licenziamento motivato dall’inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore, risolvendosi nella più grave sanzione disciplinare adottabile dal datore di lavoro”.
“Il giustificato motivo oggettivo”
“Il licenziamento può essere intimato anche per fatti inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Al giustificato motivo oggettivo si riconducono anche fatti attinenti alla sfera del lavoratore, ma a lui non imputabili a titolo di colpa, che hanno una ricaduta sull’organizzazione aziendale e che legittimano l’interruzione del rapporto, come ad esempio la perdita di titoli professionali necessari per lo svolgimento di un’attività.
Prima di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore ha l’obbligo di verificare la possibilità di un’altra proficua utilizzazione del lavoratore: si tratta del cosiddetto obbligo di repêchage, ossia obbligo di ripescaggio”.
“I divieti di licenziamento”
“I divieti di licenziamento”
“La legge prevede delle ipotesi in cui, in un determinato arco di tempo, il licenziamento è vietato: tale arco di tempo è denominato periodo di comporto. Ad esempio, il licenziamento è vietato nei casi
di: matrimonio della lavoratrice, nel periodo compreso dal giorno della richiesta delle pubblicazioni fino ad un anno dopo la celebrazione del matrimonio; maternità e paternità, dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro, nonché fino al compimento di un anno di età del bambino; infortunio o malattia, per tutto il periodo previsto dalla legge o dai contratti collettivi; richiamo alle armi, per il periodo del richiamo, e il lavoratore non può essere licenziato prima che siano trascorsi tre mesi dalla ripresa dell’occupazione.
È altresì vietato il licenziamento, ad esempio, dei lavoratori eletti a svolgere pubbliche funzioni e dei lavoratori che partecipano a scioperi”.
“Il licenziamento discriminatorio”
“Il licenziamento discriminatorio”
“È discriminatorio il licenziamento determinato da motivi di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza ad un sindacato e dalla partecipazione ad attività sindacali, o ad uno sciopero, o conseguente all’esercizio di un diritto ovvero alla segnalazione, alla denuncia all’autorità giudiziaria o contabile o alla divulgazione pubblica (whistleblowing), nonché da ragioni connesse all’etnia, alla lingua, al genere, a situazioni di disabilità, all’età, alla nazionalità, all’orientamento sessuale o alle convinzioni personali”.
“I requisiti formali e procedurali”
“La comunicazione del licenziamento: forma e contenuto”
“Salvo eccezioni, il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento al lavoratore, specificando i motivi che hanno determinato il licenziamento. La comunicazione per iscritto con indicazione della causa giustificatrice costituisce la cosiddetta procedura elementare, necessaria per la legittimità del licenziamento. Vi sono ipotesi in cui è invece richiesto al datore di lavoro di osservare una procedura più complessa prima di adottare l’atto di licenziamento, diversa a seconda della tipologia di recesso”.
“La procedura per l’intimazione del licenziamento disciplinare”
“Prima di intimare il licenziamento per motivi disciplinari, il datore di lavoro deve contestare preventivamente al lavoratore l’addebito e consentirgli di difendersi, anche con l’assistenza di un rappresentante sindacale”.
“La procedura per l’intimazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”
“Il datore di lavoro con più di 15 dipendenti deve inviare una comunicazione all’Ispettorato del lavoro, da trasmettere anche al lavoratore, in cui dichiara l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo, indicando i motivi e le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore. Entro 7 giorni dalla ricezione della richiesta, l’Ispettorato trasmette la convocazione per un incontro sia al datore che al lavoratore, per un incontro innanzi alla commissione provinciale di conciliazione. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, si applicano le disposizioni in materia di NASPI e può essere previsto l’affidamento del lavoratore, ad esempio, ad un’agenzia per il lavoro; se invece il tentativo di conciliazione ha esito negativo e, comunque, è decorso vanamente il termine di 7 giorni per la trasmissione della convocazione, il datore può comunicare il licenziamento al lavoratore. In alcune ipotesi, questa procedura non si applica, come ad esempio nel caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto”.
“Gli effetti del licenziamento”
“Il licenziamento intimato all’esito del procedimento disciplinare o del procedimento per licenziamento per giustificato motivo oggettivo produce effetto dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato, salvo il diritto del lavoratore al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva. Il periodo di eventuale lavoro svolto in costanza della procedura si considera come preavviso lavorato”.
“L’illegittimità del licenziamento e le conseguenze sanzionatorie”
“Le diverse ipotesi di illegittimità”
“La mancanza di un requisito sostanziale rende il licenziamento annullabile, mentre l’assenza di un requisito formale ne determina l’inefficacia. Le conseguenze sanzionatorie variano in base a due criteri principali, ossia le dimensioni dell’impresa, che può essere piccola o medio/grande, nonché la data di assunzione del lavoratore, che costituisce il criterio generale per stabilire quali norme applicare. Il licenziamento intimato, invece, per motivi discriminatori o altro motivo illecito è nullo, ed è sottoposto a un regime sanzionatorio indipendente dalle dimensioni dell’impresa”.
“I requisiti dimensionali del datore di lavoro ai fini dell’applicazione dei regimi sanzionatori”
“Per determinare il regime sanzionatorio applicabile a un licenziamento illegittimo, è fondamentale stabilire le dimensioni occupazionali del datore di lavoro: le imprese si classificano in medio/grandi e piccole, in base al numero di lavoratori impiegati. Le imprese sono medio/grandi se il datore di lavoro: in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento, occupa alle sue dipendenze più di 15 lavoratori o, se si tratta di imprenditore agricolo, più di 5 lavoratori; oppure nell’ambito dello stesso Comune, occupa alle sue dipendenze più di 15 lavoratori e, se imprenditore agricolo, più di 5 lavoratori, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti; e in ogni caso, occupa più di 60 dipendenti. Le imprese che non raggiungono questi limiti occupazionali sono invece considerate piccole”.
“Il campo di applicazione del regime sanzionatorio nell’ambito delle tutele crescenti”
“Il regime sanzionatorio dei licenziamenti individuali illegittimi secondo la disciplina delle tutele crescenti si applica a tutti i lavoratori con qualifica di operai, impiegati e quadri assunti con contratto a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del D.Lgs. 23 del 2015. Tuttavia, in alcuni casi, la disciplina delle tutele crescenti viene applicata anche ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015: ad esempio in caso di conversione, successiva al 7-3-2015, di contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato”.
“Le conseguenze sanzionatorie per i licenziamenti illegittimi”
“Il regime sanzionatorio applicato ai licenziamenti illegittimi è differente a seconda che si tratti di lavoratori assunti prima e dopo il 7 marzo 2015. Per i primi, il regime sanzionatorio è il seguente: in caso di licenziamento discriminatorio, nullo e orale, indipendentemente dai limiti dimensionali del datore di lavoro, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno in misura non inferiore a 5 mensilità; per i casi di licenziamento ingiustificato più gravi, nelle imprese medio/grandi, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno in misura non superiore a 12 mensilità; per i casi di licenziamento ingiustificato meno gravi, nelle imprese medio/grandi, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno in misura compresa tra 12 e 24 mensilità; per i casi di licenziamento inefficaci per vizi diversi dall’assenza di forma scritta, nelle imprese medio/grandi, il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno in misura compresa tra 6 e 12 mensilità; per i casi di licenziamenti ingiustificati, nelle imprese di piccole dimensioni, il lavoratore ha diritto alla riassunzione o, in alternativa, al risarcimento del danno in misura compresa tra 2,5 e 6 mensilità. Per i secondi, il regime sanzionatorio è il seguente: per le ipotesi di licenziamento discriminatorio, nullo e orale, nonché privo di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, indipendentemente dai limiti dimensionali del datore di lavoro, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno in misura non inferiore a 5 mensilità; per i casi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa, ovvero per giustificato motivo oggettivo, nell’ipotesi in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, ovvero allegato dal datore di lavoro, nelle imprese medio/grandi, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e al risarcimento del danno in misura non superiore a 12 mensilità; per ogni altro caso di licenziamento ingiustificato diverso dalle ipotesi menzionate, nelle imprese medio/grandi, è prevista l’estinzione del rapporto di lavoro e il diritto del lavoratore al pagamento di un’indennità in misura non inferiore a 6 e non superiore a 36 mensilità; nei casi di licenziamento inefficace, per vizi diversi dall’assenza di forma scritta, nelle imprese medio/grandi, è prevista l’estinzione del rapporto di lavoro e il diritto del lavoratore al pagamento di un’indennità in misura non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità; nei casi di licenziamenti ingiustificati e inefficaci (non orali), nelle imprese di piccole dimensioni, è prevista l’estinzione del rapporto di lavoro e il diritto del lavoratore ad un’indennità dimezzata rispetto alle due ipotesi precedenti, fermo comunque il limite massimo di sei mensilità.
“L’indennità sostitutiva della reintegrazione (cd. opting out)”
“In tutti i casi in cui viene accertata l’illegittimità del licenziamento e riconosciuto il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, il lavoratore può rinunciarvi optando, in sostituzione, per un’indennità pari a 15 mensilità, cosiddetta opting out. Il diritto all’indennità sostitutiva della reintegrazione, nonché i termini e le modalità per esercitarlo, sono i medesimi, indipendentemente dal regime sanzionatorio applicabile, così come in entrambe le ipotesi la richiesta dell’indennità determina la risoluzione del rapporto di lavoro”.
“L’impugnazione e la revoca del licenziamento”
“I termini e le modalità di impugnazione”
“Per quanto riguarda l’impugnazione del licenziamento, i passaggi sono i seguenti: il lavoratore deve impugnare il licenziamento nel termine di decadenza di 60 giorni dalla ricezione della comunicazione in forma scritta dello stesso, con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, idoneo a rendere nota la sua volontà. Entro i successivi 180 giorni, a pena di inefficacia dell’impugnazione, il lavoratore deve depositare il ricorso giudiziale ordinario o d’urgenza, ovvero comunicare alla controparte la richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. In questa seconda ipotesi, se la conciliazione o l’arbitrato sono rifiutati o l’accordo non è stato raggiunto, entro 60 giorni dal rifiuto o dal mancato accordo deve essere depositato, a pena di decadenza, il ricorso giudiziale”.
“La revoca del licenziamento”
“Il datore di lavoro può revocare il licenziamento entro 15 giorni dalla comunicazione dell’impugnazione da parte del lavoratore: in tal caso, il rapporto di lavoro s’intende ripristinato senza soluzione di continuità”.
“Il licenziamento ad nutum”
“Il licenziamento ad nutum”
“In alcune ipotesi, il datore di lavoro può recedere dal contratto senza dover fornire una motivazione: questo è il licenziamento ad nutum, letteralmente ad un semplice cenno. Tuttavia, anche in questi casi, il lavoratore ha diritto a un preavviso, a meno che non vi sia una giusta causa di recesso o si tratti di lavoratori in prova. Il regime di libera recedibilità si applica a diverse categorie di lavoratori, tra cui i dirigenti, i lavoratori domestici, nonché i lavoratori ultrasessantenni in possesso dei requisiti pensionistici che non decidano di proseguire l’attività lavorativa”.
“Il licenziamento nelle organizzazioni di tendenza”
“Il licenziamento nelle organizzazioni di tendenza”
“In caso di illegittimità del licenziamento, i lavoratori delle organizzazioni di tendenza, ossia delle organizzazioni che svolgono, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, indipendentemente dal numero dei lavoratori occupati, hanno diritto alla riassunzione del lavoratore o, in alternativa, al risarcimento del danno in misura compresa tra 2,5 e 6 mensilità. Resta ferma l’applicabilità della tutela prevista in generale in caso di licenziamento discriminatorio, nonché una disciplina specifica in caso di licenziamento ideologico, ossia intimato, al fine di tutelare la tendenza, ad esempio religiosa, dell’organizzazione”.
“La disciplina dei licenziamenti collettivi”
“Le finalità”
“La materia dei licenziamenti collettivi per riduzione di personale è disciplinata dalla legge 223 del 1991, nell’ambito di una regolamentazione a largo raggio delle crisi d’impresa, che presenta il comune denominatore di perseguire la ricerca di soluzioni alternative al licenziamento e garantire, comunque, misure per la rioccupazione dei lavoratori coinvolti nei processi di ridimensionamento, riorganizzazione o ristrutturazione aziendale”.
“La procedura ordinaria (L. 223/1991)”
“La procedura di cui alla legge 223 del 1991 si applica quando sussistono contemporaneamente le seguenti condizioni: si tratta di un datore di lavoro che occupa più di 15 dipendenti; sia avvenuta una riduzione o trasformazione di attività o lavoro o s’intenda cessare l’attività; s’intendano effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni; ciò avvenga nell’ambito della medesima unità produttiva o nell’ambito di più unità produttive della stessa Provincia; detti licenziamenti, nello stesso arco di tempo e nello stesso ambito, siano riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione di attività o lavoro. La procedura si applica anche all’impresa che è stata ammessa alla CIGS quando, nel corso di attuazione del programma, ritiene di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative. In entrambi i casi, quando il datore intende procedere ai licenziamenti deve preliminarmente darne comunicazione alle RSA o RSU, e alle rispettive associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale. A seguito della comunicazione, le RSA o RSU e le associazioni di categoria possono chiedere un incontro con l’imprenditore per valutare la situazione e tentare strade alternative ai licenziamenti. Se non si raggiunge un accordo, l’ITL convoca le parti per effettuare un ulteriore tentativo. Esaurita questa fase, con o senza accordo, il datore di lavoro può procedere ai singoli recessi, individuando i lavoratori da licenziare tra tutti quelli eccedenti”.
“La procedura speciale del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”
“Alle imprese in stato di liquidazione giudiziale si applica la procedura del Codice della crisi e dell’insolvenza. Sicché, se il curatore, in presenza dei requisiti numerici e temporali generali, intende avviare la procedura di licenziamento collettivo è tenuto a darne comunicazione preventiva per iscritto alle RSA o RSU e alle rispettive associazioni di categoria, da trasmettere anche all’ITL competente. Entro 7 giorni dal ricevimento della comunicazione, le rappresentanze sindacali e le rispettive associazioni formulano per iscritto al curatore istanza per un esame congiunto, che può essere convocato anche dall’ITL, entro 40 giorni dal ricevimento della comunicazione, nel solo caso in cui l’avvio della procedura di licenziamento collettivo non sia stato determinato dalla cessazione dell’attività dell’azienda o di un suo ramo. Se non viene raggiunto l’accordo sindacale entro 10 giorni dall’inizio della consultazione, ovvero non viene presentata l’istanza, né fissato l’esame congiunto dall’ITL, la procedura si intende esaurita”.
“Illegittimità del licenziamento e regimi sanzionatori”
“Anche in caso di licenziamenti collettivi illegittimi coesistono due distinti regimi sanzionatori, uno per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 e un altro per quelli assunti dopo tale data. Per i primi, il regime sanzionatorio è il seguente: in caso di violazione della forma scritta, il giudice ordina al datore di lavoro la reintegrazione nel posto di lavoro e lo condanna al risarcimento del danno; in caso di violazione della procedura ordinaria o di quella per la liquidazione giudiziale, il giudice dichiara risolto il rapporto di lavoro e condanna il datore al pagamento di un’indennità risarcitoria compresa tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilità; in caso di violazione dei criteri di scelta, il giudice annulla il licenziamento e ordina al datore la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e lo condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria non superiore a 12 mensilità. Il regime sanzionatorio previsto per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 è invece così articolato: in caso di violazione della forma scritta, il giudice ordina al datore la reintegrazione nel posto di lavoro e lo condanna al risarcimento del danno; in caso di violazione della procedura ordinaria, o di quella prevista in caso di liquidazione giudiziale, e per violazione dei criteri di scelta, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e condanna il datore al pagamento di un’indennità, in misura comunque non inferiore a 6 e non superiore a 36 mensilità. Una disciplina specifica è poi prevista per l’illegittimità del licenziamento del dirigente”.
Capitolo 16 – La disciplina del trattamento di fine rapporto
“Il trattamento di fine rapporto (TFR)”
“Il trattamento di fine rapporto (TFR)”
“In ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro, e indipendentemente dalla tipologia di contratto, il lavoratore ha diritto al TFR, che si determina attraverso l’accantonamento, mese per mese, di una quota della retribuzione corrisposta al lavoratore, che viene poi liquidata in un’unica soluzione al termine del rapporto di lavoro. Il diritto al TFR si prescrive in 5 anni, che decorrono dalla data di cessazione del rapporto di lavoro”.
“Le modalità di calcolo”
“Le modalità di calcolo”
“Il TFR si calcola accantonando, al termine di ogni anno di lavoro, una quota pari, e comunque non superiore, all’importo della retribuzione spettante nell’anno diviso per 13,5. In particolare, la retribuzione che si deve prendere in considerazione è quella lorda erogata al lavoratore durante l’anno, che poi va divisa per 13,5: sicché la quota da accantonare è pari, all’incirca, al 6,91% della retribuzione annua. All’importo annuo il datore di lavoro deve sottrarre la somma derivante dall’applicazione dell’aliquota contributiva dello 0,50%, dovuta per la generalità dei lavoratori: si tratta di una trattenuta dovuta dal lavoratore a favore del Fondo pensioni lavoratori dipendenti.
La quota di TFR accantonata, ad eccezione di quella maturata nell’anno in corso, deve essere incrementata, su base composta, al 31 dicembre di ogni anno, con l’applicazione di un tasso costituito dall’1,5 per cento in misura fissa e dal 75 per cento dell’aumento dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.
Il TFR maturato complessivamente è dato dalla quota accantonata per l’anno corrente più le quote di TFR accantonate e rivalutate relative agli anni precedenti”.
“Le anticipazioni sul TFR”
“Le anticipazioni sul TFR”
“Il lavoratore può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, un’anticipazione sul TFR maturato, ad esempio, per l’acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i propri figli. Il lavoratore ha però diritto di chiedere l’anticipazione soltanto se ha maturato almeno 8 anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro e, comunque, la somma anticipata non può superare il 70 per cento del TFR maturato alla data della richiesta. L’anticipazione può essere ottenuta dal lavoratore una sola volta nel corso del rapporto di lavoro e il datore di lavoro è tenuto ad accogliere le richieste che gli pervengono entro i limiti previsti dalla legge”.
“Il Fondo di garanzia del TFR”
“Il Fondo di garanzia del TFR”
“Il Fondo di garanzia per il TFR è diretto a garantire il pagamento del TFR non avvenuto per insolvenza del datore di lavoro, sostituendosi allo stesso. È possibile richiedere l’intervento del Fondo tramite domanda presentata all’INPS che, poi, verificati i requisiti, provvede al pagamento del TFR entro 60 giorni dalla richiesta. La garanzia del Fondo copre anche i crediti di lavoro diversi dal TFR, ad esempio i crediti retributivi relativi agli ultimi 3 mesi del rapporto di lavoro, purché rientrino nei 12 mesi che precedono i termini definiti dalla legge”.
“L’indennità sostitutiva del TFR in caso di morte del lavoratore”
“L’indennità sostitutiva del TFR in caso di morte del lavoratore”
“In caso di morte del lavoratore, il TFR maturato e spettante al lavoratore alla data del decesso è corrisposto, sotto forma di indennità sostitutiva, ai suoi superstiti: in particolare, ne hanno diritto il coniuge, i figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, anche i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo”.
Capitolo 17 – La tutela dei diritti del lavoratore
“I privilegi, le garanzie e l’indisponibilità dei diritti del lavoratore da parte di terzi”
“Le forme di prelazione per la soddisfazione dei crediti di lavoro”
“Il privilegio è una qualità del credito di lavoro e costituisce un titolo di prelazione riconosciuto al lavoratore che produce l’effetto di favorirlo nel pagamento del credito rispetto ad altri eventuali creditori del datore non privilegiati, detti chirografari. I crediti del lavoratore nei confronti del datore per le indennità dovute per effetto della cessazione del rapporto di lavoro, per il risarcimento dei danni subiti a seguito di un licenziamento illegittimo o conseguenti alla mancata corresponsione da parte del datore dei contributi previdenziali e assistenziali obbligatori: in via principale, sono assistiti dal privilegio generale sui beni mobili del datore; in via sussidiaria, cioè in caso d’infruttuosa esecuzione sui beni mobili, insufficienti a soddisfare i crediti, si collocano sul prezzo degli immobili, con preferenza rispetto ai creditori chirografari, ma dopo i crediti relativi al TFR e all’indennità di mancato preavviso”.
“La parziale indisponibilità dei diritti retributivi”
“La retribuzione può essere oggetto di pignoramento, sequestro e compensazione solo entro determinati limiti: può essere pignorata dai creditori del lavoratore per un importo non superiore a un quinto e, negli stessi limiti, il creditore, se teme di perdere la garanzia di un credito che vanta nei confronti del lavoratore, può chiedere al giudice che gli venga sequestrata la retribuzione; se il lavoratore è debitore verso il datore, il quale è debitore verso il primo per la retribuzione, i due debiti possono estinguersi, per le quantità corrispondenti, mediante compensazione. Tuttavia, poiché il codice civile stabilisce che non si può ricorrere a tale istituto quando uno dei due crediti è impignorabile, e poiché la retribuzione è pignorabile in generale solo fino al quinto del suo ammontare, tale limite vale anche per la compensazione.
È sottoposta a limiti anche la cosiddetta cessione del quinto, che risponde all’esigenza di facilitare i lavoratori nell’accedere ad un finanziamento. L’istituto consiste nella possibilità per il lavoratore di ottenere un prestito da restituire cedendo mensilmente una quota della retribuzione di importo non superiore al quinto, valutato al netto delle ritenute”.
“Rinunzie, transazioni e quietanze a saldo”
“L’inderogabilità delle norme di diritto del lavoro e l’indisponibilità dei diritti del lavoratore”
“La tutela del lavoratore subordinato è garantita dall’applicazione di due principi fondamentali: l’inderogabilità delle norme e l’indisponibilità dei diritti derivanti da norme inderogabili. L’inderogabilità riguarda sia il momento in cui sorge il rapporto di lavoro, sia il suo svolgimento: il legislatore preclude all’autonomia contrattuale di predisporre pattuizioni difformi dalle norme inderogabili, pena la loro nullità e la sostituzione automatica con quelle violate. L’indisponibilità del diritto attiene invece ad una fase successiva alla costituzione del rapporto di lavoro, cioè al momento in cui il diritto è ormai entrato nella sfera giuridica del lavoratore”.
“Impugnazione delle rinunzie e delle transazioni invalide”
“L’articolo 2113 del codice civile stabilisce l’invalidità delle rinunzie e delle transazioni effettuate dal lavoratore su diritti derivanti da disposizioni inderogabili di legge, contratto o accordo collettivo di lavoro. Le rinunzie e le transazioni possono essere impugnate dal lavoratore entro il termine di sei mesi, che decorre dalla data di cessazione del rapporto di lavoro o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono avvenute successivamente alla cessazione del rapporto”.
“Rinunzie e transazioni valide”
“Rinunce e transazioni possono essere sottratte al regime d’impugnazione, se avvengono mediante conciliazioni concluse presso le sedi stabilite dalla legge, cosiddette sedi protette, ove la presenza di terzi soggetti è diretta a garantire la genuinità della volontà abdicativa e transattiva del lavoratore, escludendo così una possibile sopraffazione del datore di lavoro”.
“Quietanze a saldo”
“Le quietanze a saldo sono quei documenti che il lavoratore firma, di regola alla cessazione del rapporto, dichiarando di aver ricevuto una certa somma, come ad esempio ratei di retribuzione e tredicesima mensilità, e di ritenersi soddisfatto di ogni suo credito e non aver più nulla a pretendere”.
“La prescrizione”
“La prescrizione”
“La prescrizione determina l’estinzione dei diritti quando il titolare non li esercita entro l’arco di tempo previsto dalla legge. Tale prescrizione è detta estintiva, in quanto comporta il venir meno del diritto del lavoratore per effetto della sua inerzia per il periodo di tempo fissato dalla legge.
I termini di prescrizione estintiva sono i seguenti: ai crediti di lavoro aventi natura retributiva, si applica il termine di cinque anni; per i diritti non retributivi, vige invece il termine di dieci anni”.
“La decadenza”
“La decadenza”
“Spesso il lavoratore ha l’onere di esercitare i propri diritti e facoltà entro un determinato periodo. Decorso il termine stabilito, senza che egli abbia compiuto un determinato atto o comportamento, decade dal diritto, cioè perde la possibilità di esercitarlo.
La decadenza può essere prevista dalla legge, come ad esempio il termine di 60 giorni per impugnare il licenziamento, o stabilita dalle parti”.
“La tutela dei lavoratori nel caso di trasferimento d’azienda”
“La disciplina generale dell’art. 2112 c.c.”
“In caso di trasferimento d’azienda, le garanzie offerte al lavoratore dall’articolo 2112 del codice civile sono le seguenti: il rapporto di lavoro continua con il nuovo titolare dell’azienda e il lavoratore mantiene i diritti già maturati; sussiste la responsabilità solidale del cedente e del cessionario, a garanzia del soddisfacimento dei crediti vantati dal lavoratore all’epoca del trasferimento; il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi dello stesso livello applicabili all’impresa del cessionario; il trasferimento d’azienda non costituisce un giustificato motivo di licenziamento, ferma restando la facoltà del cedente e del cessionario di esercitare il recesso secondo la normativa vigente; il lavoratore ha diritto a rassegnare le dimissioni nei 3 mesi successivi al trasferimento d’azienda, quando le condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica”.
“La procedura sindacale nelle aziende con più di 15 dipendenti”
“Nelle aziende con più di 15 dipendenti, il trasferimento d’azienda richiede l’attivazione della procedura sindacale prevista dall’articolo 47 della legge 428 del 1990. Tale procedura è obbligatoria anche nel caso di trasferimento d’azienda disposto nell’ambito degli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza o della liquidazione giudiziale o controllata, in presenza dei relativi presupposti.
La procedura prevede che: cedente e cessionario devono comunicare per iscritto il trasferimento alle R.S.U. o alle R.S.A., almeno 25 giorni prima che sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un’intesa vincolante tra le parti, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento
Ove le rappresentanze sindacali o i sindacati ne facciano richiesta per iscritto, il cedente e il cessionario sono tenuti ad avviare un esame congiunto della situazione con le forze sindacali richiedenti: la consultazione s’intenderà esaurita qualora, decorsi 10 giorni dal suo inizio, non sia stato raggiunto un accordo”.
“L’apparato derogatorio all’art. 2112 c.c.”
“La legge prevede diverse deroghe alla disciplina prevista dall’articolo 2112 del codice civile.
Una prima deroga riguarda le aziende sottoposte a procedure non liquidatorie, ossia finalizzate alla prosecuzione dell’impresa, come l’omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti: in queste ipotesi, fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro, l’accordo sindacale raggiunto nel corso delle consultazioni, al fine di salvaguardare l’occupazione, può derogare l’articolo 2112 con riferimento alle condizioni di lavoro, fissandone i termini e le limitazioni. Una seconda ipotesi di deroga riguarda il trasferimento di aziende sottoposte a procedure liquidatorie, ossia dirette a liquidare i beni, come ad esempio la liquidazione giudiziale. Anche in questo caso i rapporti di lavoro continuano con il cessionario ed è centrale l’accordo sindacale con cui, sempre al fine di salvaguardare l’occupazione, è possibile derogare al codice civile, con riguardo, ad esempio, ai trattamenti economici e normativi che il cessionario è tenuto ad applicare.
È però prevista anche una deroga legale: in particolare non è applicata la solidarietà tra cedente e cessionario per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento e il trattamento di fine rapporto è immediatamente esigibile nei confronti del cedente”.
“La morte e l’estinzione del datore di lavoro”
“La morte e l’estinzione del datore di lavoro”
“Se il datore di lavoro è una persona fisica, la sua morte non è causa di estinzione dei rapporti di lavoro, che proseguono con i suoi eredi; se invece il datore di lavoro è una persona giuridica, in caso di estinzione, il rapporto di lavoro prosegue fino alla conclusione della fase di liquidazione dell’ente”.
“La tutela giudiziaria dei lavoratori”
“La tutela giudiziaria dei lavoratori”
“Il nostro ordinamento giuridico ha sempre riservato alle controversie di lavoro una disciplina a sé stante. Anche se la struttura del processo del lavoro tuttora vigente è quella introdotta dalla legge 533 del 1973, la materia è stata tuttavia oggetto di molte modifiche normative: prima ad opera della Legge Fornero, che sottrasse dall’ordinario processo del lavoro le controversie in tema di licenziamento nelle ipotesi regolate dall’ articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, per le quali introdusse un nuovo rito; in seguito dalla Riforma Cartabia che, nell’ambito di un’ampia riforma finalizzata all’unificazione e al coordinamento della disciplina dei procedimenti d’impugnazione dei licenziamenti, ha abrogato il rito Fornero e introdotto una serie di novità, con l’obiettivo di dare maggior speditezza ai predetti procedimenti, estendendo inoltre l’istituto della negoziazione assistita, già applicato in via generale, alle controversie di lavoro, così da potenziare gli strumenti di soluzione stragiudiziale delle liti”.
“I caratteri del processo del lavoro”
“I caratteri del processo del lavoro”
“I caratteri del processo del lavoro sono: l’oralità, in quanto la redazione degli atti scritti è limitata; l’immediatezza, in quanto ad esempio fra il deposito del ricorso e l’udienza di discussione non devono
decorrere più di 60 giorni; la massima concentrazione degli atti processuali, infatti al termine della discussione orale, il giudice pronuncia la sentenza con cui definisce il giudizio, dando in udienza la lettura del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; l’ampiezza dei poteri istruttori del giudice, il quale può, in qualsiasi momento, disporre d’ufficio l’ammissione di ogni mezzo di prova”.
“Le controversie individuali di lavoro”
“Le controversie individuali di lavoro”
“Il rito del lavoro si applica alle controversie individuali riguardanti i rapporti di: lavoro subordinato privato anche se non si svolge nell’ambito di un’impresa; lavoro agricolo; agenzia, rappresentanza e collaborazioni che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato; dipendenti di enti pubblici economici; pubblico impiego, per i quali le leggi speciali non prevedano la giurisdizione di altro giudice. Per effetto della riforma Cartabia, il rito del lavoro trova applicazione anche per le controversie aventi ad oggetto: l’impugnazione dei licenziamenti, dovendo il giudice dare priorità a
quelle in cui il lavoratore propone domanda di reintegrazione nel posto di lavoro, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto; l’impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, per le quali il giudice decide anche sulle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte; le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori, salva la possibilità per le parti di utilizzare, ricorrendone i presupposti, i riti speciali, ad esempio quelli previsti per le discriminazioni di genere”.
“L’autorità giudiziaria competente”
“L’autorità giudiziaria competente”
“Le controversie di lavoro sono di competenza: in primo grado, del Tribunale in funzione di giudice del lavoro che decide in composizione monocratica; in secondo grado, della Corte di appello in funzione di giudice del lavoro che decide in composizione collegiale.
Per individuare l’autorità giudiziaria territorialmente competente, occorre tener conto dei criteri, secondo cui è competente il giudice nella cui circoscrizione: è sorto il rapporto di lavoro; si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto. La competenza per territorio è inderogabile”.
“Il giudizio di primo grado”
“Fase introduttiva”
“La domanda giudiziale si propone con ricorso: entro 5 giorni dal deposito del ricorso, il giudice fissa l’udienza di discussione con decreto, che il ricorrente deve notificare alla controparte, denominata convenuto. Almeno 10 giorni prima dell’udienza, il convenuto ha l’onere di costituirsi mediante il deposito di una memoria difensiva”.
“Discussione e istruzione”
“L’udienza di discussione costituisce il fulcro di tutto il procedimento: le parti, infatti, devono comparire di persona per consentire al giudice di procedere al loro libero interrogatorio, di tentare la conciliazione della lite e formulare una proposta transattiva o conciliativa. Se la conciliazione riesce, viene redatto apposito verbale, altrimenti il giudice invita le parti alla discussione, ossia ad esporre oralmente le rispettive ragioni, e poi decide la causa, oppure dispone per l’istruzione con l’assunzione dei mezzi di prova che generalmente si basa sull’esame dei testimoni”.
“Decisione della controversia”
“Terminata la fase istruttoria ed esaurita la discussione orale, il giudice pronuncia in udienza la sentenza con cui definisce il giudizio, dando lettura del dispositivo ed esponendo le ragioni di fatto e di diritto della decisione. La sentenza con la quale il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di somme a favore del lavoratore è provvisoriamente esecutiva”.
“Il controllo giudiziale”
“In tutti i casi in cui le disposizioni di legge concernenti il lavoro subordinato e gli altri rapporti indicati nell’ articolo 409 del codice di procedura civile, nonché i rapporti di lavoro alle dipendenze delle P.A., contengono clausole generali, il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai princìpi generali dell’ordinamento, all’accertamento del presupposto di legittimità. Inoltre, nella qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione delle relative clausole, il giudice non può discostarsi dalle valutazioni che le parti contraenti hanno espresso in sede di certificazione, salvo eccezioni di legge; mentre, nel valutare le motivazioni del licenziamento, il giudice deve tener conto delle tipizzazioni di giusta causa e giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro o nei contratti individuali di lavoro certificati”.
“I giudizi di impugnazione”
“I giudizi di impugnazione”
“L’appello contro le sentenze del Tribunale deve essere proposto con ricorso davanti alla Corte di appello territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro. Nel giudizio di secondo grado vigono in generale le stesse norme e gli stessi principi che regolano il grado precedente, fermo restando che non sono ammesse nuove domande o eccezioni, né nuove prove, salvo che la Corte, anche d’ufficio, li ritenga indispensabili per decidere la causa. L’appello deve essere motivato in modo chiaro, sintetico e specifico e, per ciascuno dei motivi, a pena d’inammissibilità, deve individuare lo specifico capo della decisione impugnato e, in relazione a questo, deve indicare le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado, le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Nell’udienza di discussione il giudice incaricato fa la relazione orale della causa. Nei casi di inammissibilità, improcedibilità, manifesta fondatezza o infondatezza dell’appello, all’udienza di discussione il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della motivazione redatta in forma sintetica, altrimenti, sentiti i difensori delle parti, dà lettura del solo dispositivo nella stessa udienza.
Le sentenze emesse in appello possono essere impugnate in Cassazione, secondo i principi generali che regolano tale grado di giudizio”.
“Le controversie in tema di licenziamento: dal rito Fornero alla riforma Cartabia”
“Introduzione e superamento del rito Fornero”
“La legge 92 del 2012 ha introdotto il rito Fornero, limitatamente alle controversie relative all’impugnazione dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall’ articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, anche nel caso di necessaria risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro. Il D.Lgs. 23 del 2015, poi, nell’introdurre una nuova disciplina dei licenziamenti per i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015, così da sostituire progressivamente quella dell’articolo 18, ha escluso espressamente il rito Fornero dal suo campo di applicazione: ne consegue che il legislatore ha inteso decretare la fine naturale del nuovo rito. La riforma Cartabia ha peraltro anticipato tale fine, prevedendo l’abrogazione espressa del rito Fornero per i procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023”.
“Caratteristiche del rito Fornero”
“Il rito Fornero si è caratterizzato per la forte semplificazione e celerità delle diverse fasi attraverso l’eliminazione di ogni formalità non essenziale e la brevità dei termini per il loro svolgimento. Inoltre, al fine di dare più veloce risoluzione a tali controversie, è stata prevista la loro priorità di trattazione rispetto ad altre controversie”.
“Le controversie in materia di licenziamento secondo la riforma Cartabia”
“La riforma Cartabia ha assoggettato le controversie in materia di impugnazione del licenziamento in cui il lavoratore propone domanda di reintegrazione nel posto di lavoro al rito del lavoro, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto, introducendo alcune regole finalizzate ad accelerare il più possibile la loro trattazione e decisione.
Ad esempio, l’articolo 441bis del codice di procedura civile attribuisce carattere prioritario alle predette controversie rispetto alle altre pendenti sul ruolo del giudice del lavoro, ossia rispetto alle controversie che vengono assegnate ad un determinato giudice aventi un oggetto diverso.
I giudizi di appello e di cassazione sono decisi tenendo conto delle medesime esigenze di celerità e di concentrazione”.
“Gli strumenti per la risoluzione stragiudiziale delle controversie di lavoro”
“Il tentativo di conciliazione stragiudiziale”
“Chi intende agire in giudizio ha facoltà di promuovere, prima dell’azione giudiziaria, un tentativo di conciliazione che può svolgersi: in sede amministrativa, presso la commissione di conciliazione dell’ITL; in sede sindacale, con le procedure previste dai contratti collettivi; presso le commissioni di certificazione.
“L’offerta di conciliazione nell’ambito delle tutele crescenti”
“Il D.Lgs. 23 del 2015 ha introdotto uno specifico strumento di conciliazione per la risoluzione stragiudiziale delle controversie sui licenziamenti dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. La conciliazione è facoltativa e si aggiunge alle altre forme di conciliazione stragiudiziale già previste dall’ordinamento di cui, pertanto, possono avvalersi anche i predetti lavoratori. Nel termine previsto per l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, il datore può offrire al lavoratore un importo, che è diverso a seconda che si tratti di imprese con più di 15 dipendenti o fino a 15 dipendenti. La somma determinata ai sensi di legge non è assoggettata ad imposizione fiscale né a contribuzione previdenziale: infatti, si parla di conciliazione standard o agevolata. L’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento, anche se già proposta”.
“La risoluzione arbitrale delle controversie di lavoro”
“Attraverso l’arbitrato, le parti deferiscono ad un terzo soggetto il potere di decidere la controversia insorta fra loro. In generale, l’arbitrato trova origine nella convenzione d’arbitrato, in cui rientrano il compromesso, con cui le parti deferiscono all’arbitro la composizione della lite insorta, e la clausola compromissoria, con cui le parti, nel contratto che stipulano, stabiliscono che le controversie nascenti dal contratto medesimo siano decise da arbitri.
La decisione degli arbitri prende il nome di lodo che, nell’arbitrato rituale, ha gli stessi effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria, mentre nell’arbitrato irrituale ha gli effetti di un contratto”.
“La risoluzione arbitrale della controversia mediante clausola compromissoria”
“Il datore di lavoro e il lavoratore possono pattuire clausole compromissorie, con le quali devolvere ad arbitri eventuali controversie nascenti dal rapporto di lavoro, rinviando alle procedure di arbitrato presso la commissione di conciliazione dell’ITL o presso il collegio di conciliazione e arbitrato irrituale. La clausola può essere inserita nel contratto di lavoro soltanto se: ciò è previsto da accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro; è certificata, a pena di nullità, innanzi alle commissioni di certificazione”.
“L’estensione della negoziazione assistita alle controversie di lavoro. L’assistenza del consulente del lavoro”
“La riforma Cartabia ha esteso alle controversie di lavoro l’istituto della negoziazione assistita, già previsto per altre controversie, senza però renderla condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La procedura di negoziazione consente di pervenire ad un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà per risolvere in via amichevole la controversia: a tal fine, ciascuna parte è assistita da almeno un avvocato, e può essere assistita anche da un consulente del lavoro”.
“La tutela giudiziaria contro la condotta antisindacale del datore di lavoro”
“La tutela giudiziaria contro la condotta antisindacale del datore di lavoro”
“La condotta antisindacale è individuata in qualsiasi comportamento diretto ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero. L’ articolo 28 dello Statuto dei Lavoratori ne ha previsto la repressione, riconoscendo alle organizzazioni sindacali il diritto di chiedere la tutela giurisdizionale degli interessi collettivi violati da tale comportamento: oggetto della tutela è il libero esercizio dei diritti sindacali di tutti i lavoratori. In particolare, sono legittimati ad agire e a stare in giudizio soltanto gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse. L’autorità giudiziaria competente è il Tribunale, in funzione di giudice del lavoro, del luogo ove è posto in essere il comportamento antisindacale denunziato”.
“La tutela giudiziaria contro le discriminazioni”
“Il procedimento antidiscriminatorio”
“L’ articolo 28 del D.Lgs. 150 del 2011 sottopone al rito semplificato di cognizione le controversie dirette a far accertare atti e comportamenti discriminatori per ragioni di razza e origine etnica, nonché di religione, convinzioni personali, disabilità, età, nazionalità e orientamento sessuale, ovvero compiuti nei confronti di lavoratori che chiedono o usufruiscono dei benefici legati alla condizione di disabilità. L’azione giudiziaria spetta: per le discriminazioni legate a motivi di razza e origine etnica, alle associazioni e agli enti impegnati nel campo della lotta alle discriminazioni e della promozione della parità di trattamento, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione; per le discriminazioni legate a motivi di religione, convinzioni personali, disabilità, età, nazionalità e orientamento sessuale, alle organizzazioni sindacali, alle associazioni e organizzazioni rappresentative del diritto o dell’interesse leso, in nome e per conto o a sostegno del soggetto passivo della discriminazione e dei suoi familiari”.
“Il procedimento specifico contro le discriminazioni di genere”
“La tutela giudiziaria contro le discriminazioni di genere è regolata dal D.Lgs. 198 del 2006, che copre qualsiasi discriminazione nell’accesso al lavoro, nella promozione, nella formazione professionale e nelle condizioni di lavoro, inclusa la retribuzione. Nel caso di discriminazione individuale, il lavoratore che intende ricorrere al Tribunale ha facoltà di farsi assistere da una consigliera o un consigliere di parità; nel caso di discriminazione collettiva, fermo restando il diritto di azione individuale del lavoratore, il consigliere o la consigliera di parità è legittimato ad agire in giudizio direttamente”.
Capitolo 18 – Attività e diritti sindacali, contratto collettivo e sciopero
“Il diritto sindacale e il concetto di sindacato in generale”
“Il diritto sindacale e il concetto di sindacato in generale”
“Il diritto sindacale può definirsi come quella parte del diritto del lavoro che concerne la disciplina delle associazioni professionali, i rapporti sindacali, la contrattazione collettiva, lo sciopero e, più in generale, le vicende collettive nel mondo del lavoro. Secondo la ricostruzione dottrinale e giurisprudenziale, il sindacato è un’associazione che rappresenta, attraverso i suoi organi elettivi interni, tutti gli individui che la compongono nella loro qualità di soci e agisce collettivamente al fine di tutelarne i comuni interessi professionali nei confronti degli stessi soci, delle altre associazioni e di altri soggetti giuridici”.
“Il sindacato nell’ordinamento italiano: l’art. 39 Cost. e i sindacati”
“Il sindacato nell’ordinamento italiano: l’art. 39 Cost. e i sindacati”
“L’articolo 39 della Costituzione sancisce il principio della libertà di organizzazione sindacale, prevedendo inoltre che ai sindacati non possa essere imposto altro obbligo oltre a quello della registrazione, con la quale acquistano la personalità giuridica e la capacità di stipulare, attraverso rappresentanze unitarie, contratti collettivi con efficacia erga omnes. Poiché, però, l’articolo 39 non è stato attuato, nel nostro ordinamento i sindacati sono configurabili come enti di fatto a cui si applica la disciplina delle associazioni non riconosciute”.
“L’organizzazione dei sindacati”
“L’organizzazione dei sindacati”
“Per i lavoratori, l’associazionismo sindacale può avvenire: su base professionale, quando il sindacato raccoglie tutti coloro che esercitano uno stesso mestiere, indipendentemente dall’impresa in cui lavorano; sulla base dell’impresa, quando il sindacato raggruppa tutti coloro che prestano la loro opera in imprese del medesimo settore produttivo o merceologico. Per quanto riguarda, invece, i datori di lavoro, pur coesistendo sistemi diversi, la tendenza è uniformarsi alle linee strutturali dei sindacati dei lavoratori”.
“La libertà sindacale”
“La libertà sindacale”
“L’articolo 39 della Costituzione sancisce la libertà di organizzazione sindacale, definita dalla dottrina come la facoltà di coalizione e di azione per la difesa di interessi collettivi professionali. Tale libertà si manifesta, ad esempio, nel diritto di costituire associazioni sindacali, di iscriversi o di non iscriversi a un sindacato, nonché di svolgere ogni forma di attività sindacale. L’espressione più importante dell’autonomia e della libertà sindacale è rappresentata dalla contrattazione collettiva, attraverso la quale le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori determinano le condizioni di lavoro e risolvono i loro conflitti di interesse”.
“Lo Statuto dei Lavoratori”
“Lo Statuto dei Lavoratori”
“La legge 300 del 1970, meglio nota come Statuto dei Lavoratori, rappresenta una delle fonti normative più rilevanti, dopo la Costituzione, in materia di libertà e attività sindacale. Tale legge è stata concepita con due obiettivi di fondo, e cioè tutelare la libertà e la dignità del lavoratore nonché sostenere la presenza del sindacato sui luoghi di lavoro. In particolare: gli articoli da 1 a 13 del Titolo I sono dedicati alla tutela della libertà e dignità del lavoratore; gli articoli da 14 a 18 del Titolo II hanno la funzione di garantire il rispetto della libertà sindacale nell’ambito dei singoli luoghi di lavoro; gli articoli da 19 a 27 del Titolo III contengono una serie di misure di sostegno dell’attività sindacale”.
“Le rappresentanze sindacali dei lavoratori in azienda”
“Le rappresentanze sindacali aziendali (RSA)”
“L’ articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori garantisce la presenza del sindacato in azienda mediante la possibilità di costituire, nelle unità produttive con più di 15 dipendenti, rappresentanze sindacali aziendali: in particolare, sono costituite ad iniziativa dei lavoratori a condizione che la nomina sia riconosciuta da un sindacato in possesso di determinati requisiti. Attualmente, qualsiasi associazione sindacale, anche minoritaria o non confederale, ha il diritto di costituire una propria RSA. L’unico requisito posto dalla norma è, per tutte le associazioni sindacali, la stipulazione di un contratto collettivo di lavoro, di qualsiasi livello, applicato nell’unità produttiva”.
“L’accertamento della rappresentatività sindacale ai fini della costituzione delle RSA”
“Dopo la sentenza 231 del 2013 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato parzialmente illegittimo l’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori, la rappresentanza sindacale aziendale può essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”.
“Il passaggio alle rappresentanze sindacali unitarie (RSU)”
“Le confederazioni sindacali hanno assunto l’impegno alla progressiva sostituzione delle RSA con le rappresentanze sindacali unitarie (RSU). Le RSU possono essere costituite nelle unità produttive di aziende che hanno più di 15 dipendenti: il numero dei componenti le RSU varia a seconda del numero di lavoratori occupati in ciascuna unità produttiva. Il diritto a partecipare alla RSU è riconosciuto, secondo quanto stabilito dal Testo Unico sulla rappresentanza, ai sindacati aderenti alle confederazioni firmatarie dell’accordo stesso o alle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato all’unità produttiva.
Le RSU durano in carica 3 anni e godono degli stessi diritti e doveri previsti dallo Statuto dei Lavoratori in riferimento ai membri delle RSA”.
“La tutela dei rappresentanti sindacali”
“L’attività dei rappresentanti sindacali viene salvaguardata su un duplice piano: da un lato, mira a tutelare l’effettivo esercizio dell’attività dell’organizzazione sindacale, ad esempio, attraverso la concessione di permessi; dall’altro, tutela i sindacalisti quali persone sindacalmente più attive e, pertanto, maggiormente esposte alle ritorsioni del datore di lavoro, sicché ad esempio in favore del sindacalista illegittimamente licenziato è prevista una specifica procedura cautelare e d’urgenza diretta ad ottenere l’immediata reintegrazione nel posto di lavoro”.
“Le funzioni delle rappresentanze sindacali”
“Tra le funzioni attribuite ai rappresentanti sindacali rientra il potere d’indizione del referendum sindacale, di convocazione dell’assemblea dei lavoratori, nonché il diritto di affiggere pubblicazioni, testi e comunicati inerenti materie di interesse sindacale e del lavoro, in appositi spazi che il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all’interno dell’unità produttiva”.
“I diritti di informazione e consultazione delle rappresentanze aziendali”
“I diritti di informazione e consultazione delle rappresentanze aziendali”
“Al fine di permettere e favorire il coinvolgimento dei lavoratori sull’andamento dell’impresa, il D.Lgs. 25 del 2007 ha disciplinato l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese o unità produttive con almeno 50 dipendenti che hanno la propria sede in Italia. È stato quindi introdotto un vero e proprio diritto generale d’informazione e consultazione delle rappresentanze sindacali aziendali, la cui effettiva regolamentazione è demandata alla contrattazione collettiva.
Per informazione s’intende ogni trasmissione di dati da parte del datore di lavoro ai rappresentanti dei lavoratori, finalizzata alla conoscenza e all’esame di questioni attinenti all’attività di impresa; tali questioni costituiscono anche l’oggetto della consultazione, intesa come ogni forma di confronto, scambio di opinioni e dialogo tra rappresentanti dei lavoratori e datore di lavoro”.
“Il contratto collettivo di lavoro”
“Caratteri e fondamento”
“La dottrina dominante definisce il contratto collettivo di lavoro come l’accordo tra un datore di lavoro, o un gruppo di datori di lavoro, e un’organizzazione o più di lavoratori, allo scopo di stabilire il trattamento minimo garantito e le condizioni di lavoro alle quali dovranno conformarsi i singoli contratti individuali stipulati sul territorio nazionale. Il fondamento giuridico del contratto collettivo va individuato, da un lato, nell’autonomia che l’ordinamento giuridico concede alle organizzazioni sindacali; dall’altro, nel rapporto interno che unisce il sindacato ai suoi membri, per cui il primo rappresenta giuridicamente i secondi”.
“Evoluzione storica del contratto collettivo: dal contratto collettivo corporativo a quello attuale cd. di diritto comune”
“Con la legge 563 del 1926, istitutiva dell’ordinamento corporativo, per ciascuna categoria di lavoratori o di datori di lavoro veniva riconosciuta una sola organizzazione professionale che aveva la rappresentanza legale della categoria professionale ed era legittimata a stipulare i contratti collettivi corporativi che avevano efficacia erga omnes, in quanto costituivano una fonte obiettiva del diritto. Con l’articolo 39 della Costituzione, poi, è stato stabilito uno speciale procedimento per la stipulazione dei contratti collettivi attraverso il quale attribuire efficacia di norma giuridica, valevole, in quanto tale, erga omnes. Tuttavia, attualmente, non esiste nel nostro ordinamento il contratto collettivo prefigurato dalla Costituzione, in quanto l’ articolo 39 fino ad ora non è stato attuato: ne consegue che l’unico tipo di contratto collettivo che possa oggi realizzarsi è il contratto collettivo di diritto comune, così denominato in quanto regolato dalle norme di diritto comune in materia contrattuale”.
“Scopo”
“Lo scopo dei contratti collettivi è stabilire condizioni uniformi e obbligatorie, valide per tutti i lavoratori di una determinata categoria, per evitare una possibile e dannosa concorrenza fra prestatori di lavoro e fra datori di lavoro”.
“Oggetto”
“L’oggetto della disciplina del contratto collettivo è costituito, in linea di massima, dai rapporti individuali di lavoro subordinato. Nel contratto collettivo di diritto comune bisogna, però, distinguere un contenuto: normativo, relativo al complesso di clausole che sono destinate ad avere efficacia nei singoli rapporti di lavoro, come ad esempio i livelli retributivi e l’orario di lavoro; obbligatorio, che vincola a determinati comportamenti le associazioni dei lavoratori e datori tra loro, e un esempio è costituito dalle clausole di tregua sindacale”.
“Rapporto tra contratto collettivo e legge”
“In base alla regola generale ordinatrice tra le fonti di disciplina del rapporto di lavoro, le disposizioni del contratto collettivo non possono essere mai in contrasto con la legge o derogare alla stessa e, in ogni caso, eventuali conflitti sono risolti sempre con la prevalenza della disposizione legislativa. Tuttavia, il criterio dell’ordine gerarchico non ha applicazione assoluta nel campo lavoristico, essendo quest’ultimo permeato dal principio del favore verso il lavoratore, principio del cosiddetto favor prestatoris, il quale fa sì che, tra più fonti regolatrici del rapporto di lavoro, prevalga quella più favorevole verso il lavoratore. Pertanto, la norma di legge può essere derogata dal contratto collettivo ogni qual volta esso preveda condizioni migliorative”.
“Rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale”
“All’interno delle fonti di disciplina del rapporto di lavoro, contratto collettivo e contratto individuale di lavoro si collocano nella stessa posizione. Tuttavia, si applica il principio della inderogabilità da parte del contratto individuale alle disposizioni del contratto collettivo, salvo che le disposizioni del contratto individuale siano più favorevoli al lavoratore”.
“Efficacia soggettiva del contratto collettivo”
“In base all’articolo 1372 del codice civile, il contratto collettivo di diritto comune vincola esclusivamente gli iscritti alle organizzazioni sindacali che lo hanno stipulato: tuttavia, nel tempo, si sono formati diversi meccanismi che hanno reso possibile l’applicabilità del contratto collettivo anche ai soggetti non iscritti alle parti stipulanti. Ad esempio, il contratto collettivo può trovare comunque applicazione quando vi sia stata, da parte dei soggetti del rapporto individuale, un’adesione ai contratti collettivi ovvero una ricezione di essi nei contratti individuali”.
“Le regole della contrattazione collettiva”
“I principali accordi interconfederali”
“I principali accordi interconfederali sono i seguenti: gli accordi del 22 gennaio 2009 e del 28 giugno 2011; il Protocollo d’Intesa del 31 maggio 2013; l’accordo Confindustria – CGIL, CISL, UIL del 10 gennaio 2014, recante il Testo Unico sulla rappresentanza; l’accordo Confindustria – CGIL, CISL, UIL del 28 febbraio 2018, cosiddetto Patto per la fabbrica e la Convenzione tra INPS, INL, Confindustria e CGIL, CISL, e UIL del 19 settembre 2019. Filo conduttore di questi accordi è stato, tra l’altro, l’obiettivo di individuare i criteri di accertamento della rappresentatività sindacale, che costituisce un requisito essenziale ai fini della contrattazione collettiva sia nazionale che aziendale”.
“I sindacati legittimati alla contrattazione collettiva”
“La legittimazione alla contrattazione è riconosciuta alle associazioni di categoria aderenti alle organizzazioni sindacali firmatarie degli accordi interconfederali cui sia stata accertata la necessaria rappresentatività. Ai fini della contrattazione collettiva nazionale, l’accertamento della rappresentatività sindacale avviene tenendo conto del dato associativo e del dato elettorale e, per ogni singola organizzazione sindacale presente in un determinato settore economico, la rappresentatività è data dalla media semplice tra dato associativo e dato elettivo. In particolare, per la legittimazione a negoziare è necessaria una rappresentatività non inferiore al 5% del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro. Ai fini della contrattazione collettiva aziendale, invece, l’accertamento della rappresentatività sindacale avviene tenendo conto del solo dato elettivo, se sono state costituite RSU; solo del dato associativo, se in azienda operano RSA”.
“La struttura della contrattazione collettiva: i livelli contrattuali”
“La struttura della contrattazione collettiva è articolata sui tradizionali due livelli di contrattazione, quello nazionale e quello decentrato. Il contratto collettivo nazionale ha la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore, ovunque impiegati nel territorio nazionale, mentre il contratto collettivo aziendale è finalizzato ad adattare la disciplina generale alle specifiche realtà produttive. Il contratto collettivo nazionale è gerarchicamente sovraordinato rispetto al contratto collettivo aziendale: la contrattazione collettiva aziendale si esercita per le materie delegate dal contratto collettivo nazionale di lavoro di categoria o dalla legge”.
“La tempistica della contrattazione”
“La durata del contratto collettivo è di 3 anni, sia per la parte economica che normativa. Al fine di rendere più veloce il rinnovo dei contratti collettivi ed evitare eccessivi ritardi dei negoziati tra le parti, le piattaforme sindacali devono essere presentate 6 mesi prima della scadenza del contratto nazionale, e 2 mesi prima della scadenza del contratto di secondo livello. Entro tali termini si deve dare avvio alle trattative e, per incentivare il regolare svolgimento delle stesse, l’accordo fissa un periodo di tregua sindacale di 7 mesi dalla data di presentazione delle proposte per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali e di 3 mesi per quelli di secondo livello. Inoltre, è previsto che, dalla scadenza del contratto alla stipula del rinnovo, deve essere riconosciuta ai lavoratori una copertura economica, il cui importo è demandato ai singoli contratti collettivi nazionali di categoria”.
“I criteri di determinazione della retribuzione”
“Il rinnovo del contratto collettivo ha anche la funzione di permettere la negoziazione di aumenti salariali, per lo più riferiti all’esigenza di compensare la perdita del cosiddetto potere d’acquisto, cioè del valore reale, delle retribuzioni. L’adeguamento delle retribuzioni all’andamento dell’inflazione avviene sulla base di un parametro costituito dall’Indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia, cosiddetto IPCA, comunicato dall’ISTAT. In funzione degli scostamenti registrati nel tempo dall’IPCA, il contratto collettivo nazionale determina poi il trattamento economico minimo, cosiddetto TEM, costituito dai minimi tabellari per il periodo di vigenza contrattuale. Il TEM e ogni altra attribuzione economica prevista dal contratto collettivo nazionale di categoria come comune a tutti i lavoratori del settore, a prescindere dal livello di contrattazione a cui il medesimo contratto collettivo ne affiderà la disciplina, costituiscono il trattamento economico complessivo, cosiddetto TEC”.
“I salari minimi adeguati nell’Unione Europea e il ruolo della contrattazione collettiva”
“La Direttiva (UE) 2022/2041 ha previsto salari minimi adeguati nell’Unione Europea, al fine di contrastare il dumping contrattuale. Il salario minimo, infatti, se fissato a livelli adeguati, è uno strumento per proteggere il reddito dei lavoratori, in particolare di quelli svantaggiati, contribuendo altresì a garantire una vita dignitosa e a ridurre le disuguaglianze salariali, il divario retributivo di genere e la povertà lavorativa. La Direttiva prevede due modalità per garantire l’adeguatezza del salario minimo: la contrattazione collettiva o la legge. Tuttavia, la Direttiva non obbliga gli Stati membri ad introdurre un salario minimo legale, laddove la formazione dei salari sia garantita esclusivamente mediante contratti collettivi, né a dichiarare un contratto collettivo universalmente applicabile”.
“La determinazione dei premi di produttività e l’elemento di garanzia retributiva”
“Il contratto aziendale o, alternativamente, quello territoriale possono stabilire l’erogazione di premi variabili a seconda del raggiungimento di determinati obiettivi di produttività, efficienza e competitività delle imprese. Al fine di assicurare una maggiore equità salariale, è stato, comunque, introdotto un elemento di garanzia retributiva per i lavoratori dipendenti da aziende prive di contrattazione di secondo livello e che, quindi, non potrebbero altrimenti usufruire dei premi variabili da essa disposti”.
“L’efficacia dei contratti collettivi nazionali”
“Acquistano piena efficacia i contratti collettivi nazionali di lavoro che soddisfino entrambe le seguenti condizioni: sono stati sottoscritti dalle organizzazioni sindacali che costituiscono almeno il 50 per cento + 1 della rappresentanza nel settore e che sono stati approvati dai lavoratori mediante una preventiva consultazione certificata sull’esito della negoziazione. Il contratto collettivo così sottoscritto e approvato è efficace nei confronti di tutti i lavoratori della categoria ed è esigibile verso tutte le organizzazioni sindacali aderenti alle confederazioni firmatarie degli accordi interconfederali”.
“L’efficacia dei contratti collettivi aziendali”
“Affinché il contratto collettivo aziendale abbia efficacia nei confronti di tutti i lavoratori dell’impresa: nel caso in cui a livello aziendale vi siano RSU, che negoziano unitariamente, il contratto deve essere approvato dalla maggioranza dei componenti della RSU presente in azienda; nel caso in cui a livello aziendale vi siano RSA, è necessaria l’approvazione delle RSA costituite nell’ambito delle associazioni sindacali che, singolarmente o insieme ad altre, risultino destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori dell’azienda nell’anno precedente a quello in cui avviene la stipulazione”.
“Lo sciopero”
“Natura e caratteristiche”
“In base all’articolo 40 della Costituzione, lo sciopero costituisce un diritto soggettivo fondamentale e irrinunciabile del prestatore di lavoro. Lo sciopero può considerarsi la principale forma di autotutela dei lavoratori e si configura come un’astensione totale e concertata dal lavoro da parte di più lavoratori subordinati per la tutela dei loro interessi collettivi”.
“I limiti esterni al diritto di sciopero”
“Il diritto di sciopero non è soggetto ad alcuna limitazione, se non a quelle derivanti da norme costituzionali che tutelano posizioni giuridiche concorrenti, quali il diritto alla vita e all’incolumità personale, nonché la libertà d’iniziativa economica. Tali limiti si configurano come limiti esterni, in quanto relativi ad eventuali contrasti tra l’interesse garantito dal diritto di sciopero con altri interessi costituzionalmente tutelati”.
“I limiti interni al diritto di sciopero”
“La giurisprudenza, fino all’inizio degli anni Ottanta, oltre ai limiti esterni, riconosceva anche la categoria dei limiti interni, derivanti, cioè, dalla stessa nozione di sciopero quale astensione concertata e continuativa dal lavoro di tutti i dipendenti. Ne conseguiva l’illegittimità di tutte quelle forme di lotta sindacale attuate con modalità anomale e particolari, come ad esempio lo sciopero a sorpresa, cioè attuato senza preavviso. Tuttavia, in seguito si è affermato un diverso orientamento giurisprudenziale, secondo cui la nozione di sciopero deve essere desunta dal comune linguaggio adottato nell’ambiente sociale, vale a dire dalla prassi delle relazioni industriali. Dunque, se non tutte le forme di lotta possono essere ritenute legittime, per gran parte di esse, pur non rientranti nella nozione consolidata di sciopero, va ammessa l’applicazione diretta dell’ articolo 40 della Costituzione che ne legittima la pratica. Conseguentemente, la categoria dei limiti interni al diritto di sciopero ha perso rilievo”.
“Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali”
“Ambito di operatività”
“La legge 146 del 1990 ha introdotto una normativa che regolamenta l’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali. In particolare, la legge definisce essenziali i servizi finalizzati a garantire i diritti della persona costituzionalmente tutelati. In particolare, i diritti in relazione ai quali è possibile individuare i servizi essenziali sono tassativamente individuati nel diritto: alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione e alla libertà di comunicazione. In relazione a questi diritti, sono poi indicati i vari servizi: ad esempio, per quanto concerne la tutela della vita, della salute, della libertà e sicurezza della persona, dell’ambiente e del patrimonio storico artistico, i servizi essenziali sono quelli che garantiscono la sanità, l’igiene, la protezione civile, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani e l’apertura al pubblico regolamentata di musei e altri istituti e luoghi della cultura”.
“Condizioni per l’esercizio del diritto di sciopero”
“L’esercizio del diritto di sciopero è consentito nel rispetto delle seguenti condizioni: adozione di misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili, per garantire le finalità che la legge si prefigge; osservanza di un preavviso minimo non inferiore a 10 giorni, al fine di predisporre l’erogazione di prestazioni indispensabili e per attivare tentativi di composizione dei conflitti; obbligo di fornire informazioni alle utenze circa lo sciopero da parte delle amministrazioni o delle aziende erogatrici di servizi pubblici essenziali, almeno 5 giorni prima dell’inizio dello sciopero; esperimento di un tentativo di conciliazione, vincolante e obbligatorio per datore di lavoro e sindacati”.
“Il contenuto degli accordi o dei contratti collettivi”
“Nei contratti o accordi collettivi, per ciascun comparto della P.A. che eserciti un servizio pubblico essenziale, devono essere individuati: le prestazioni indispensabili assicurate in caso di sciopero e le modalità e le procedure di erogazione nonché le altre misure necessarie al raggiungimento delle finalità della legge; gli intervalli minimi da osservare tra un’astensione e quella successiva; le procedure di raffreddamento e di conciliazione, obbligatorie per entrambe le parti, da esperire prima della proclamazione dello sciopero”.
“Il giudizio di idoneità della Commissione di garanzia e la provvisoria regolamentazione”
“I contratti collettivi che individuano le prestazioni indispensabili, nonché i codici di autoregolamentazione per le categorie di lavoratori autonomi, liberi professionisti e piccoli imprenditori, che erogano servizi di pubblica utilità, devono essere sottoposti alla valutazione della Commissione di garanzia, che ha l’obbligo di sentire, per un parere, le associazioni dei consumatori e degli utenti e deve tenere conto dei parametri di riferimento definiti dalla legge. In pratica, le prestazioni indispensabili individuate nei contratti collettivi non possono eccedere il limite del 50 per cento dei servizi normalmente erogati e non possono riguardare più di un terzo della forza lavoro occupata, salvo deroghe eccezionali. Il procedimento termina con un giudizio, che può essere positivo o negativo: nel secondo caso, cioè d’inidoneità dell’accordo, la Commissione elabora una proposta sull’insieme delle misure da assicurare, sulla quale le parti devono pronunciarsi entro 15 giorni dalla notifica. In caso di silenzio delle parti, la Commissione, entro 20 giorni, effettua delle audizioni per verificare la possibilità di giungere ad un accordo ma, decorso invano il termine di 20 giorni, viene deliberata la provvisoria regolamentazione, che mira a garantire le finalità della legge in caso di mancanza di regole collettive, oppure quando esse siano giudicate non idonee”.
“Il referendum dei lavoratori”
“La legge 146 del 1990 prevede una apposita procedura di consultazione dei lavoratori, indetta dalla Commissione di garanzia, da attuarsi in caso di dissenso tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori su clausole del contratto collettivo concernenti l’individuazione o le modalità di effettuazione delle prestazioni indispensabili. La consultazione deve svolgersi nei 15 giorni successivi alla sua indizione: a seguito del referendum, la Commissione può formulare una propria proposta sulle prestazioni da assicurare alle utenze sia nell’ipotesi in cui non si sia pervenuto ad un accordo, sia nel caso in cui valuti non adeguate le misure individuate nel contratto o accordo eventualmente stipulato dopo la consultazione”.
“La precettazione”
“Il procedimento di precettazione può essere attivato su segnalazione della Commissione di garanzia, quando dallo sciopero possa derivare un pericolo grave per le utenze, oppure autonomamente e direttamente dalle autorità competenti, in casi di necessità e urgenza, dandone preventiva informazione alla Commissione. A seguito della segnalazione, le autorità precettanti emanano un’ordinanza affinché le parti desistano dai comportamenti contrari alla disciplina di legge
o pattizia e promuovono l’esperimento di un tentativo di conciliazione. Solo se tale tentativo non dia esito positivo, viene emanata l’ordinanza di precettazione che può disporre che lo sciopero sia posticipato, che ne sia ridotta la durata o che avvenga con modalità diverse”.
“Le sanzioni”
“La Commissione di garanzia ha il potere di deliberare la generalità delle sanzioni previste dalla legge e di prescrivere al datore di lavoro l’applicazione delle sanzioni nei confronti dei lavoratori.
Il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni si apre ad iniziativa della Commissione, o dei sindacati dei lavoratori e dei datori, o delle associazioni di rappresentanza delle varie utenze e delle autorità nazionali e locali interessate. Il contraddittorio si svolge entro 30 giorni dalla notifica dell’apertura del procedimento alle parti: decorso tale termine, la Commissione deve esprimere la propria valutazione e, contestualmente, in caso di giudizio negativo, deliberare le sanzioni. Nei confronti dei lavoratori la sanzione è di tipo disciplinare; alle associazioni sindacali invece possono ad esempio essere sospesi i permessi sindacali retribuiti per la durata dell’astensione stessa e comunque per un ammontare economico complessivo che oscilla tra un minimo e un massimo, tenuto conto della gravità della violazione, dell’eventuale recidiva e della gravità dei danni arrecati alle utenze. È inoltre prevista l’esclusione dalle trattative sindacali per un periodo non superiore a due mesi.
La legge 146 del 1990 prevede anche specifiche sanzioni in caso di inosservanza dell’ordinanza di precettazione”.
“Gli effetti dello sciopero sul rapporto di lavoro”
“Gli effetti dello sciopero sul rapporto di lavoro”
“Sul piano degli effetti civilistici l’esercizio del diritto di sciopero dà luogo alla sospensione bilaterale delle due prestazioni fondamentali del rapporto di lavoro: cioè della prestazione del lavoro da parte dei dipendenti e della corresponsione della retribuzione da parte dei datori di lavoro. Al di fuori di queste conseguenze, durante l’esercizio del diritto di sciopero, il rapporto di lavoro resta in vigore e operante ad ogni altro possibile fine”.
“Il mezzo di lotta del datore di lavoro: la serrata”
“La serrata è la chiusura, da parte del datore di lavoro, dei normali luoghi di lavoro, in modo da rendere impossibile lo svolgimento dell’attività lavorativa da parte dei lavoratori allo scopo di impedire azioni illegittime dei prestatori o di indurre gli stessi a recedere da un determinato comportamento”.