Capitolo 1 Il tributo
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Il concetto di tributo
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Il tributo rappresenta per lo Stato un’entrata derivata caratterizzata dalla coattività cioè dall’esercizio della potestà d’imperio da parte dello Stato per ottenere la prestazione. La potestà di imperio è l’elemento essenziale ai fini dell’individuazione del tributo e per la sua differenziazione dalle altre entrate dello Stato.
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La differenza dalle altre entrate dello Stato
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Il tributo si distingue:
— dalle prestazioni pecuniarie che il singolo esegue a causa di suoi rapporti con l’ente pubblico (obbligatorio, contrattuale);
— dalle prestazioni pecuniarie che la legge commina come sanzioni per la violazione di norme penali, amministrative (es.: contravvenzioni, multe ecc.);
— dalle entrate che provengono allo Stato in forza del suo ius imperii senza ulteriore motivazione (introiti derivanti dai territori occupati in guerra);
— dalle entrate conseguenti alla successione nel patrimonio dei privati da parte dello Stato (si ricordi che, in assenza di categorie di successibili, lo Stato è considerato erede necessario);
— dalle entrate eventualmente derivanti dalla emissione di carta moneta addizionale o dalle misure di inflazione e deflazione;
— dalle entrate realizzate attraverso prestiti richiesti ai cittadini.
2 L’imposta
2.1 Il concetto di imposta
Figura tipica del tributo è l’imposta, che è una «prestazione coattiva, di regola pecuniaria, dovuta dal soggetto passivo, senza alcuna relazione specifica con una particolare attività dell’ente pubblico.
2.2 Gli elementi dell’imposta
Elementi dell’imposta sono i seguenti:
— soggetto attivo è lo Stato o l’ente pubblico dotato di potestà impositiva;
— soggetto passivo è il contribuente, cioè colui che deve pagare l’imposta;
— oggetto è la ricchezza su cui l’imposta viene applicata. L’oggetto dell’imposta, viene sempre espresso in moneta ed è chiamato imponibile;
— fonte è la ricchezza a cui il contribuente attinge per pagare l’imposta;
— aliquota è il rapporto tra l’ammontare dell’imposta e la somma imponibile. L’aliquota si esprime in percentuale (per esempio l’aliquota IVA è normalmente del 22% ed è calcolata sull’imponibile).
2.3 La funzione e il fondamento dell’imposta
Funzione dell’imposta è quella di fare concorrere alle spese pubbliche tutti coloro che sono interessati al funzionamento dello Stato e degli altri enti pubblici. Il fondamento dell’imposta risiede nella potestà tributaria dello Stato e degli altri enti pubblici cui questo l’ha riconosciuta.
2.4 La classificazione delle imposte
Nell’ambito delle imposte, si distinguono:
a) le imposte dirette che sono quelle che colpiscono la capacità contributiva nella sua immediatezza (esistenza di un diritto di proprietà su un immobile, possesso di un reddito ecc.);
b) le imposte indirette che si hanno quando per indice rivelatore di una capacità contributiva si usa una manifestazione indiretta di questa (il trasferimento del bene, l’immissione del consumo).
Un’altra importante distinzione è collegata al metodo di calcolo delle imposte: a) le imposte fisse sono predeterminate nell’ammontare e non sono modificate in base alla ricchezza, alla produzione o al prezzo; b) le imposte variabili mutano secondo la base imponibile.
Ancora, si distinguono: a) le imposte soggettive o personali, che sono percepite sui redditi del contribuente, e che fanno capo alla sua persona (o nucleo familiare); b) le imposte oggettive o reali, invece, non prendono in esame il soggetto d’imposta, bensì il solo evento.
3 Le tasse
3.1 La natura giuridica
Nell’ordinamento tributario italiano, la tassa è quel tributo che si differenzia dall’imposta in quanto applicato secondo il criterio della controprestazione. Essa, infatti, è collegata alla richiesta da parte del singolo di una specifica prestazione dell’ente pubblico ed al vantaggio che lo stesso può trarre.
3.2 Gli elementi della tassa
Gli elementi della tassa sono: i soggetti passivi, cioè coloro obbligati a corrisponderla in quanto fanno richiesta allo Stato o all’ente pubblico di un servizio speciale e divisibile; i soggetti attivi ossia lo Stato o l’ente pubblico che dietro pagamento di essa forniscono un servizio al singolo contribuente; l’oggetto che è la prestazione del servizio speciale domandato da uno o più contribuenti.
3.3 La distinzione tra tassa e imposta e tra tassa e corrispettivi contrattuali
Bisogna, distinguere la tassa dall’imposta: entrambe hanno la stessa struttura giuridica e danno vita ad una obbligazione ex lege. La tassa, a differenza dell’imposta, ha il suo necessario presupposto nell’adempimento di un servizio pubblico che concerne in modo particolare l’obbligato. La correlazione che intercorre invece tra tassa e prestazione amministrativa, crea la necessità di distinguere la tassa dai veri e propri corrispettivi collegati a rapporti contrattuali. La prestazione ha natura di corrispettivo laddove la disciplina del rapporto è configurata come contratto; si configurerà come tassa la prestazione che si inserisce in un contesto contrattuale pubblico.
4 Gli altri tipi di entrate
Vi sono anche prestazioni patrimoniali atipiche: si tratta dei con tributi e dei monopoli fiscali.
4.1 I contributi o tributi speciali
Il contributo può definirsi come quell’entrata pubblica di natura tributaria che l’ente pubblico impositore realizza sotto forma di prelievo coattivo di ricchezza a carico di determinati soggetti, per il fatto che costoro traggono vantaggio diretto o indiretto da determinati servizi pubblici, anche senza che essi li abbiano richiesti. Appartengono alla prima specie i contributi detti di miglioria, alla seconda i cd. contributi di utenza.
4.2 I monopoli fiscali
Il monopolio fiscale è un istituto giuridico mediante il quale lo Stato limita l’attività privata e riserva a se stesso la produzione e/o vendita di determinati beni o servizi. A differenza di quanto avviene per i cd. prezzi pubblici l’esborso del singolo è superiore sia al costo di produzione del bene sia a quel margine di utile che spetterebbe al privato imprenditore: in tal modo egli paga un tributo.
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Le fonti del diritto tributario
1 La Costituzione
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I principi costituzionali in materia tributaria
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Nell’ordinamento italiano la fonte primaria del diritto tributario è la Costituzione.
Gli articoli fondamentali, in materia di imposte, sono:
— l’art. 23 che sancisce la riserva di legge in materia tributaria accogliendo il principio della legalità delle imposte, tipico del cd. «Stato di diritto»;
— l’art. 53 secondo il quale «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva» e «il sistema tributario è informato a criteri di progressività»: con tiene perciò i due fondamentali principi dell’universalità dell’imposta, della progressività del sistema tributario. Il principio essenziale che si ricava da questi articoli è che non esiste correlazione tra la pre stazione pecuniaria del singolo e il beneficio che questi riceve dall’azione dello Stato;
— gli artt. 75 e 119. L’art. 75 afferma che non è ammesso il referendum abrogativo per le leggi tributarie. La ragione di tale divieto nasce dal timore che nei contribuenti, chiamati a pronunciarsi su una legge tributaria, il desiderio di liberarsi di un tributo prevalga sulla razionale valutazione della sua utilità sociale. Quanto detto sopra non impedisce, però, il ricorso all’iniziativa popolare ex art. 72, comma 2, Cost., nell’ipotesi (per la verità assai improbabile) di proposte di leggi tributarie. L’art. 119, infine, demanda agli enti territoriali una parziale autonomia finanziaria.
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La riserva di legge
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In base all’art. 23 della Costituzione, nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. La riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost. deve essere considerata una riserva relativa e non assoluta: da ciò deriva che la legge o gli atti aventi forza di legge (decreti legge o decreti legislativi) può non regolare integralmente il rapporto tributario, demandando ad un regola mento (o ad altra fonte subordinata) la disciplina specifica degli elementi fissati in generale dalla legge.
Quanto al contenuto minimo che la legge deve avere, esso si identifica negli elementi necessari per individuare il nuovo tributo e cioè: il presupposto di fatto; i soggetti passivi; i principi di determinazione delle aliquote; le sanzioni.
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Il principio di generalità e uguaglianza del tributo
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Un altro principio si ricava dall’art. 53 della Costituzione, in base al quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il termine tutti si riferisce tanto ai cittadini italiani quanto agli stranieri e agli apolidi che operano sul territorio dello Stato e che realizzano i presupposti di legge necessari per essere soggetti all’imposizione fiscale. Il termine, inoltre, si rivolge alle imprese individuali e collettive sia nazionali che straniere.
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Il principio della capacità contributiva
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Il criterio della capacità contributiva serve a stabilire che il soggetto può essere tenuto ad adempiere una data presta zione solo nel caso in cui il sorgere dell’obbligo posto in rapporto con un fatto, una circostanza, sia suscettibile di valutazione economica. In definitiva, può essere sottoposto a tributo solo ciò che indica l’esistenza di capacità contributiva: ad esempio non si possono colpire le persone perché alte o basse o perché celibi o sposate, ma solo le situazioni economicamente valutabili. La capacità contributiva si palesa, quindi, come un limite per il legislatore ordinario alla sua libertà di scelta. L’art. 53 è considerato anche una specificazione dei doveri di solidarietà economica e sociale sanciti dall’art. 2 della Costituzione.
1.5 Il principio della progressività del sistema tributario
Un principio di equità, largamente condiviso, vuole che il carico tributario individuale cresca con il crescere della ricchezza del contribuente. Quando il carico tributario cresce in rapporto diretto con il crescere della ricchezza considerata imponibile (es.: Tizio, che ha un reddito doppio di Caio, paga un’imposta pari a due volte quella pagata da quest’ultimo), diciamo che la tassazione è proporzionale. Quando il carico tributario cresce in misura più che proporzionale col crescere della ricchezza imponibile (es.: Tizio paga un’imposta pari a tre volte quella di Caio, pur avendo Caio un reddito pari alla metà di Tizio), la tassazione è definita progressiva (art. 53 Cost. comma 2). La tassazione progressiva, pertanto, è una tassazione ad aliquote (marginali) crescenti.
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I tipi e le modalità di progressività
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La progressività delle imposte può essere tecnicamente attuata con diverse modalità. Si ha progressività per detrazione quando si colpisce con un’aliquota costante la base imponi bile, dopo aver detratto da questa un ammontare fisso. Per esempio, se l’aliquota è pari al 20% e la detrazione ammessa è uguale a 100 si avrà che i redditi fino a 100 non pagheranno imposta, quelli di 200 pagheranno di imposta 20, quelli di 400 pagheranno di imposta 60 ecc. La progressività è per classi quando ad ogni classe di imponibile corrisponde un’aliquota costante, che cresce passando da una classe più bassa ad una classe più alta. Ad esempio, agli imponibili fino a 100 si applica l’aliquota del 5%; a quelli fino a 200 l’aliquota del 6%; a quelli fino a 300 l’aliquota del 7% e così via. Nella progressività continua l’aliquota aumenta in misura continua con l’aumentare della base imponibile, fino ad un massimo, raggiunto il quale, essa rimane costante. La progressività per scaglioni si ha quando per ogni classe di imponibile è prevista un’aliquota che si applica soltanto allo scaglione di imponibile compreso in quella classe.
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La flat tax
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La flat tax (tassa piatta) è un sistema fiscale non progressivo, basato su una aliquota fissa. Obiettivo principale dei sostenitori di tale sistema è ridurre la pressione fiscale per far emergere quella parte di economia elusa e/o evasa e, parallelamente, attrarre maggiori capitali esteri.
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I principi fiscali e la normativa comunitaria
Il sistema fiscale adottato dall’Unione Europea mira a garantire un regime di libera concorrenza nell’ambito comunitario, mediante i principi della tassazione nel Paese di destinazione e quello della non discriminazione fiscale.
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Il principio di tassazione nel Paese d’origine
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È il principio cardine adottato per le imposte dirette. La logica di tale scelta è di tutta evidenza: solo lo Stato di appartenenza dell’esportatore può accertare l’effettivo reddito complessivo che questi ha realizzato e può perciò tassarlo secondo i criteri di progressività e capacità contributiva.
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Il principio di tassazione nel Paese di destinazione
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In base a tale principio ogni prodotto è sottoposto al regime fiscale dello Stato in cui è consumato: si evita, in tal modo, una doppia imposizione — nell’ambito comunitario — per lo stesso bene. Si è preferito adottare questo criterio limitatamente alle imposte indirette perché tali imposte incidono sul prezzo finale delle singole merci.
Con l’apertura delle frontiere doganali in ambito comunitario l’Europa ai fini fiscali deve essere considerata un’unica area di scambio nella quale i beni degli Stati membri possono circolare liberamente senza subire controlli di sorta e l’Unione Europea costituisce un «corpo unitario» nei confronti dei Paesi terzi. Di qui l’abolizione dei diritti di confine negli scambi comunitari ed una regolamentazione del sistema comune di imposta sul valore aggiunto.
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Il principio della non discriminazione fiscale
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Questo principio vuole evitare il ricorso ai dazi doganali protettivi, che creano discriminazioni fra gli Stati membri dell’Unione Europea, ciascuno dei quali tende a favorire i propri prodotti (AMATUCCI). Conseguenze dirette di questo cd. divieto del protezionismo sono: il divieto di imporre tributi nei confronti di un solo Paese membro a vantaggio di altri; il divieto di creare tributi discriminatori per merci di Stati membri; il divieto di imporre tributi maggiori su beni importati rispetto ad eguali beni di produzione nazionale.
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Le altre fonti del diritto tributario
Le fonti diverse dalla Costituzione sono ad essa subordinate, nel senso che debbono uniformarsi ai principi sanciti dalla stessa.
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Le norme del Trattato dell’Unione europea
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I principi europei — attraverso gli artt. 10, 11 e 117 Cost. — vincolano il legislatore nazionale, l’Amministrazione finanziaria, e il potere giudiziario e si distinguono in: fonti primarie se contenute nei trattati istitutivi dell’Unione; fonti derivate se derivano dalla statuizione degli organi dell’Unione (direttive, regolamenti).
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La legge ordinaria
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La norma tributaria, secondo l’art. 23 della Costituzione, ha come fonte di produzione primaria la legge che può creare, modificare, estinguere norme tributarie. Nessun tributo, dunque, può essere creato con atto normativo diverso dalla legge (o da atto con forza di legge). Tra i principi generali dell’ordinamento tributario, codificati nella L. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), particolarmente rilevante è quello che fissa l’irretroattività delle leggi tributarie.
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I decreti legislativi e i decreti legge
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Entrambi sono emanati dal Governo ed hanno la stessa forza della legge. I decreti legge, in particolare, sono emanati dal Governo di propria iniziativa per motivi di necessità ed urgenza (art. 77 della Costituzione) salvo, poi, la conversione in legge da parte delle Camere entro 60 giorni dalla loro emanazione. Nell’ambito delle modalità di legislazione previste dallo Statuto del contribuente è sancito che nessun tributo può essere introdotto con decreto legge e che la legislazione di urgenza non può individuare soggetti passivi di tributi già esistenti. Attualmente, quindi, è molto frequente il ricorso ai decreti legislativi i quali invece, presuppongono una delega delle Camere al Governo con preventiva determinazione dei principi e criteri direttivi che il Governo è tenuto a seguire (art. 76 della Costituzione).
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La potestà legislativa delle Regioni
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Accanto allo Stato, anche le Regioni godono di potestà impositiva. In particolare le Regioni a statuto ordinario, pur nel silenzio dell’art. 117 della Costituzione, godono di competenza normativa tributaria, limitata ai tributi cosiddetti propri, in virtù dell’autonomia finanziaria di cui all’art. 119 in base al quale le Regioni «stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», pur rimanendo fissa la competenza statale per la fissazione dei principi generali. La potestà legislativa delle Regioni esclusiva non trova applicazione con riferimento ai cd. tributi impropri, cioè quei tributi che pur denominati come regionali e il cui gettito è attribuito alle Regioni, sono stati istituiti con legge dello Stato (es. IRAP). Tali tributi non possono essere comunque modificati da legge regionale.
Le Regioni a statuto speciale prevedono, nei rispettivi statuti, la loro autonomia, che va tuttavia temperata con le norme nazionali. È chiaro, comunque, che il coordinamento tra le norme nazionali e quelle delle Regioni a statuto speciale va perfezionato, dal momento che per tali Regioni non trovano applicazione le «leggi cornice». Beninteso anche le norme regionali delle Regioni a statuto speciale, pur avendo valore di fonte primaria, sono limitate e vincolate dai principi sanciti dalla Costituzione, dalle leggi costituzionali nonché dai principi generali dell’ordinamento.
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I regolamenti, i decreti dirigenziali e i provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle entrate
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I regolamenti sono fonti secondarie di produzione del diritto e sono subordinati alle leggi, agli statuti e alle norme di autonomia degli enti pubblici e ai regolamenti emanati da autorità superiori. Tali regolamenti possono classificarsi in governativi se deliberati dal Consiglio dei Ministri e ministeriali se deliberati dal singolo Ministro. In campo fiscale è assai frequente il ricorso a regolamenti interministeriali, trattandosi di materie che investono le competenze e le responsabilità di più dicasteri.
Gli unici regolamenti che possono attuare la legge tributaria sono i cd. regolamenti di esecuzione, rivolti ad eseguire la legge e contenenti solo le norme necessarie per dare ad essa concreta attuazione. I regolamenti indipendenti (come le ordinanze), invece, non possono essere ammessi perché risulterebbero in contrasto con l’art. 23 della Costituzione. Vi sono inoltre i decreti dirigenziali adottati dai dirigenti e finalizzati all’organizzazione degli uffici di livello dirigenziale non generale e i provvedimenti emanati dalle Agenzie fiscali volti all’organizzazione interna delle proprie strutture.
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Le istruzioni ministeriali
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Sono atti contenenti disposizioni per gli uffici inferiori, per indirizzarne l’attività secondo i criteri dettati dall’organo superiore. La forza delle circolari, atti amministrativi a rilevanza interna, è data dal vincolo gerarchico; pertanto, non possono considerarsi fonti di diritto oggettivo, né possono modificare norme preesistenti. Esse, tuttavia
4.2 Le altre fonti comunitarie
Oltre alle disposizioni tributarie contenute nel Trattato europeo, altre sono le fonti del diritto tributario emanate in attuazione dello stesso Trattato: i regolamenti, che hanno portata generale, sono obbligatori in tutte le parti che li compongono e sono direttamente applicabili nei singoli Stati membri senza necessità di un atto di ricezione o adattamento dei singoli ordinamenti; le direttive, che vincolano, invece, gli Stati dell’Unione ai quali sono indirizzate per quanto riguarda i risultati che si vogliono raggiungere in quanto spetta agli organi nazionali dei singoli Stati la competenza in merito a forme, mezzi e metodi per realizzare il risultato atteso. Dunque, i legislatori nazionali dispongono di un certo margine discrezionale per stabilire i criteri con cui recepire le direttive comunitarie. A ben vedere esiste tra la direttiva comunitarie e la legge di attuazione un rapporto analogo a quello che caratterizza legge delega e decreto legislativo; le decisioni, che riguardano casi specifici e sono obbligatorie per i destinatari in esse indicati per quanto attiene tutte le tematiche oggetto della decisione; le sentenze della Corte di giustizia, che hanno effetto diretto negli ordinamenti degli Stati membri.
4.3 Le convenzioni internazionali
Sono atti sottoscritti a livello internazionale tra due o più Stati su alcuni temi di carattere fiscale di particolare rilevanza: doppia imposizione dei redditi, dei patrimoni o dei beni caduti in successione; previsione o eliminazione di dazi; collaborazione tra autorità fiscali per combattere l’evasione, l’elusione e le frodi internazionali. In base al dettato dell’art. 80 della Costituzione, le convenzioni vanno ratificate con legge e in tal modo diventano norme interne dello Stato italiano.
Le convenzioni, dunque, non incidono in alcun modo sulla potestà normativa tributaria, che resta di competenza degli Stati sottoscrittori (in virtù della legge di ratifica). Si tratta, dunque, di norme speciali che prevalgono sulle norme interne (ritenute di carattere generale).
5 Lo Statuto dei diritti del contribuente
5.1 Evoluzione legislativa
Nell’intento di mutare il quadro dei rapporti tra cittadino e fisco, improntandoli a principi di collaborazione e buona fede, è stato approvato, con L. 27-7-2000, n. 212, lo Statuto dei diritti del contribuente, da ultimo mod. dal D. Lgs. 219/2023. Obiettivi primari di tale normativa sono: stabilire regole precise per dare maggiore stabilità e chiarezza alle norme tributarie; tutelare il contribuente contro disposizioni che talora appaiono inique e vessatorie o predisposte unicamente a vantaggio dello Stato.
5.2 I principi generali
L’art. 1 della L. 212/2000 precisa che le disposizioni dello Statuto del contribuente si richiamano ai principi contenuti nella Costituzione, nell’ordinamento dell’Unione europea e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e come tali costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario, criteri di interpretazione della legislazione tributaria e si applicano a tutti i soggetti del rapporto tributario compresa l’Amministrazione finanziaria. Il D. Lgs. 219/2023 ha, inoltre, inserito, nell’art. 1 il comma 3bis, ove viene espressamente sancito il dovere per le Amministrazioni statali, per le Regioni e per gli Enti locali di osservare le disposizioni in tema di garanzia del contraddittorio, accesso ai documenti amministrativi, tutela dell’affidamento, divieto del bis in idem, principio di proporzionalità e autotutela.
5.3 La certezza del diritto
Nell’ambito dello Statuto dei diritti dei contribuenti la certezza del diritto può essere decli nata sulla base degli articoli 2 (chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie), 3 (efficacia temporale delle norme tributarie) e 4 (utilizzo del decreto legge in materia tributaria).
5.3.1 La chiarezza e la trasparenza delle norme tributarie
Per quanto riguarda la chiarezza e trasparenza viene disposto l’obbligo di menzionare l’oggetto del provvedimento nel titolo dell’atto legislativo e nella rubrica delle partizioni interne nonché l’obbligo di indicare, nei richiami ad altre disposizioni, il contenuto sintetico della norma alla quale si intende far rinvio.
5.3.2 L’efficacia temporale delle norme tributarie
Circa l’efficacia delle norme tributarie nel tempo, l’art. 3, comma 1, della L. 212/2000 dispone che, salvo le norme interpretative, espressamente qualificate come tali, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo.
5.3.3 L’utilizzo del decreto legge in materia tributaria
La disposizione dell’art. 4 pone un divieto preciso: non si può disporre con decreto legge l’istituzione di nuovi tributi né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti
5.4 La disciplina del rapporto tra Amministrazione finanziaria e contribuente
Un secondo gruppo di norme dello Statuto è costituito dalle disposizioni, contenute negli articoli da 5 a 12, volte a tutelare la posizione del contribuente nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.
5.4.1 Informazione del contribuente
L’art. 5 dello Statuto contiene disposizioni tese ad assicurare al contribuente un’adeguata informazione in materia tributaria, prevedendo che l’Amministrazione si organizzi al fine di consentire una completa conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti. Sempre al fine di garantire un più trasparente rapporto tra Amministrazione finanziaria e contribuenti, l’art. 6 detta un’articolata disciplina che vincola il comportamento degli Uffici così da assicurare al contribuente la più ampia conoscenza degli atti che lo riguardano.
5.4.2 Principio del contraddittorio
L’art. 6bis (introdotto dal D.Lgs. 219/2023) disciplina il principio del contraddittorio, in base al quale tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, con esclusione degli atti automatizzati, di controllo formale delle dichiarazioni e dei casi motivati di fondato pericolo per la riscossione, sono preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo.
5.4.3 Chiarezza e motivazione degli atti
L’art. 7 dispone che gli atti dell’Amministrazione finanziaria, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, devono essere motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto (motivazione per relationem), che non è già stato portato a conoscenza dell’interessato lo stesso è allegato all’atto che lo richiama, salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale e la motivazione indica espressamente le ragioni per le quali i dati e gli elementi contenuti nell’atto richiamato si ritengono sussistenti e fondati.
5.4.4 Tutela dell’integrità patrimoniale
L’art. 8 dello Statuto detta norme riguardanti la tutela dell’integrità patrimoniale prevedendo tra l’altro che l’obbligazione tributaria possa essere estinta anche mediante compensazione e la possibilità che il debito d’imposta possa essere accollato da terzi senza tuttavia la liberazione del contribuente-debitore originario. Si dispone che l’obbligo di conservazione di atti e documenti, comprese le scritture contabili non può eccedere dieci anni dalla loro emanazione, formazione e utilizzazione. Inoltre, è espressamente previsto che il decorso del termine preclude definitivamente la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di fondare pretese su tale documentazione.
5.4.5 Divieto di bis in idem nel procedimento tributario
Per quanto riguarda il divieto di bis in idem nel procedimento tributario (art. 9bis introdotto dal D.Lgs. 219/2023) è previsto che salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente e ferma l’emendabilità di vizi formali e procedurali, il contribuente ha diritto a che l’Amministrazione finanziaria eserciti l’azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d’imposta, ferme restando le eccezioni in tema di accertamenti parziali.
5.4.6 Il divieto di divulgazione dei dati dei contribuenti
Nell’art. 9ter lo Statuto dispone che l’Amministrazione finanziaria ha il potere di acquisire, anche attraverso l’interoperabilità, dati e informazioni riguardanti i contribuenti, contenuti in banche dati di altri soggetti pubblici, fermo il rispetto di ogni limitazione stabilita dalla legge. È, in ogni caso, vietato per l’Amministrazione divulgare i dati e le informazioni acquisite, salvi gli obblighi di trasparenza previsti per legge.
5.4.7 Tutela dell’affidamento e della buona fede
L’art. 10 dello Statuto sancisce la regola fondamentale secondo la quale i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede e non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’Amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’Amministrazione stessa. Limitatamente ai tributi unionali, non sono dovuti i tributi nel caso in cui gli orientamenti interpretativi dell’Amministrazione, conformi alla giurisprudenza unionale ovvero ad atti delle istituzioni unionali e che hanno indotto un legittimo affidamento nel contribuente, vengono successivamente modificati per effetto di un mutamento della predetta giurisprudenza o dei predetti atti.
5.4.8 Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale (Rinvio)
L’art. 10bis regola l’abuso del diritto e l’elusione fiscale le cui disposizioni saranno esaminate nel Cap. 3, par. 2.2.
5.4.9 Il principio di proporzionalità nel procedimento tributario
L’art. 10ter, introdotto dal D. Lgs. 219/2023, disciplina il principio di proporzionalità nel procedimento tributario. A tal fine l’azione amministrativa deve essere necessaria per l’attuazione del tributo, non eccedente rispetto ai fini perseguiti e non limitare i diritti dei contribuenti oltre quanto strettamente necessario al raggiungimento del proprio obiettivo. Il principio di proporzionalità si applica anche alle misure di contrasto dell’elusione e dell’evasione fiscale e alle sanzioni tributarie.
5.4.10 Autotutela (Rinvio)
Gli artt. 10quater e 10quinquies disciplinano l’esercizio del potere di autotutela distinguendola in autotutela obbligatoria e autotutela facoltativa. Entrambi gli istituti saranno trattati nel Cap. 4, par. 5.
5.4.11 I documenti di prassi, le circolari, la consulenza giuridica e la consultazione semplificata
L’art. 10sexies si precisa che l’Amministrazione fornisce supporto ai contribuenti nell’interpretazione e nell’applicazione delle disposizioni tributarie mediante circolari interpretative ed applicative, consulenza giuridica, interpello e consultazione semplificata (documenti di prassi). Le circolari sono pubblicate dall’ Amministrazione pubblica per fornire chiarimenti,approfondimenti e aggiornamenti interpretativi conseguenti a nuovi orientamenti legislativi e giurisprudenziali (art. 10septies). Con l’art. 10sexies si dispone che l’Amministrazione offre, su richiesta, consulenza giuridica alle associazioni sindacali e di categoria, agli ordini professionali, agli enti pubblici o privati, alle Regioni e agli Enti locali, nonché alle Amministrazioni dello Stato per fornire chiarimenti interpretativi di disposizioni tributarie su casi di rilevanza generale che non riguardano singoli contribuenti. Il nuovo istituto della consultazione semplificata (art. 10nonies) ha per obiettivo di ridurre il ricorso agli interpelli, attraverso la messa a disposizione di una banca dati nella quale dovrebbero confluire le risposte rese dall’Agenzia ad ogni ipotesi di consulenza già fornita. Il servizio, usufruibile gratuitamente, è circoscritto alle persone fisiche (anche non residenti) e ai contribuenti di minori dimensioni (specificamente individuati nelle società di persone e negli altri soggetti assimilati di cui all’art. 5 TUIR).
5.4.12 Diritto d’interpello (Rinvio)
L’art. 11 dello Statuto disciplina l’istituto dell’interpello per la cui esposizione si rimanda al Cap. 3, par. 3
5.4.13 Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali
Importante anche la disciplina dei diritti e delle garanzie del contribuente che viene sottoposto a verifiche fiscali: il principio generale e che ogni attività di verifica (accessi, ispezioni) va effettuata sulla base delle effettive esigenze di indagine e in modo da non recare danno o turbativa all’attività del contribuente sottoposto a verifica (art. 12).
5.4.14 Il Garante nazionale del contribuente
L’art. 13 dello Statuto, come sostituito dal D.Lgs. 219/2023, istituisce la figura del Garante nazionale del contribuente, organo monocratico scelto e nominato dal Ministro dell’economia e delle finanze per la durata di quattro anni, rinnovabile una sola volta tenuto conto dell‘attività svolta. Il Garante nazionale del contribuente, sulla base di segnalazioni scritte del contribuente o di qualsiasi altro soggetto che lamenti un comportamento suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e Amministrazione finanziaria può, tra l’altro accedere agli uffici finanziari per controllarne la funzionalità dei servizi di assistenza e di informazione al contribuente.
Capitolo 3
L’interpretazione e l’efficacia delle norme tributarie
1 L’interpretazione delle norme tributarie
Spesso è lo stesso legislatore a fornire chiarimenti circa il significato di disposizioni emanate in precedenza: si parla in tal caso di interpretazione autentica. In proposito la L. 212/2000 (art. 1, comma 2) ha specificato che tale tipo di interpretazione può essere operata solo in casi eccezionali e con legge ordinaria. Principi interpretativi peculiari del diritto tributario sono quelli dei salti di imposta e del divieto di doppia imposizione: in base al primo, i redditi dovrebbero essere sempre tassati, a meno che non ci sia un giustificato motivo per esentarli mentre, in base al secondo principio, la tassazione non dovrebbe mai essere duplicata. Talvolta, poi, l’interprete può far riferimento alle direttive comunitarie o alla legge delega sulla cui base è stata emanata una disposizione. In tali ipotesi si prenderanno in considerazione i criteri informatori della delega o della direttiva al fine di verificare la congruità o meno della norma
2 L’abuso del diritto (o elusione fiscale)
2.1 La lotta all’elusione
L’elusione si realizza quando il contribuente applica (abusivamente) una normativa fiscale più favorevole non adottando il regime fiscale appropriato (abuso del diritto): ad esempio, stipulare un contratto volto a eludere l’applicazione di una norma fiscale o riqualificare un negozio giuridico elusivo in modo da non far emergere il vero negozio posto in essere dalle parti (costituzione di società di comodo).
2.2 L’art. 10bis dello Statuto dei diritti del contribuente
Per far fronte a tali inconvenienti, il D.Lgs. 128/2015 ha inserito nello Statuto dei diritti del contribuente (L. 212/2000), l’articolo 10bis, rubricato «Disciplina dell’abuso del diritto o elusione fiscale» disponendo nello stesso tempo l’abrogazione dell’articolo 37bis del D.P.R. 600/1973. In primo luogo occorre sottolineare che la rubrica dell’articolo in esame mette in evidenza l’unificazione della nozione di abuso del diritto con quella di elusione fiscale. Ne deriva che i due termini sono equipollenti e utilizzati indifferentemente, con riguardo a tutti i tributi, fatta salva la speciale disciplina prevista in materia doganale (art. 1, comma 4, D.Lgs. 128/2015). Il comma 1 dell’art. 10bis contiene una completa, seppur sintetica, definizione di abuso del diritto, in virtù della quale «configurano abuso del diritto le operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti». La norma individua, quindi, i tre presupposti per l’esistenza dell’abuso.
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Il diritto di interpello nello Statuto dei diritti del contribuente
Si tratta dello strumento per conoscere il parere dell’amministrazione finanziaria sull’interpretazione di norme di legge in relazione ai casi concreti e personali dei singoli contribuenti. Con lo Statuto dei diritti del contribuente (at. 11, L. 212/2000) l’istituto si è trasformato da strumento di contatto episodico a strumento di portata generale (interpello generalizzato).
In particolare, il contribuente può interpellare l’Amministrazione finanziaria per ottenere una risposta riguardante fattispecie concrete e personali relativamente alla:
— applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla loro corretta interpretazione (interpello interpretativo);
— corretta qualificazione di fattispecie alla luce delle disposizioni tributarie ad esse applicabili (interpello qualificatorio);
— disciplina dell’abuso del diritto in relazione a una specifica fattispecie (interpello antiabuso);
— disapplicazione di disposizioni tributarie che, per contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, o altre posizioni soggettive del contribuente altri menti ammesse dall’ordinamento tributario, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi (interpello disapplicativo);
— sussistenza delle condizioni e valutazione dell’idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l’adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti dalla legge (interpello probatorio). Questa forma di interpello è riservata ai soggetti che aderiscono al regime dell’adempimento collaborativo (artt. 3 e ss., D.Lgs. 128/2015) e ai soggetti che presentano le istanze d’interpello sui nuovi investimenti (art. 2, D.Lgs. 147/2015);
— sussistenza delle condizioni e valutazione dell’idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge ai fini dell’esercizio dell’opzione per l’imposta sostitutiva sui redditi prodotti all’estero, realizzati da persone fisiche che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia (art. 24bis TUIR).
4 Gli interpelli non disciplinati dall’art. 11 dello Statuto
4.1 Il ruling internazionale
Per ruling internazionale si intende quell’attività posta in essere dalle imprese con attività internazionale indirizzata a sottoscrivere delle regole con l’amministrazione finanziaria, in modo tale da evitare già a monte possibili conflitti con la stessa e relegando i controlli ex post a ipotesi eventuali e marginali. Il D.Lgs. 147/2015 (introducendo l’art. 31ter al D.P.R. 600/1973), detta un’ampia disciplina in materia di ruling internazionale ai fini della stipula di accordi preventivi con l’Agenzia delle Entrate elencando gli ambiti per i quali è possibile stipulare gli accordi preventivi. Gli accordi vincolano le parti per il periodo d’imposta nel corso del quale sono stipulati e per i quattro periodi d’imposta successivi.
4.2 L’interpello sui nuovi investimenti
L’art. 2 del D. Lgs. 147/2015 introduce nell’ordinamento una tipologia di interpello, indirizzato alle società che effettuano nuovi investimenti, per dare certezza in merito ai profili fiscali del piano di sviluppo che si intende attuare. Fondamentale a tal fine è la presentazione da parte dell’investitore di un business plan con la descrizione dell’ammontare dell’intervento, i tempi e le modalità di realizzazione dello stesso, l’incremento occupazionale e i riflessi che esso ha sul sistema fiscale.
4.3 L’interpello nel regime dell’adempimento collaborativo
Al fine di promuovere l’adozione di forme di comunicazione e di cooperazione tra Amministrazione finanziaria e contribuenti, il titolo III del D.Lgs. 128/2015 (artt. 3-7) ha istituito il regime di adempimento collaborativo fra l’Agenzia delle entrate e i contribuenti dotati di un sistema di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale. L’adesione al regime dell’adempimento collaborativo comporta per i contribuenti una procedura abbreviata di interpello preventivo in merito all’applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti, in relazione ai quali l’interpellante ravvisa rischi fiscali. Ai sensi degli artt. 5 e 7 del D.M. 15-6-2016 (come modificato dal D.M. 20-5-2024) l’ufficio competente, ricevuta l’istanza dal contribuente, deve verificare i requisiti della stessa entro 15 giorni e rispondere entro 45 giorni dalla data di ricezione.
5 L’efficacia della norma tributaria nel tempo e nello spazio
5.1 L’efficacia nel tempo
Con l’art. 3 dello Statuto del contribuente il legislatore ha riaffermato il principio della certezza giuridica anche in campo fiscale, stabilendo che le disposizioni tributarie non possono avere effetto retroattivo.
5.2 L’efficacia nel tempo delle norme sanzionatorie
Sia per le sanzioni amministrative che penali si applica il principio di legalità in base al quale nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in base ad una legge in vigore prima della commissione della violazione e per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile (art. 3, commi 1 e 2, D.Lgs. 472/1997). Tale principio è poi completato da quello del favor rei in base al quale si applica la legge più favorevole al contribuente nell’ipo tesi in cui la violazione nel corso del tempo sia stata punita con sanzioni di diversa entità, salvo che il provvedimento di irrogazione sia divenuto definitivo (art. 3, comma 3, D.Lgs. 472/1997).
5.3 L’efficacia nello spazio
La legge tributaria ha carattere strettamente territoriale. Essa, cioè, esplica i suoi effetti solo nel territorio dello Stato, tuttavia il legislatore può configurare, come presupposto di un’imposta da applicare in Italia, un fatto che è avvenuto all’estero (esempio: possesso di un bene all’estero).
Capitolo 4 I soggetti del diritto tributario
1 La soggettività tributaria
Si distinguono:
— i soggetti attivi detti «enti impositori». Ad essi la legge riserva la cd. potestà di imposizione da cui deriva l’onere dell’accertamento, controllo, riscossione dei tributi, nonché il potere di irrogare le relative sanzioni ai trasgressori; — i soggetti passivi sono, invece, le persone fisiche o giuridiche tenute all’adempimento dell’obbligazione tributaria secondo le disposizioni di legge.
2 I soggetti attivi: il Ministero dell’economia e delle finanze e le Agenzie fiscali
2.1 Il Ministero dell’economia e delle finanze
I poteri di accertamento, riscossione e controllo sono esercitati dallo Stato attraverso l’amministrazione finanziaria il cui organismo centrale è il Ministero dell’economia e delle finanze, a cui fa capo un’articolata organizzazione periferica. Al suo interno è presente il Dipartimento delle Finanze che svolge un ruolo di regia complessiva del sistema fiscale e coordina e controlla le Agenzie fiscali
2.2 Le Agenzie fiscali
Le Agenzie fiscali sono enti pubblici non economici (ad eccezione dell’Agenzia del demanio che è ente pubblico economico) dotati di personalità giuridica e autonome dal punto di vista regolamentare, amministrativo, patrimoniale, contabile e finanziario. A ciascuna Agenzia è affidata una missione specifica di gestione:
— l’Agenzia delle entrate ha il compito di gestire i tributi diretti, l’IVA e le altre entrate erariali non di competenza di altre Agenzie, amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, enti od organi. Assorbe inoltre le funzioni dell’Agenzia del territorio attinenti al Catasto e alle Conservatorie dei registri immobiliari e alla realizzazione di un sistema integrato di anagrafe dell’intero patrimonio immobiliare italiano;
— l’Agenzia delle entrate-riscossione, che ha assorbito i compiti di Equitalia s.p.a. e cura la riscossione coattiva dei tributi erariali e di altri enti;
— l’Agenzia delle dogane e dei monopoli gestisce i diritti e tributi legati agli scambi internazio nali e le accise sulla produzione e sui consumi, escluse quelle sui tabacchi lavorati e gestisce i Monopoli di Stato;
— l’Agenzia del demanio gestisce con criteri imprenditoriali tutti i beni immobili dello Stato. Ad essa è, inoltre, attribuita la gestione dei beni confiscati.
Son organi delle Agenzie: il direttore, il comitato di gestione ed il collegio dei revisori.
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Gli altri soggetti dipendenti dal MEF
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Operano nell’ambito del MEF: la Guardia di Finanza e la Scuola Nazionale dell’Amministra zione (SNA). La Guardia di Finanza, è dotata di ampi poteri istruttori e di indagine. La Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA) svolge attività di formazione a favore dell’Amministrazione finanziaria
3.I soggetti ausiliari
Si dicono «soggetti ausiliari» quelle persone (fisiche o giuridiche) cui gli enti impositori, in base a disposizioni di legge, affidano alcune limitate funzioni pubbliche inerenti la riscossione e l’accertamento dei tributi.
4 Gli atti dell’Amministrazione finanziaria
4.1 L’emissione e la notificazione
A seguito della determinazione dell’imposta, gli uffici fiscali emanano determinati atti (avviso di accertamento, di rettifica, iscrizione a ruolo ecc.) i quali sono vincolanti per il contribuente. Quest’ultimo, infatti, se ritiene ingiusto l’atto emesso, deve tempestivamente impugnarlo. Decorsi i termini per l’impugnazione, l’atto diviene incontestabile ed il contribuente è tenuto a soddisfare le pretese del fisco.
L’introdotto art. 7sexies dello Statuto rubricato “vizi delle notificazioni”, stabilisce che è inesistente la notificazione degli atti impositivi o della riscossione priva dei suoi elementi essenziali ovvero effettuata nei confronti di soggetti giuridicamente inesistenti, totalmente privi di collegamento con il destinatario o estinti. Fuori da questi casi, la notificazione eseguita in violazione delle norme di legge è nulla, ma la nullità può essere sanata dal raggiungimento dello scopo dell’atto, sempreché l’impugnazione sia proposta entro il termine di decadenza dell’accertamento. L’inesistenza della notificazione di un atto recettizio ne comporta l’inefficacia
4.2 La motivazione
L’atto notificato al contribuente deve inoltre contenere la motivazione. Con l’art. 7 della L. 212/2000 (Statuto del contribuente), il legislatore ha voluto richiamare l’Amministrazione finanziaria al rispetto dei generali doveri in tema di motivazione degli atti. In quest’ottica, il primo comma dell’art. 7 dispone che gli atti dell’Amministrazione finanziaria, autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, sono motivati, a pena di annullabilità, indicando specificamente i presupposti, i mezzi di prova e le ragioni giuridiche su cui si fonda la decisione.
4.3 La conoscenza degli atti
L’art. 6 della L. 212/2000 detta una articolata disciplina che vincola il comportamento degli uffici così da assicurare al contribuente la conoscenza degli atti che lo riguardano e prevenire conseguenze patrimoniali pregiudizievoli.
4.4 Il principio del contraddittorio
L’art. 6bis dello Statuto dei diritti del contribuente (introdotto dal D.Lgs. 219/2023) disciplina il principio del contraddittorio, in base al quale tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria, con esclusione degli atti automatizzati, di controllo formale delle dichiarazioni e dei casi motivati di fondato pericolo per la riscossione, sono preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo.
4.5 L’annullabilità e l’irregolarità degli atti dell’Amministrazione finanziaria
L’art. 7bis della L. 212/2000, introdotto dal D.Lgs. 219/2023 riguarda l’annullabilità degli atti dell’Amministrazione finanziaria, disponendo che gli atti dell’Amministrazione finanziaria impugnabili dinanzi agli organi di giurisdizione tributaria sono annullabili per violazione di legge, incluse le norme sulla competenza, sul procedimento, sulla partecipazione del contribuente e sulla validità degli atti.
L’art. 7quater precisa che non costituisce vizio di annullabilità ma mera irregolarità la mancata o erronea indicazione delle informazioni relative: all’ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all’atto notificato o comunicato e al responsabile del procedimento; all’organo o all’autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell’atto in sede di autotutela; alle modalità, al termine, all’organo giurisdizionale o all’autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili.
4.6 La nullità degli atti dell’Amministrazione finanziaria
Il nuovo art. 7ter dello Statuto dei diritti del contribuente prevede che gli atti dell’Amministrazione sono nulli se viziati per difetto assoluto di attribuzione, adottati in violazione o elusione di giudicato, ovvero se affetti da altri vizi di nullità qualificati espressamente come tali da disposizioni entrate in vigore successivamente al 3 gennaio 2024. I vizi di nullità possono essere eccepiti in sede amministrativa o giudiziaria, sono rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e danno diritto alla ripetizione di quanto versato, fatta salva la prescrizione del credito
5.L’autotutela
Nel momento in cui il contribuente impugna l’atto emanato dal fisco presentando ricorso sorge una controversia. Prima che inizi la fase contenziosa, ovvero anche in pendenza di giudizio, è prevista la possibilità che l’Amministrazione finanziaria riveda il proprio operato mediante ricorso alla cd. autotutela. Tale procedimento consiste nel potere concesso all’Amministrazione finanziaria di annullare eventuali atti propri ritenuti illegittimi o infondati. Il D.Lgs. 219/2023 ha modificato l’istituto dell’autotutela, prevedendo l’esercizio del potere di autotutela obbligatoria (art. 10quater) e l’esercizio del potere di autotutela facoltativa (art. 10quinques).
Le ipotesi che legittimano l’esercizio del potere di autotutela obbligatoria, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi sono: l’errore di persona; l’errore di calcolo; l’errore sull’individuazione del tributo; l’errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione; l’errore sul presupposto d’imposta; la mancata considerazione di pagamenti d’imposta regolarmente eseguiti; la mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini ove previsti a pena di decadenza.
L’obbligo di procedere all’annullamento degli atti non sussiste in caso di sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria, nonché decorso un anno dalla definitività dell’atto viziato per mancata impugnazione. Con riguardo alle valutazioni di fatto operate dall’Amministrazione in caso di avvenuto esercizio dell’autotutela, la responsabilità contabile è limitata alle ipotesi di dolo.
L’art. 10quinquies dello Statuto disciplina l’ipotesi di autotutela facoltativa prevedendo che, fuori dei casi di esercizio dell’autotutela obbligatoria, l’Amministrazione finanziaria può comunque procedere all’annullamento, in tutto o in parte, di atti di imposizione, ovvero alla rinuncia all’imposizione, senza necessità di istanza di parte, anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in presenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’imposizione. Anche in caso di autotutela facoltativa, con riguardo alle valutazioni di fatto operate dall’Amministrazione, la responsabilità contabile è limitata alle ipotesi di dolo
6.L’assistenza fiscale prestata dall’Agenzia delle entrate
Per agevolare i contribuenti nell’adempimento dei compiti fiscali sono stati istituiti i Centri di assistenza multicanale (CAM) — di Cagliari, Pescara, Roma, Torino, Venezia, Salerno e Bari. Presso i CAM sono presenti i contact-center demandati al servizio di web-mail il quale con sente al contribuente di chiedere informazioni in materia fiscale attraverso l’invio di una e-mail
7 L’assistenza fiscale prestata dai sostituti d’imposta, dai CAF e dai professionisti abilitati (Rinvio) Per una disamina più dettagliata delle loro attività si rinvia al Cap. 6, parr. 8-9.
8 La soggettività passiva
Soggetto passivo è il contribuente, ossia il soggetto (persona fisica, giuridica, ente di fatto) che deve il tributo perché si sono verificati fatti e situazioni, previsti dalla legge come presupposto tributario, che sono a lui riferibili o ascrivibili. Diverse sono le ipotesi in cui il fisco si trova di fronte una pluralità di soggetti passivi. Un primo caso è quello della coobligazione solidale la quale, disciplinata in via generale dal codice civile (art. 1292), viene applicata anche nel diritto tributario. L’obbligazione si dice solidale quando vi sono due o più debitori tenuti ad adempiere l’intera obbligazione. In tal caso, il creditore (l’amministrazione finanziaria) potrà esigere l’intera prestazione da ciascun debitore e colui che adempie all’obbligo estinguendo il debito potrà recuperare, nei confronti degli altri coobligati, la somma eventualmente a carico di questi ultimi.
9 La capacità d’agire e la rappresentanza legale
Anche in materia tributaria la capacità d’agire si acquista a diciotto anni e, fino a quel momento, tale capacità spetta al rappresentante legale del minore. Le norme comuni sulla rappresentanza legale valgono anche per le persone giuridiche e per gli enti sforniti di personalità dal punto di vista del diritto privato.
10 La rappresentanza volontaria
Il rappresentante volontario non risponde del pagamento del tributo dovuto dal rappresentato, mentre è obbligato solidalmente per le sanzioni pecuniarie. Rappresentanti ammessi alla trattazione di questioni inerenti al rapporto tributario possono essere: coniugi e parenti fino al 4° grado, ai quali può essere conferito mandato senza autentica notarile della firma; soggetti iscritti agli albi professionali, i quali possono da soli autenticare la firma del mandante; i funzionari dei CAF, purché in possesso di procura rilasciata dall’interessato e autenticata dal responsabile del Centro di assistenza fiscale, limitatamente ad alcuni atti (es.: accertamento con adesione); le persone già appartenenti all’amministrazione finanziaria ed aventi particolari requisiti.
11 La residenza fiscale e il domicilio fiscale
La riforma della fiscalità internazionale, attuata con il D. Lgs. 209/2023, ha interessato il tema della residenza fiscale sia delle persone fisiche che delle persone giuridiche ed è finalizzata all’allineamento del nostro ordinamento con la prassi internazionale e con la disciplina prevista dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni, dando così maggior certezza giuridica.
11.1 La residenza fiscale
Per quanto riguarda le persone fisiche, l’art. 2, comma 2 del TUIR, in vigore dal 1° gennaio 2024, prevede che, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti le persone fisiche che per la maggior parte del periodo d’imposta — 183 giorni — considerando anche le frazioni di giorno, hanno il domicilio o la residenza nel territorio dello Stato, ovvero che sono ivi presenti. Si tratta, però, di una presunzione relativa e, pertanto, è ammessa la prova contraria di residenza all’estero. Per le persone giuridiche, ai fini delle imposte sui redditi, si considerano residenti — ai sensi dell’art. 73 del TUIR, anch’esso riformato dal D.Lgs. 209/2023 — le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno nel territorio dello Stato la sede legale o la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale
11.2 Il domicilio fiscale
Secondo il disposto dell’art. 58 del D.P.R. 600/1973, agli effetti dell’applicazione delle imposte sui redditi ogni soggetto si intende domiciliato in un Comune dello Stato. In particolare: — le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel Comune nella cui anagrafe sono iscritte; — le persone fisiche non residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel Comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più Comuni, nel Comune in cui si è prodotto il reddito più elevato; — i cittadini italiani, che risiedono all’estero in forza di un rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione, nonché quelli considerati residenti ai sensi del TUIR hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato.
11.2 Il domicilio fiscale
Secondo il disposto dell’art. 58 del D.P.R. 600/1973, agli effetti dell’applicazione delle imposte sui redditi ogni soggetto si intende domiciliato in un Comune dello Stato. In particolare: le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel Comune nella cui anagrafe sono iscritte; le persone fisiche non residenti nel territorio dello Stato hanno il domicilio fiscale nel Comune in cui si è prodotto il reddito o, se il reddito è prodotto in più Comuni, nel Comune in cui si è prodotto il reddito più elevato; i cittadini italiani, che risiedono all’estero in forza di un rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione, nonché quelli considerati residenti ai sensi del TUIR hanno il domicilio fiscale nel comune di ultima residenza nello Stato.
I soggetti diversi dalle persone fisiche hanno il domicilio fiscale nel Comune in cui si trova la loro sede legale o, in mancanza, la sede amministrativa. Se anche questa manchi, essi hanno il domicilio fiscale nel Comune ove è stabilita una sede secondaria o una stabile organizzazione e in mancanza nel Comune in cui esercitano prevalentemente la loro attività.
Sulla base dell’art. 2, comma 2bis, del D.P.R. 917/1986 sono considerati residenti anche i cittadini italiani cancellati dall’anagrafe ed emigrati in Stati con un regime fiscale privilegiato. In base a tale disposizione, pertanto, sono assoggettati a tassazione tutti i redditi ovunque prodotti se il soggetto ha fissato la propria residenza in uno dei cd. paradisi fiscali. La norma introduce una presunzione legale relativa: in pratica, viene consentito al contribuente (per effetto dell’inversione dell’onere della prova) di dimostrare di essere residente nello Stato estero.
12 Il sostituto d’imposta
L’art. 64 del D.P.R. 600/1973 definisce sostituto d’imposta colui il quale, in forza di disposizione di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri per fatti e situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto: in tal caso l’obbligazione tributaria è posta a carico di un soggetto (sostituto) diverso da quello che ha realizzato il presupposto del tributo (sostituito). La stessa norma prevede l’obbligo di rivalsa sul sostituito, salva diversa disposizione di legge, tramite la ritenuta alla fonte, ossia decurtando direttamente la somma di denaro che deve essere corrisposta dal sostituito. Le somme che il sostituto deve normalmente versare in luogo del sostituito sono le ritenute: d’imposta (ad esempio quelle operate dalle banche sugli interessi) o di acconto (come quelle operate ai fini IRPEF dal datore di lavoro sui redditi corrisposti ai dipendenti).
13 Il responsabile d’imposta
Il responsabile d’imposta è, al contrario del sostituto, un soggetto giuridico autonomo che, in forza di disposizione di legge è obbligato al pagamento dell’imposta insieme con altri, per fatti e situazioni esclusivamente riferibili a questi ultimi. Il responsabile d’imposta è, dunque, un soggetto passivo particolare cui la legge attribuisce la responsabilità solidale assieme a colui che ha realizzato il presupposto d’imposta, riconoscendogli tuttavia il diritto di rivalsa.
14 La successione nel debito d’imposta
Si ha successione nel debito d’imposta quando una persona subentra ad un’altra negli obblighi inerenti ad un determinato rapporto d’imposta. La scomparsa del debitore d’imposta (morte della persona fisica, fine della persona giuridica, cessazione delle associazioni fornite di personalità giuridica tributaria) non produce l’estinzione del debito d’imposta sorto prima della scomparsa; anche se non ancora accertato il debito rimane e viene posto a carico degli eredi del contribuente. Gli eredi, infatti, sono tenuti a pagare i debiti del de cuius in proporzione delle proprie quote ereditarie. Differentemente dal debito d’imposta la legge prevede l’intrasmettibilità delle sanzioni agli eredi (art. 8, D.Lgs. 472/1997).
Capitolo 5 I regimi contabili
1 La contabilità delle imprese e degli esercenti arti e professioni
La normativa fiscale stabilisce a carico degli imprenditori e dei lavoratori autonomi una serie di obblighi contabili — in materia di imposte sui redditi e di IVA. Tali obblighi si differenziano in base al regime contabile del soggetto. Attualmente sono previsti i seguenti regimi contabili: ordinario (disciplinato dal titolo II del D.P.R. 600/1973); semplificato, per i contribuenti minori (art. 18, D.P.R. 600/1973); forfettario per i contribuenti minimi (art. 1, commi 54-89, L. 190/2014).
2 I regimi di contabilità ordinaria
2.1 Il regime di contabilità ordinaria per le imprese
Il regime ordinario è obbligatorio per le imprese che nell’anno precedente hanno realizzato ricavi superiori a: — 500.000 euro, se trattasi di attività di servizi; 800.000 euro, se trattasi di altro tipo di attività.
Questo regime è in ogni caso obbligatorio per le società di capitali, enti pubblici o privati e trust che esercitano esclusivamente o principalmente attività commerciale, indipendentemente dal volume d’affari realizzato. È data comunque facoltà ai contribuenti non obbligati al regime ordinario di optare per esso (art. 18, D.P.R. 600/1973). Tale opzione è vincolante per un anno (D.P.R. 442/1997). Il regime ordinario obbliga il contribuente a tenere le scritture contabili prescritte negli artt. 14, 15 e 21 del D.P.R. 600/1973:
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il libro giornale: in esso vanno annotate tutte le operazioni attive e passive dell’impresa in ogni loro dettaglio, secondo un ordine rigorosamente cronologico
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il libro degli inventari: contiene, oltre agli elementi prescritti dal codice civile o da leggi speciali, la consistenza dei beni raggruppati per categorie omogenee per natura e valore, il valore attribuito a ciascun gruppo e la loro ubicazione;
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le scritture ausiliarie: in esse vanno registrati gli elementi patrimoniali e reddituali, raggruppati in categorie omogenee, in modo da consentire di desumere chiaramente e distintamente i componenti positivi e negativi che concorrono alla determinazione del reddito (es.: il libro mastro);
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le scritture ausiliarie di magazzino: nelle quali devono essere registrate le quantità entrate ed uscite delle merci destinate alla vendita, dei semilavorati, dei prodotti finiti, degli imballaggi e delle materie prime. Tali scritture sono obbligatorie a partire dal secondo esercizio successivo a quello in cui, per la seconda volta consecutiva, l’ammontare dei ricavi e quello delle rimanenze siano superiori rispettivamente a 5.164.568,99 e 1.032.913,80 euro;
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i libri sociali obbligatori indicati nell’art. 2421 c.c.
L’art. 2215bis c.c. contempla la possibilità di formare e tenere libri, repertori, scritture, previsti obbligatoriamente dalla legge, con modalità informatiche. Per tali libri e scritture gli obblighi di numerazione progressiva sono assolti mediante ap posizione, almeno una volta all’anno, della marcatura temporale e della firma digitale dell’imprenditore.
2.2 Il regime di contabilità ordinaria per gli esercenti arti e professioni
Per gli esercenti arti o professioni, il regime semplificato è il regime naturale adottabile indipendentemente dai ricavi conseguiti nel periodo d’imposta precedente (v. infra par. 3). È comunque data loro la facoltà di optare per il regime ordinario: l’opzione ha effetto fino a quando non sia revocata e, in ogni caso, per almeno un triennio. Trascorso il periodo minimo di permanenza nel regime ordinario, l’opzione resta valida per ciascun anno successivo fino a quando permane la concreta applicazione della scelta operata (art. 3, comma 2, D.P.R. 695/1996)
Il nuovo articolo 54 del TUIR, modificato dal D.Lgs. 192/2024 introduce il principio di onnicomprensività quale criterio generale di determinazione del reddito di lavoro autonomo, analogamente a quanto già previsto per i redditi di lavoro dipendente. Si stabilisce, infatti, che il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta (in relazione all’attività artistica o professionale) e l’ammontare delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’attività.
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Il regime di contabilità semplificata
Il regime di contabilità semplificata è da molti anni il regime naturale per gli esercenti arti e professioni, indipendentemente dal reddito da essi conseguito. Attualmente è diventato regime naturale anche per le imprese di servizi con ricavi non superiori a 500.000 euro e per le imprese che svolgono altre attività con ricavi non superiori a 800.000 euro. Restano esclusi da tale regime solo le società di capitali e gli enti pubblici e privati che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale: per essi permane il vincolo di assoggettamento al regime di contabilità ordinaria.
In ogni caso, il regime agevolativo viene meno a partire dall’anno successivo a quello in cui sia superato il limite di volume d’affari sopra indicato. Il regime di contabilità semplificata per le imprese minori si caratterizza per le modalità di determinazione del reddito secondo il cd. regime per cassa (già adottato dai professionisti) e non più secondo il principio di competenza. In base al principio di cassa sono rilevanti solo costi e ricavi che hanno avuto manifestazione finanziaria all’interno dell’esercizio di riferimento, fatto salvo alcune deroghe, tra cui ammortamenti, canoni di leasing e quote di Tfr.
I soggetti in contabilità semplificata devono tenere: i soli registri obbligatori ai fini IVA, che dovranno integrare con le annotazioni ai fini delle imposte dirette, le scritture previste da altre normative.
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Il regime forfettario dei contribuenti minimi
L’art. 1, comma 54-89 della L. 190/2014 ha introdotto un regime contabile applicabile alle persone fisiche con partita IVA autonoma. Tale regime si applica naturalmente ai contribuenti che hanno conseguito nell’anno precedente ricavi ovvero percepito compensi fino ad un massimo di 85.000 euro sempreché siano rispettate le seguenti condizioni: il limite di spese sostenute per il personale e il lavoro accessorio non sia superiore a 20.000 euro; non sia superato il limite di 30.000 euro in caso di reddito di lavoro dipendente o da pensione. Per l’anno 2025 tale limite, in riferimento ai redditi percepiti nel 2024, è elevato a 35.000 euro (art. 1, comma 12, L. 207/2024).
La determinazione del reddito avviene applicando ai ricavi o compensi percepiti una percentuale di redditività (che varia dal 40% al 86% a seconda dell’attività svolta) sull’ammontare complessivo annuo di ricavi o compensi incassati. Al reddito così determinato si applica un’i posta sostitutiva dell’IRPEF del 15% (flat tax). Al fine di rendere più vantaggiosa l’adesione a tale regime forfettario è stata prevista la riduzione dell’aliquota d’imposta al 5%, per i primi cinque anni di attività. Numerose sono le semplificazioni contabili: sono eliminati gli obblighi di tenuta dei libri contabili ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA e di registrazione dei documenti i contribuenti non subiscono ritenute; non si applicano gli indici sintetici di affidabilità fiscale; ai fini IVA non si detrae e non si addebita per rivalsa l’imposta e si è esonerati dall’obbligo della dichiarazione e comunicazione annuale. Vanno però conservati i documenti ricevuti ed emessi e di certificazione dei corrispettivi.
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Il regime forfettario per gli enti non commerciali
L’art. 145 del D.P.R. 917/1986 disciplina il regime forfettario per la determinazione del reddito d’impresa degli enti non commerciali. Possono optare per tale regime solo quegli enti non commerciali ammessi al regime di contabilità semplificata di cui all’art. 18 del D.P.R. 600/1973. Il regime è valido sino a revoca e comunque almeno per un triennio. L’opzione, come la revoca, deve essere esercitata nella dichiarazione dei redditi e ha efficacia dall’inizio del periodo d’imposta nel corso del quale la dichiarazione stessa è presentata. Gli enti che iniziano l’esercizio dell’attività di impresa commerciale possono esprimere l’opzione con la dichiarazione di cui all’art. 35 del D.P.R. 633/1972 (inizio o variazione di attività). Qualora nel corso del periodo d’imposta i limiti previsti per l’adozione del regime forfettario siano superati, l’applicazione dello stesso viene meno già dall’anno in corso.
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Il regime forfettario per gli enti del terzo settore non commerciali
L’art. 80 del D. Lgs 117/2017 (Codice del terzo settore) ha introdotto uno specifico regime fiscale opzionale per la determinazione del reddito d’impresa degli enti del terzo settore non commerciali che ottengono l’iscrizione al Registro unico nazionale del terzo settore. L’efficacia di tale regime, peraltro, è subordinata ad apposita autorizzazione da parte della Commissione europea, richiesta a cura del ministero del Lavoro e delle politiche sociali, secondo quanto previsto dalla normativa europea in materia di aiuti di stato.
A tale proposito va segnalato che l’8 marzo 2025 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha comunicato che la Commissione europea ha dato il via libera alle norme fiscali in favore del terzo settore. Alla luce di questa importante novità, dal 1° gennaio 2026 gli enti del Terzo settore saranno soggetti a un nuovo impianto fiscale. Una delle fondamentali conseguenze è che entro il 31 marzo 2026 le ONLUS dovranno scegliere se iscriversi al registro unico nazionale del terzo settore (RUNTS) o continuare ad operare al di fuori del Registro: in tale seconda eventualità dovranno devolvere il loro patrimonio. La comfort letter inviata da Bruxelles chiarisce che restano fuori dal placet della Commissione europea, solo per il momento e per necessità di approfondimenti, gli istituti a sostegno del finanziamento di Ets e imprese sociali nella forma, rispettivamente dei titoli di solidarietà (articolo 77 del Cts) e delle detrazioni/ deduzioni fiscali per chi investe nel capitale sociale e nel patrimonio delle imprese sociali (art. 18, commi 3 e ss, D.Lgs. 112/2017).
Capitolo 6 La dichiarazione dei redditi e l’attività di assistenza fiscale
1 La dichiarazione tributaria
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La funzione della dichiarazione
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Il sistema tributario contemporaneo è basato prevalentemente sull’adempimento volontario del contribuente (si parla infatti sempre più spesso di «fiscalità di massa») realizzato attraverso la presentazione delle dichiarazioni fiscali la cui funzione è quella di consentire, in molti casi, non solo il pagamento dell’imposta ma anche il calcolo della stessa favorendo, in tal modo, l’applicazione delle disposizioni tributarie.
La dichiarazione rappresenta, inoltre, il primo passo verso il procedimento di accertamento in quanto permette all’amministrazione finanziaria di effettuare gli opportuni controlli. In questo capitolo, dopo aver esaminato la natura e la funzione delle dichiarazioni fiscali, tratteremo delle dichiarazioni afferenti alle imposte dirette che interessano la maggior parte dei contribuenti; degli obblighi dichiarativi relativi a molti tributi indiretti (IVA, imposta di registro, imposta sulle successioni e donazioni, imposta sulle assicurazioni ecc.) e alla fiscalità regionale e locale (IRAP, IMU, TARI ecc.) verrà dato conto nei capitoli dedicati ai singoli tributi.
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Le nuove norme sulla razionalizzazione e semplificazione degli adempimenti tributari
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In attuazione dell’art. 16 della legge delega di riforma fiscale (L. 111/2023) sono stati emanati il D.Lgs. 1/2024 e il D. Lgs. 108/2024 sulla razionalizzazione e semplificazione delle norme in materia di adempimenti tributari. Le novità più significative riguardano la presentazione della dichiarazione dei redditi in modalità semplificata, per mezzo del modello 730. In pratica, una procedura guidata consentirà al contribuente di prendere visione, in modo analitico, dei dati in possesso dell’Amministrazione per confermarli, se corretti, ovvero modificarli e integrarli, semplicemente attraverso un questionario. Successivamente, la procedura provvederà automaticamente a precompilare direttamente il modello dichiarativo
2 La dichiarazione delle imposte sui redditi
2.1 Le caratteristiche
Nel nostro ordinamento le imposte sui redditi vengono pagate con il sistema della denuncia verificata.
L’art. 1 del D.P.R. 600/1973 dispone, infatti, che ogni soggetto passivo deve dichiarare annualmente i redditi posseduti anche se da essi non ne consegue alcun debito d’imposta. I soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili devono presentare la dichiarazione anche in mancanza di reddito. Mediante la dichiarazione il contribuente rende edotta l’amministrazione finanziaria circa la determinazione della base imponibile, il suo ammontare nonché la relativa imposta da versare
2.2 La presentazione
Per evitare l’ingorgo vige il principio che la dichiarazione deve essere presentata esclusivamente per via telematica direttamente o per il tramite di intermediari abilitati. Sono esonerati dall’obbligo dell’invio telematico, e pertanto potranno presentare la dichiarazione in forma cartacea, le persone fisiche che non hanno la possibilità di utilizzare il modello 730 (v. infra, par. 3.2), in quanto privi di datore di lavoro o non titolari di pensione.
2.3 Le dichiarazioni integrative
L’art. 2, comma 8, del D.P.R. 322/1998, stabilisce che i contribuenti possono, salvo le dispo sizioni in materia di ravvedimento operoso di cui all’art. 13 del D. Lgs. 472/1997, presentare una dichiarazione integrativa entro i termini previsti per l’accertamento di cui all’art. 43 del D.P.R. 600/1973 per correggere errori od omissioni che abbiano determinato un maggiore o un minore imponibile. L’eventuale credito derivante dal minor debito o dal maggiore credito risultante dalla dichiarazione integrativa può essere utilizzato in compensazione.
2.4 Il trattamento dei dati risultanti dalle dichiarazioni e obbligo di conservazione delle dichiarazioni telematiche I soggetti abilitati possono trattare i dati contenuti nelle dichiarazioni per le sole finalità dal servizio di trasmissione telematica e per il tempo a ciò necessario, secondo quanto stabilito dall’art. 12bis del D.P.R. 600/1973 (art. 11, comma 1, D.M. 31 luglio 1998). Copia delle dichiarazioni telematiche trasmesse dai soggetti abilitati sono conservate, anche su supporti informatici, dagli stessi fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello di presentazione (scadenza utile per esercitare l’attività di accertamento).
2.5 Gli allegati
Non sussiste l’obbligo dei contribuenti di allegare qualsiasi tipo di documentazione. Occorre, quindi, semplicemente conservare i documenti probatori dei crediti d’imposta, dei versamenti, degli oneri deducibili e detraibili, delle ritenute subite ecc. che dovranno essere successivamente esibiti o trasmessi su richiesta all’ufficio dell’Agenzia delle entrate competente
3 La dichiarazione delle persone fisiche
3.1 Le modalità e i termini di presentazione e versamento
La dichiarazione dei redditi delle persone fisiche va compilata su stampati conformi al modello di dichiarazione, approvato con provvedimento dell’Agenzia delle entrate entro il 31 gennaio di ciascun anno e pubblicato sul sito internet dell’Agenzia delle Entrate. Da essa non deriva nessun obbligo di versamento (art. 1, D.P.R. 322/1998). Le persone fisiche titolari di redditi di lavoro dipendente, assimilati (ad esempio derivanti da collaborazioni coordinate e continuative) o di pensione, purché ricorrano particolari condizioni, possono anche avvalersi dell’assistenza fiscale fornita loro dal sostituto d’imposta (datore di lavoro, committente o ente pensionistico), dai centri di assistenza fiscale (CAF) o da professionisti abilitati, come, ad esempio, consulenti del lavoro, dottori commercialisti, ragionieri e periti commerciali (v. infra). In tale caso costoro assolvono l’obbligo di dichiarazione con la presentazione — entro il 30 settembre dell’anno successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta — del modello 730 .
Ai sensi dell’art. 2, comma 1, del D.P.R. 322/1998, come modificato dal D. Lgs. 1/2024 e dal D.Lgs. 108/2024, la dichiarazione, tramite modello Redditi PF, deve essere presentata per via telematica tra il 15 aprile e il 31 ottobre dell’anno successivo a quello di chiusura del periodo di imposta.
I termini di versamento delle imposte risultanti dalla dichiarazione, ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. 435/2001 sono: entro il 30 giugno (o il 30 luglio con la maggiorazione dello 0,40% per il versamento a saldo; entro il termine di versamento del saldo dovuto in base alla dichiarazione relativa all’anno di imposta precedente, per il versamento della prima rata di acconto; entro il mese di novembre, per il versamento della seconda rata di acconto.
3.2 Il modello 730: gli adempimenti dei CAF e dei professionisti abilitati
Entro il 16 marzo, il datore di lavoro o l’ente pensionistico consegna al dipendente o al pensionato la certificazione dei redditi loro erogati, vale a dire il modello CU. Successivamente, entro il 30 settembre, il contribuente consegna al CAF o al professionista abilitato il modello 730 contenente tutti i dati necessari alla determinazione dei redditi e delle imposte dovute. Il CAF o il professionista abilitato rilascia ricevuta della ricezione del modello 730 e verifica la conformità di quanto comunicato dal dipendente o pensionato nella dichiarazione; effettua il calcolo delle imposte dovute.
3.3 Segue: gli adempimenti del sostituto d’imposta
L’art. 19 del D.M. 164/1999 stabilisce, in merito alle operazioni di conguaglio, che le somme risultanti a debito dal prospetto di liquidazione sono trattenute dal datore di lavoro sulla prima retribuzione utile o comunque sulla retribuzione di competenza del mese successivo a quello in cui il sostituto ha ricevuto il prospetto di liquidazione. Per i pensionati le suddette operazioni sono effettuate a partire dal secondo mese successivo a quello di ricevimento dei dati del pro spetto di liquidazione. Il sostituto opera sullo stipendio o la rata di pensione del mese di novembre anche una trattenuta per l’eventuale acconto dovuto dal lavoratore o pensionato. L’assistito ha la possibilità di comunicare al sostituto d’imposta di non voler effettuare l’acconto IRPEF o di volerlo effettuare in minor misura. Tale comunicazione va effettuata entro il mese di settembre
3.4 La dichiarazione delle persone fisiche precompilata
Il D.Lgs. 175/2014 ha introdotto, per le persone fisiche, la dichiarazione precompilata che deve essere messa a disposizione telematicamente, entro il 30 aprile, dei contribuenti con redditi di lavoro dipendente e assimilati. A decorrere dal 2024 — in via sperimentale — l’Agenzia delle entrate rende disponibile telematicamente, entro il 30 aprile di ciascun anno, la dichiarazione precompilata relativa ai redditi prodotti nell’anno precedente anche alle persone fisiche titolari di redditi differenti da quelli di lavoro dipendente e assimilati (art. 1, comma 1bis, D.Lgs. 175/2014).
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Il modello 730 precompilato in modalità semplificata
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L’art. 1, comma 3bis, del D. Lgs. 175/2014 (inserito dal D. Lgs. 1/2024), ha previsto l’avvio, in via sperimentale, già dal 2024 di una modalità semplificata e guidata di predisporre la dichiarazione dei redditi a beneficio di lavoratori dipendenti e pensionati. Con la presentazione semplificata della dichiarazione dei redditi precompilata, l’Agenzia delle entrate rende disponibili al contribuente, in modo analitico, le informazioni in suo possesso, che possono essere confermate o modificate.
4. La dichiarazione delle società di persone
Le società semplici, in nome collettivo e in accomandita semplice e le società e le associazioni ad esse equiparate sono obbligate a presentare la dichiarazione e devono effettuare i relativi versamenti, agli effetti dell’IRAP da esse dovuta e agli effetti dell’IRPEF dovuta dai soci e dagli associati, nei termini fissati per la dichiarazione delle persone fisiche La dichiarazione è unica e deve contenere l’indicazione degli elementi attivi e passivi necessari alla determinazione degli imponibili e non occorre più allegare alcun tipo di documentazione che deve essere conservata ed esibita se richiesta.
5.La dichiarazione delle persone giuridiche
La dichiarazione dei soggetti IRES (società di capitali, enti commerciali e non, obbligati alla tenuta delle scritture contabili) deve indicare, oltre a tutti gli elementi attivi e passivi necessari per la determinazione degli imponibili, i dati e gli elementi necessari per l’individuazione del contribuente e di almeno un rappresentante della persona giuridica per l’effettuazione dei controlli, esclusi quelli che l’amministrazione finanziaria è in grado di svolgere direttamente (art. 4, comma 1, D.P.R. 600/1973). Anche i soggetti IRES sono obbligati alla presentazione della dichiarazione con modalità telematiche. Ai sensi dell’art. 2, comma 2, D.P.R. 322/1998, come modificato dal D.Lgs. 1/2024 e dal D. Lgs. 108/2024, la dichiarazione deve essere presentata entro l’ultimo giorno del decimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta.
6 La dichiarazione dei sostituti d’imposta
6.1 Il modello 770
Obbligati alla presentazione della dichiarazione dei sostituti d’imposta (mod. 770) sono non solo i soggetti obbligati ad operare ritenute alla fonte sui compensi corrisposti ma anche gli intermediari e gli altri soggetti che intervengono in operazioni fiscalmente rilevanti, già obbligati alla comunicazione di dati all’amministrazione finanziaria. Secondo quanto disposto nell’art. 4, comma 4bis del D.P.R. 322/1998, i sostituti d’imposta che effettuano le ritenute sui redditi in base al D.P.R. 600/1973, sono tenuti a trasmettere, tra il 15 aprile e il 31 ottobre di ciascun anno, in via telematica, una dichiarazione unica dei dati fiscali e contributivi relativi all’anno solare precedente.
6.2 Il modello CU
I soggetti tenuti ad operare le ritenute alla fonte devono rilasciare un certificato (modello CU) attestante l’ammontare complessivo delle somme e dei valori corrisposti con l’indicazione dell’ammontare delle ritenute operate e delle detrazioni di imposta effettuate. Tale certificazione indica anche i contributi previdenziali e assistenziali e quindi sarà valida anche ai fini dei contributi dovuti all’INPS e ad altri enti e casse. I certificati devono essere consegnati entro il 16 marzo dell’anno successivo a quello in cui le somme e i valori sono stati corrisposti o entro dodici giorni dalla richiesta nel caso di cessazione del rapporto di lavoro. Sempre entro il 16 marzo i dati in esso contenuti devono essere trasmessi telematicamente all’Agenzia delle entrate e agli enti previdenziali e assistenziali (art. 4, comma 6quinquies, D.P.R. 322/1998). Il datore di lavoro può trasmettere al contribuente il CU in formato elettronico a patto che il destinatario sia in possesso degli strumenti necessari per riceverlo e stamparlo in tale formato.
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L’assistenza fiscale prestata dall’Agenzia delle entrate (Rinvio)
Per agevolare i contribuenti nell’adempimento dei compiti fiscali l’Agenzia delle entrate si avvale dei Centri operativi e dei Centri di assistenza multicanale (CAM) presso i quali sono attivati i contact center demandati al servizio web mail il quale consente al contribuente di chiedere in formazioni attraverso l’invio di una e-mail.
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L’assistenza fiscale prestata dai sostituti d’imposta che erogano redditi di lavoro dipendente
Ai sensi dell’art. 37 del D.Lgs. 241/1997, ai sostituti d’imposta che erogano redditi di lavoro dipendente e alcuni redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente è concessa la facoltà di prestare assistenza fiscale nei confronti dei sostituiti.
9 L’assistenza fiscale prestata dai CAF e dai professionisti abilitati
9.1 I Centri di assistenza fiscale
Istituiti dall’art. 78 della L. 413/1991, i Centri di assistenza fiscale (CAF) sono organismi qualificati e autorizzati che assolvono la funzione di assistenza per lavoratori dipendenti, pensionati, imprese individuali, imprese familiari, società di persone, società di capitali, cooperative e consorzi.
9.2 L’assistenza fiscale dei CAF a favore dei lavoratori dipendenti e pensionati
Gli utenti dei CAF per lavoratori dipendenti e pensionati sono i possessori di reddito di lavoro dipendente e assimilati che intendono adempiere all’obbligo di dichiarazione dei redditi attraverso la presentazione al Centro di assistenza prescelto di un’apposita dichiarazione (modello 730)
Sono esclusi dall’assistenza fiscale i soggetti che possiedono in aggiunta ai redditi di lavoro dipendente e assimilati: redditi di lavoro autonomo derivante dall’esercizio di arti e professioni; redditi d’impresa. Inoltre, l’assistenza fiscale è preclusa ai contribuenti che devono presentare la dichiarazione per conto di altri soggetti (contribuenti deceduti, minori, persone interdette).
9.3 L’assistenza fiscale dei CAF a favore delle imprese
Le imprese possono usufruire dell’assistenza fiscale solo avvalendosi di un Centro autorizzato. Destinatari dell’attività di assistenza svolta dai CAF-imprese sono le imprese stesse nonché i soci della società di persone e di capitali, i partecipanti all’impresa familiare e il coniuge partecipante all’azienda coniugale. Sono escluse dall’assistenza fiscale le imprese soggette all’IRES tenute alla nomina del collegio sindacale, nonché quelle (sempre soggette ad IRES) alle quali non sono applicabili le disposizioni concernenti gli indici sintetici di affidabilità fiscale diverse dalle società cooperative e loro consorzi (art. 34, comma 1, D.Lgs. 241/1997)
9.4 L’assistenza fiscale prestata dai professionisti: la certificazione tributaria
Nel corso degli ultimi anni il legislatore, oltre ad innovare la disciplina dell’assistenza fiscale svolta dai CAF-dipendenti e dai CAF-imprese, ha individuato alcuni compiti svolti da specifiche figure professionali che consentono di semplificare ulteriormente gli adempimenti posti a carico dei contribuenti e, nel contempo, di rendere più agevole l’attività di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro possono, al pari dei CAF-imprese, rilasciare sia il visto di conformità che l’asseverazione.
La predisposizione della certificazione tributaria (cd. visto pesante) — con la quale il revisore attesta che il contribuente ha applicato correttamente le disposizioni tributarie sostanziali nella tenuta della contabilità, indicate annualmente con un apposito decreto — è, invece, ai sensi dell’art. 36 del D.Lgs. 241/1997, prerogativa dei revisori contabili iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro che possiedano i seguenti requisiti: esercitino la professione da non meno di cinque anni; non svolgano l’incarico di responsabile di un CAF; siano abilitati alla trasmissione telematica delle dichiarazioni.
Capitolo 7 I controlli dell’Amministrazione finanziaria
1 L’attività istruttoria (o di controllo)
Al fine di controllare gli adempimenti dei contribuenti l’Amministrazione finanziaria si avvale di una serie di poteri che caratterizzano la sua attività istruttoria finalizzata al controllo della corretta posizione fiscale dei contribuenti.
Tale attività oltre ad essere svolta dagli uffici dell’Agenzia delle entrate è svolta anche dalla Guardia di finanza che dispone degli stessi poteri degli uffici finanziari. Oggetto di tale attività sono sia le dichiarazioni fiscali sia le attività contabili svolte dal contribuente in relazione all’obbligazione tributaria. In particolare, l’attività di controllo si articola in diverse fasi: controllo automatizzato (o liquidazione), che comprende il ricalcolo dell’imposta dovuta e la correzione di errori materiali o di calcolo commessi dal contribuente nella determinazione dell’imponibile, nel riparto delle eccedenze d’imposta o nella indicazione delle detrazioni spettanti (art. 36bis D.P.R. 600/1973; controllo formale a carattere documentale, effettuato solo nei confronti di una vasta categoria di contribuenti selezionati attraverso il ricorso a procedure automatizzate, che è volto ad accertare l’esistenza e la legittimità della documentazione conservata dai contribuenti e utilizzata per il calcolo dell’imposta per giustificare eventuali detrazioni o agevolazioni fiscali (art. 36ter D.P.R. 600/1973; controllo sostanziale, adottato al fine di individuare l’esatto reddito dei contribuenti e determinare l’effettiva imposta dovuta, accertando, tra l’altro, l’eventuale esistenza di proventi occulti, costi fittizi, documenti falsi, etc. Questa particolare attività di indagine, affidata agli uffici finanziari e alla Guardia di finanza, trova la sua disciplina negli artt. 38 e ss., del D.P.R. 600/1973.
2 La riforma dell’attività di accertamento tributario
Tra gli obiettivi caratterizzanti la legge delega per la riforma del sistema fiscale vi è quello riguardante il progetto ambizioso di attuare una rivoluzione copernicana in materia di accerta mento fiscale, improntato su un rapporto franco e collaborativo tra Fisco e cittadini, che punta alla realizzazione della tax compliance volontaria. I principi ispiratori di tale innovazione sono contenuti nell’art. 17 della legge delega (L. 111/2023): l’intento del legislatore è quello di ottimizzare la raccolta e l’elaborazione dell’enorme massa di dati e informazioni di cui l’Erario dispone direttamente (grazie all’anagrafe tributaria e al sistema di fatturazione elettronica) o anche attraverso la consultazione di numerosissime banche dati delle Pubbliche Amministrazioni.
3.L’anagrafe tributaria e il codice fiscale
Fondamentale ai fini dello svolgimento dell’attività istruttoria è l’anagrafe tributaria, istituita dal D.P.R. 605/1973. Si tratta di un sistema informativo elettronico in cui sono immagazzinate le principali notizie risultanti dalle dichiarazioni fiscali. Essa consente, attraverso il numero di partita IVA o di codice fiscale, di avere informazioni di carattere anagrafico ovvero sulla posizione fiscale e sulla capacità contributiva di ciascun contribuente.
Gli artt. 6 e 7 del D.P.R. 605/1973 pongono a carico di determinati soggetti l’obbligo di comu nicare all’anagrafe alcune specifiche informazioni.
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Gli adempimenti volontari dei contribuenti per rimediare ad errori
La L. 190/2014 (art. 1, commi 634-641) al fine di consentire al contribuente di evitare errori nonché di rimediare a quelli eventualmente commessi ha previsto che l’Agenzia delle entrate metta a disposizione dello stesso gli elementi e le informazioni in suo possesso relativi a ricavi, redditi, volume di affari e valore della produzione a lui imputabili nonché agevolazioni, detrazioni o deduzioni spettanti. Il contribuente potrà così provvedere a rettificare la propria dichiarazione fino al termine di decadenza del potere di accertamento del fisco. Ciò al fine di stimolare l’assolvimento degli obblighi tributari e favorire l’emersione spontanea delle basi imponibili.
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Il regime dell’adempimento collaborativo
Il D.Lgs. 128/2015 ha introdotto il regime dell’adempimento collaborativo all’art. Il regime dell’adempimento collaborativo è istituito «al fine di promuovere l’adozione di forme di comunicazione e cooperazione rafforzate basate sul reciproco affidamento tra amministrazione finanziaria e contribuenti, nonché di favorire nel comune interesse la prevenzione e la risoluzione di controversie in materia fiscale». Il regime si applica al periodo d’imposta nel corso del quale è stata trasmessa la richiesta di adesione. Inoltre, lo stesso si intende tacitamente rinnovato se non sia espressamente comunicata dal contribuente la volontà di non permanere nel regime di adempimento collaborativo. Il contribuente che aderisce al regime deve essere dotato di un efficace sistema integrato di rilevazione, misurazione, gestione e controllo dei rischi fiscali.
L’adesione al regime comporta quali effetti: la possibilità per i contribuenti di pervenire con l’Agenzia ad una valutazione dei rischi fiscali prima della presentazione della dichiarazione; una procedura abbreviata di interpello. Tramite l’interpello abbreviato il contribuente può ottenere una risposta in merito all’applicazione delle disposizioni tributarie e fattispecie concrete in relazioni alle quali ravvisa rischi fiscali. La relativa disciplina è contenuta nel D.M. 31-7-2024. Le sanzioni amministrative sono inoltre ridotte alla metà e comunque in misura non superiore al minimo edittale, con riscossione sospesa fino alla definitività dell’accertamento, qualora i rischi di natura fiscale sono comunicati in modo tempestivo ed esauriente prima della presentazione delle dichiarazioni fiscali, se l’Agenzia delle entrate non condivide la posizione dell’impresa. E’ inoltre riconosciuta la possibilità di non prestare la garanzia per il pagamento dei rimborsi delle imposte.
6 La liquidazione e il controllo formale della dichiarazione
6.1 La liquidazione
Con la liquidazione (o controllo automatizzato) attraverso una procedura automatizzata, si effettua un primo controllo della dichiarazione limitatamente all’esattezza numerica dei dati dichiarati
La liquidazione, disciplinata dall’art. 36bis del D.P.R. 600/1973, consiste nel calcolo dell’imposta dovuta e nella correzione di eventuali errori commessi dal contribuente (nella determinazione dell’imponibile, nel riparto delle eccedenze, nell’indicazione delle detrazioni spettanti). Anche le dichiarazioni annuali dell’IVA sono soggette a controllo automatico (art. 54bis, D.P.R. 633/1972). L’amministrazione corregge eventuali errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione del volume di affari e dell’imposta e nel riparto delle eccedenze. Tale controllo è fatto su tutte le dichiarazioni pervenute ed è finalizzato a verificare i dati dichiarati con quelli desumibili e in possesso del fisco accedendo all’Anagrafe tributaria
La liquidazione, disciplinata dall’art. 36bis del D.P.R. 600/1973, consiste nel calcolo dell’imposta dovuta e nella correzione di eventuali errori commessi dal contribuente (nella determinazione dell’imponibile, nel riparto delle eccedenze, nell’indicazione delle detrazioni spettanti). Anche le dichiarazioni annuali dell’IVA sono soggette a controllo automatico (art. 54bis, D.P.R. 633/1972). L’amministrazione corregge eventuali errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione del volume di affari e dell’imposta e nel riparto delle eccedenze. Tale controllo è fatto su tutte le dichiarazioni pervenute ed è finalizzato a verificare i dati dichiarati con quelli desumibili e in possesso del fisco accedendo all’Anagrafe tributaria.
6.2 Il controllo formale
Una volta superata questa fase, l’Amministrazione finanziaria deve procedere al controllo formale. L’attività di controllo, disciplinata dall’art. 36ter del D.P.R. 600/1973, deve essere svolta entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione e sulla base di appositi criteri selettivi stabiliti dal Ministro dell’economia e delle finanze. Si tratta di una tipologia di controllo a cui sono sottoposte soltanto alcune dichiarazioni dei redditi presentate dai contribuenti. Vengono sottoposte a questo tipo di controllo soltanto le dichiarazioni che presentano maggiori rischi di evasione fiscale. Con questo controllo l’Agenzia delle entrate vuole andare a verificare la documentazione che sta alla base della dichiarazione dei redditi presentata. A tal fine il contribuente viene chiamato a presentare all’Agenzia delle entrate la documentazione della dichiarazione, come gli oneri deducibili e detraibili, ma anche tutte le fatture e certificazioni delle ritenute subite.
6.3 La rateizzazione delle somme dovute a seguito della liquidazione automatica e del controllo formale della dichiarazione
L’art. 3bis del D. Lgs. 462/1997 ha introdotto la possibilità di rateizzare le somme dovute per effetto dell’attività di liquidazione e controllo automatico di cui all’art. 36bis del D.P.R. 600/1973, del controllo formale ex art. 36ter della dichiarazione nonché dei controlli automatici ex art. 54bis, D.P.R. 633/1972. La norma prevede che tali somme possono essere versate in un numero massimo di 20 rate trimestrali di pari importo. La prima rata va versata entro 60 giorni dal ricevimento della comunicazione dell’ufficio, le successive — per le quali sono dovuti gli interessi — scadono l’ultimo giorno di ciascun trimestre.
7Il controllo sostanziale
Il controllo sostanziale delle dichiarazioni è svolto dagli uffici dell’Agenzia delle entrate e dalla Guardia di finanza. I controlli sostanziali sono realizzati mediante accessi, ispezioni o verifiche presso i contribuenti, o ancora tramite questionari, con la convocazione del contribuente presso l’ufficio per acquisire ulteriori elementi istruttori o per instaurare il contraddittorio. L’esercizio di tali poteri è disciplinato dagli articoli da 31 a 33 del D.P.R. 600/1973 ai fini delle imposte sui redditi e dagli articoli 51 e 52, D.P.R. 633/1972 in materia di IVA. A tutela dell’attività lavorativa l’art. 12 della L. 212/2000 (Statuto del contribuente) prevede che «gli accessi, le ispezioni e le verifiche nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche e professionali sono effettuate sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo. Essi si svolgono, salvo casi eccezionali, durante l’ordinario orario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minor turbativa possibile allo svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali del contribuente».
La permanenza dei verbalizzanti presso la sede del contribuente non può eccedere i trenta giorni lavorativi, prorogabili una sola volta di ulteriori trenta giorni in casi di particolare complessità, valutati e motivati dal dirigente dell’ufficio.
7.1 Le finalità del controllo sostanziale
Il potere di controllo è finalizzato (artt. 31 e 31bis, D.P.R. 600/1973) ad:
— acquisire elementi per la migliore determinazione del presupposto d’imposta (rettifica di quanto dichiarato o non dichiarato dal contribuente) verificare l’adempimento degli obblighi strumentali (ad es. tenuta delle scritture contabili) la cui violazione è di per sé sintomatica di evasione;
— analizzare il comportamento di intere categorie di contribuenti;
— liquidare le imposte o maggiori imposte dovute;
— irrogare le pene pecuniarie e presentare all’autorità giudiziaria un rapporto (ora segnalazione) per le violazioni sanzionate penalmente;
— provvedere allo scambio con le altre autorità competenti degli Stati membri dell’Unione europea delle informazioni necessarie per assicurare il corretto accertamento delle imposte di qualsiasi tipo riscosse da o per conto dell’Amministrazione Finanziaria
7.2 Le attività di analisi del rischio
Per l’attuazione delle finalità sopra elencate l’Amministrazione finanziaria svolge le opportune attività di analisi del rischio (art. 31, comma 1bis, D.P.R. 600/1973). Questo è definito dall’art. 2 del D.Lgs. 13/2024 come il processo, composto da una o più fasi, che utilizza le informazioni presenti nelle basi dati dell’Amministrazione finanziaria, ovvero pubblicamente disponibili, per associare, coerentemente ad uno o più criteri selettivi, ovvero a uno o più indicatori di rischio desunti o derivati, la probabilità di accadimento a un determinato rischio fiscale, effettuando, ove possibile, anche una previsione sulle conseguenze che possono generarsi dal suo determinarsi.
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Le forme di cooperazione tra le Amministrazioni nazionali ed estere
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Ai sensi dell’art. 31bis del D.P.R. 600/73 (come sostituito dal D.Lgs. 13/2024), l’Amministrazione finanziaria su richiesta, provvede allo scambio, con le altre autorità competenti degli Stati membri dell’UE delle informazioni necessarie per assicurare il corretto accertamento delle imposte di qualsiasi tipo riscosse da o per conto dell’Amministrazione finanziaria e delle ripartizioni territoriali, comprese le autorità locali. Le informazioni non sono trasmesse quando possono rivelare un segreto commerciale, industriale o professionale, un processo commerciale o un’informazione la cui divulgazione contrasti con l’ordine pubblico. La trasmissione, inoltre, può essere rifiutata quando l’autorità competente dello Stato membro richiedente, per motivi di fatto o di diritto, non è in grado di fornire lo stesso tipo di informazioni (comma 4).
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L’esercizio del controllo sostanziale attraverso gli accessi, le ispezioni e le verifiche
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Nell’adempimento dei loro poteri di controllo sostanziale, le Direzioni provinciali dell’Agenzia delle Entrate, nonché i militari della Guardia di Finanza, possono procedere ad accessi, ispezioni, verifiche ai sensi dell’art. 33 del D.P.R. 600/1973. L’accesso deve essere autorizzato: per accedere ai locali adibiti ad attività d’impresa è suffi ciente l’autorizzazione del dirigente dell’ufficio dell’Agenzia delle entrate o del comandante di zona della Guardia di finanza, mentre per l’accesso nelle abitazioni, come per l’esame di documenti per cui venga eccepito il segreto professionale nel caso di accesso in studi professionali, è necessaria anche l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Se manca la prevista autorizzazione l’accesso è ritenuto illegittimo.
Si parla di ispezione quando l’accesso ha come scopo l’analisi di un determinato elemento documentale o materiale. I libri, i registri e i documenti di cui è rifiutata l’esibizione non potranno essere presi in considerazione ai fini dell’accertamento né in sede amministrativa né in sede contenziosa. Costituiscono rifiuto anche la dichiarazione di non possedere libri o registri e la sottrazione di esse all’ispezione (art. 32, comma 3, D.P.R. 600/1973 e art. 52, comma 5, D.P.R. 633/1972). Si parla, infine, di verifica quando l’accesso è finalizzato ad analizzare la corretta autoliquidazione dell’imposta da parte del contribuente. La verifica ha inizio con l’accesso, seguito da ispezioni documentali e altre operazioni. In occasione di ogni accesso e verifica l’Amministrazione finanziaria provvede alla redazione del processo verbale di verifica dove vengono descritte, in modo dettagliato, tutte le operazioni compiute, le richieste fatte al contribuente e le risposte ricevute. Tale verbale deve essere sottoscritto dal contribuente che ha diritto a riceverne copia (art. 52, comma 6, D.P.R. 633/1972). L’atto conclusivo dell’attività di verifica è il processo verbale di constatazione che sintetizza i dati rilevati dal controllo.
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Le indagini bancarie, postali e finanziarie
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Un particolare potere istruttorio riconosciuto alla pubblica amministrazione riguarda le indagini finanziarie che possono essere svolte senza il limite del segreto bancario, il quale ha ragione di essere a tutela dei valori umani, ma non economici nei confronti dello Stato ed enti pubblici. Per svolgere tale attività gli uffici dell’Agenzia delle entrate e della Guardia di finanza devono essere autorizzati dal Direttore dell’Agenzia e dal comandante della Guardia di Finanza. Le banche, gli uffici postali e gli intermediari finanziari devono comunicare dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto ad operazione effettuata con i loro clienti, entro 30 giorni dalla richiesta prorogabili di ulteriori 20 giorni in caso di giustificato motivo. La banca deve, inoltre, dare anche immediata notizia al suo cliente di tali indagini.
L’art. 16quater del D.L. 119/2018 ha, inoltre, previsto la possibilità per la Guardia di finanza di accedere ai dati delle operazioni finanziarie inviati all’anagrafe tributaria, mentre l’art. 16sexies ha implementato lo scambio di informazioni internazionali tra l’Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza.
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L’avviso di accertamento
Si tratta di un provvedimento amministrativo con il quale si stabilisce l’obbligazione tributaria per il periodo accertato. In base a quanto disposto dall’art. 29 del D.L. 78/2010 l’avviso di accertamento è titolo esecutivo decorso il termine utile per la proposizione del ricorso. Decorsi ulteriori 30 giorni dalla succitata scadenza la riscossione delle somme è «affidata in carico» agli agenti della riscossione.
L’esecuzione forzata è sospesa per 180 giorni dall’affidamento dopodiché l’agente della riscossione inizierà l’esecuzione coattiva senza aspettare la formazione del ruolo. Tale sospensione non opera in caso di accertamenti definitivi non impugnati nonché in caso di recupero di somme derivanti da decadenza della rateazione. L’agente della riscossione è tenuto ad informare il debitore di aver preso in carico le somme da porre in riscossione con raccomandata semplice o tramite posta elettronica. Le stesse disposizioni trovano applicazione anche agli atti emessi dagli enti locali (art. 1, comma 792, L. 160/2019). L’avviso di accertamento consta di due parti essenziali: la motivazione ossia l’indicazione delle ragioni di fatto o di diritto poste alla base dell’atto; il dispositivo ossia la statuizione cui si ricollegano gli effetti dell’accertamento.
L’avviso di accertamento è nullo se: privo di uno degli elementi essenziali (mancata sottoscrizione, omessa notifica); è viziato da difetto assoluto di attribuzione (tributo inesistente o emesso da ufficio incompetente); è adottato in violazione o elusione di giudicato; negli altri casi espressamente previsti dalla legge (es. mancanza di motivazione nel caso delle imposte dirette).
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Il contraddittorio preventivo
L’art. 6bis dello Statuto del contribuente, introdotto dal D. Lgs. 219/2023, dispone che tutti gli atti autonomamente impugnabili dinanzi agli organi della giurisdizione tributaria devono essere preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo. Tuttavia, il comma 2 dell’articolo citato, esclude il diritto al contraddittorio per gli atti automatizzati, sostanzialmente automatizzati, di pronta liquidazione e di controllo formale delle dichiarazioni che sono stati poi dettagliati nel D.M. 24-4-2024, nonché per i casi motivati di fondato pericolo per la riscossione. Per consentire il contraddittorio, l’Amministrazione finanziaria comunica al contribuente, con modalità idonee a garantirne la conoscibilità, lo schema dell’atto impositivo, assegnando un termine non inferiore a sessanta giorni per consentirgli eventuali controdeduzioni ovvero, su richiesta, per accedere ed estrarre copia degli atti del fascicolo.
L’atto non è adottato prima della scadenza del termine sopra citato
10 Il concordato preventivo biennale
10.1 Il contesto di riferimento
Il D.Lgs. 13/2024 — emanato in attuazione della legge delega 111/2023 per la riforma del sistema fiscale, detta la nuova disciplina del concordato preventivo biennale, che rappresenta una svolta significativa nella gestione dei rapporti tra cittadini/contribuenti e Fisco. In buona sostanza, l’obiettivo del legislatore è quello di semplificare e stimolare l’adempimento collaborativo spontaneo per i contribuenti titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo, in attuazione dei criteri fissati nell’art. 7 della legge delega per la riforma fiscale.
Il concordato preventivo biennale, che ha natura facoltativa e non ha effetti sulla disciplina IVA, è rivolto a contribuenti di minori dimensioni, titolari di reddito d’impresa e di lavoro autonomo, che svolgono attività nel territorio dello Stato. In particolare, l’istituto si rivolge a due specifiche tipologie di contribuenti: soggetti che, nel periodo di imposta 2023, hanno applicato gli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA); soggetti che, nel 2023, hanno aderito al regime forfetario di cui all’art. 1, commi da 54 a 89, della L. 190/2014. Per costoro il concordato preventivo biennale si limita, in via sperimentale, a una sola annualità, ossia il 2024.
Nei confronti di tali soggetti l’Agenzia delle entrate redige una proposta per definire il reddito e il valore della produzione netta per un biennio: tale proposta riguarda le imposte dirette e l’IRAP.
L’Agenzia delle entrate elabora la proposta avvalendosi dei programmi informatici, tenendo coerente mente conto dei dati dichiarati dal contribuente e nel rispetto della sua capacità contributiva, valorizzando i dati e le informazioni di cui dispone. Il contribuente può aderire alla proposta di concordato entro il 31 luglio, ovvero entro l’ultimo giorno del settimo mese successivo a quello di chiusura del periodo d’imposta per i soggetti con periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare. Il soggetto che intende aderire alla proposta concordataria deve trasmettere la propria accettazione all’Agenzia delle entrate. Con tale accettazione assume l’impegno a esporre in dichiarazione gli importi concordati, sia ai fini delle imposte dirette sia ai fini IRAP, per le due annualità oggetto di concordato.
Per coloro che hanno aderito, l’Amministrazione finanziaria non potrà disporre accertamenti di tipo analitico previsti dall’art. 39 del D.P.R. 600/1973; tuttavia, possono essere emessi tali provvedimenti accertativi se dall’espletamento della fase istruttoria siano emersi elementi che determinano specifiche cause di decadenza dal concordato biennale (art. 34, D.Lgs. 13/2024).
10.2 Il concordato preventivo biennale per i contribuenti che applicano gli ISA
Ai sensi dell’art. 10 del D.Lgs. 13/2024, possono accedere all’istituto i contribuenti ISA che, con riferimento al periodo d’imposta precedente a quelli cui si riferisce la proposta, non hanno debiti per tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate o debiti contributivi o hanno estinto i predetti debiti in misura tale che l’ammontare complessivo del debito residuo, compresi interessi e sanzioni, risulti inferiore alla soglia di 5.000 euro.
Ai fini del calcolo della proposta, il reddito di lavoro autonomo e il reddito d’impresa da sottoporre a tassazione non può essere inferiore a 2.000 euro. Allo stesso modo, a i fini IRAP il valore della produzione non può essere inferiore a 2.000 euro.
10.3 Il concordato preventivo biennale per i soggetti che aderiscono al regime forfettario
Possono aderire al concordato preventivo anche i contribuenti — esercenti attività d’impresa, arte o professione — che abbiano aderito al regime forfettario disciplinato dall’art. 1, commi da 54 a 89, della L. 190/2014. Costituiscono cause di esclusione dalla proposta: la circostanza che l’interessato abbia iniziato l’attività nel periodo d’imposta precedente a quello oggetto di proposta concordataria; l’assenza dei requisiti previsti per i soggetti ISA; la presenza di cause di esclusione previste per i soggetti ISA.
Capitolo 8 Le modalità di accertamento
1 Le modalità di accertamento per le persone fisiche non titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo
Il controllo di carattere sostanziale o di merito può essere diretto alla rettifica del reddito complessivo del contribuente (accertamento generale) o solo di alcune tipologie di reddito (accertamento parziale). L’accertamento generale può essere svolto con modalità diverse. In particolare, con riferimen to a contribuenti persone fisiche non possessori di redditi di impresa o di lavoro autonomo, esso può essere analitico, sintetico e d’ufficio
1.1 L’accertamento analitico
L’accertamento si dice analitico quando l’Ufficio, sebbene la dichiarazione sia incompleta o infedele, è in grado di determinare analiticamente, ossia voce per voce, il maggior reddito con seguito o le indebite detrazioni effettuate dal contribuente (art. 38, comma 2, D.P.R. 600/1973)
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L’accertamento sintetico
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Ogni qualvolta l’accertamento analitico esprime un volume di reddito non adeguato a quello attribuibile al contribuente, sulla base di elementi certi, l’Ufficio potrà ricorrere all’accertamento sintetico disciplinato dall’art. 38, commi 4-8, del D.P.R. 600/1973. Tale accertamento è esperibile solo nei confronti di persone fisiche non titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo
1.2 L’accertamento sintetico
Ogni qualvolta l’accertamento analitico esprime un volume di reddito non adeguato a quello attribuibile al contribuente, sulla base di elementi certi, l’Ufficio potrà ricorrere all’accertamento sintetico disciplinato dall’art. 38, commi 4-8, del D.P.R. 600/1973. Tale accertamento è esperibile solo nei confronti di persone fisiche non titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo.
L’art. 38, commi 4-6, del D.P.R. 600/1973, specifica che l’Ufficio può procedere ad accertamento sintetico:
— sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel periodo d’imposta da parte del contribuente (cd. accertamento sintetico puro, cd. spesometro). Tra tali spese vanno annoverate anche gli incrementi patrimoniali, quali ad esempio l’acquisto di un immobile, prima sottratti all’accertamento sintetico in quanto ritenuti frutto di una ricchezza accumulata in più esercizi e quindi non alimentata dal reddito dell’anno di sostenimento della spesa; — sul contenuto induttivo di elementi indicativi della capacità contributiva individuato mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza (cd. redditometro);
— a condizione che il reddito complessivo, così come determinato in base ai precedenti punti, eccede di almeno un quinto quello dichiarato e, comunque, di almeno dieci volte l’importo corrispondente all’assegno sociale annuo, il cui valore è aggiornato per legge, con periodicità biennale, anche sulla base degli indici di adeguamento ISTAT.
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Segue: il redditometro
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Oltre al cd. accertamento sintetico puro (cd. spesometro) è previsto un accertamento sintetico basato sulla spesa figurativa (cd. redditometro). Con il redditometro l’amministrazione finanziaria stabilisce sinteticamente il reddito complessivo del contribuente in relazione alle sue disponibilità economiche basate su elementi indicativi di capacità contributiva (es.: possesso di natanti, auto, beni di lusso ecc.) in relazione anche al reddito complessivo del nucleo familiare e al territorio di residenza. E, infatti, il comma 5, dell’art. 38 del D.P.R. 600/1973 precisa che: «la determinazione sintetica può essere, altresì, fondata sul contenuto induttivo di elementi indicatori di capacità contributiva individuata mediante l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in fu zione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza».
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L’accertamento d’ufficio
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La rettifica, in qualsiasi modo svolta, presuppone una dichiarazione del contribuente. In caso di omessa presentazione della dichiarazione (fattispecie cui va assimilata la presentazione di dichiarazioni radicalmente nulle), l’Ufficio procede ad accertamento d’ufficio, determinando il reddito complessivo del contribuente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolte. L’accertamento d’ufficio deve essere effettuato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui avrebbe dovuto essere presentata la dichiarazione (art. 43, D.P.R. 600/1973).
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L’accertamento parziale
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Gli Uffici territoriali della Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate — sulla base di accessi, ispezioni e verifiche e delle segnalazioni della Direzione centrale accertamento, di una di un Ufficio della medesima Agenzia o di altre Agenzie fiscali, della Guardia di finanza, di enti ed amministrazioni pubbliche — se rilevano l’esistenza di un reddito non dichiarato o di un maggior reddito o di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni non spettanti in tutto o in parte o di imposte o maggiori imposte non versate, possono limitarsi ad effettuare un accertamento parziale volto ad accertare unicamente detto reddito evaso o il maggior reddito imponibile.
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I poteri e i limiti per l’attività di accertamento nel settore immobiliare
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L’art. 41ter del D.P.R. 600/1973, ha stabilito una «soglia di punibilità», in quanto gli Uffici non possono procedere a rettifica qualora il reddito derivante da locazione sia dichiarato in misura almeno uguale al maggior valore tra il canone di locazione risultante da contratto, ridotto del 15%, e il 10% del valore dell’immobile. Il medesimo art. 41ter, però, contiene al secondo comma una presunzione di esistenza del rapporto di locazione per i quattro periodi d’imposta precedenti a quello nel corso del quale è accertata l’esistenza del rapporto stesso.
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Le modalità di accertamento per le persone fisiche titolari di redditi d’impresa e di lavoro autonomo e per i soggetti IRES
Anche nei confronti dei possessori di redditi d’impresa nonché nei confronti dei soggetti IRES ad esclusione delle società semplici (art. 40, D.P.R. 600/1973) l’accertamento sostanziale può riguardare il reddito complessivo del contribuente (accertamento generale) o solo alcuni tipi di redditi a lui imputabili (accertamento parziale).
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L’accertamento analitico contabile
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Per i possessori dei possessori di redditi d’impresa e di lavoro autonomo la rettifica analitica si basa sulle scritture contabili, anche se l’Ufficio le può disattendere in tutto od in parte. Alla rettifica analitica contabile l’Ufficio procede (art. 39, comma 1, lett. a), b), c), D.P.R. 600/1973) in particolare se gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a quelli del bilancio, del conto economico e dell’eventuale prospetto descrittivo delle risultanze d’esercizio.
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L’accertamento analitico induttivo o induttivo contabile
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L’accertamento analitico induttivo o induttivo contabile è esercitato sulla base dell’art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. 600/1973. Tale metodo di accertamento non sovverte l’impianto contabile o la dichiarazione del con tribuente ma opera una rettifica su singole poste, sulla base di elementi esterni alla contabilità.
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Segue: Gli indici sintetici di affidabilità fiscale
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Al fine di favorire l’emersione spontanea delle basi imponibili, l’art. 9bis del D.L. 50/2017 ha istituito indici sintetici di affidabilità fiscale per gli esercenti attività di impresa, arti o professioni (ISA).
Gli indici, elaborati con una metodologia basata su analisi di dati e informazioni relativi a più periodi d’imposta, rappresentano la sintesi di indicatori elementari tesi a verificare la coerenza della gestione aziendale o professionale, anche con riferimento a diverse basi imponibili, ed esprimono su una scala da 1 a 10 il grado di affidabilità fiscale riconosciuto a ciascun contribuente, anche al fine di consentire a quest’ultimo, sulla base dei dati dichiarati entro i termini ordinariamente previsti, l’accesso al regime premiale. Gli indici sono approvati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze entro il 31 dicembre del periodo d’imposta per il quale sono applicati.
In relazione ai diversi livelli di affidabilità fiscale conseguenti all’applicazione degli indici, sono riconosciuti i seguenti benefìci: a) l’esonero dall’apposizione del visto di conformità per la compensazione di crediti per un im porto non superiore a 50.000 euro annui relativamente all’IVA e per un importo non superiore a 20.000 euro annui relativamente alle imposte dirette e all’IRAP; b) l’esonero dall’apposizione del visto di conformità ovvero dalla prestazione della garanzia per i rimborsi dell’IVA per un importo non superiore a 50.000 euro annui; c) l’esclusione dell’applicazione della disciplina delle società non operative di cui all’art. 30, L. 727/1994; d) l’esclusione degli accertamenti basati sulle presunzioni semplici.
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L’accertamento induttivo extra contabile
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In via eccezionale, l’Ufficio può procedere all’accertamento induttivo prescindendo dalle scritture contabili e dalle risultanze del bilancio e avvalendosi di notizie e dati comunque in suo possesso. L’Ufficio può ricorrere alla rettifica induttiva solamente nei seguenti casi (art. 39, comma 2, D.P.R. 600/1973): quando il reddito di impresa non è stato indicato nella dichiarazione; — quando dal verbale di ispezione risulta che il contribuente non ha tenuto o ha sottratto all’ispezione una o più scritture contabili ovvero quando le scritture non sono disponibili per causa di forza maggiore.
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L’accertamento d’ufficio
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Vale quanto detto a proposito delle persone fisiche (v. par. 1.5): l’accertamento può essere effettuato solo se la dichiarazione è omessa o nulla
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L’accertamento parziale
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L’accertamento parziale, disciplinato dall’art. 41bis del D.P.R. 600/1973, trova larga applicazione nei confronti di persone fisiche con riferimento ai redditi d’impresa e di lavoro autonomo. Per l’argomento si rinvia a quanto già detto per le persone fisiche (.
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I controlli per le imprese di rilevanti dimensioni
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L’art. 27, commi 9-15, D.L. 185/2008 stabilisce un particolare controllo sostanziale delle dichiarazioni dei redditi e della dichiarazione IVA delle imprese di più rilevanti dimensioni. Per tali si intendono quelle con volume di affari o ricavi superiori a 150 milioni di euro (provv. 20-12-2010). Il controllo va effettuato entro l’anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione d’imposta.
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La partecipazione dei Comuni all’attività di accertamento
Sulla base delle disposizioni contenute nell’art. 44 del D.P.R. 600/1973, i Comuni partecipano attivamente all’accertamento dei redditi delle persone fisiche. A sua volta, per agevolare l’attività di indagine sull’evasione dei tributi locali, l’Agenzia delle entra te mette a disposizione dei Comuni le dichiarazioni dei contribuenti persone fisiche in esso residenti. Inoltre, prima di emettere avvisi di accertamento gli uffici inviano una segnalazione ai Comuni affinché questi, entro 30 giorni dal ricevimento della stessa, comunichino ogni elemento in loro possesso utile alla determinazione del reddito complessivo.
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La partecipazione dei Comuni all’attività di accertamento
I Comuni partecipano attivamente all’accertamento dei redditi delle persone fisiche. A sua volta, l’Agenzia delle entrate mette a disposizione dei Comuni le dichiarazioni dei contribuenti persone fisiche in esso residenti. Inoltre, prima di emettere avvisi di accertamento gli uffici inviano una segnalazione ai Comuni affinché questi, entro 30 giorni dal ricevimento della stessa, comunichino ogni elemento in loro possesso utile alla determinazione del reddito complessivo (art. 44 del D.P.R. 600/1973). Al fine di rafforzare la partecipazione dei Comuni all’attività di accertamento tributario il D.Lgs. 23/2011 ha stabilito che i singoli Comuni possano accedere ai dati contenuti nell’anagrafe tributaria relativi ai contratti di locazione, alla somministrazione di energia elettrica, servizi idrici e gas degli immobili ubicati nel proprio territorio, ai soggetti che hanno il domicilio fiscale nel proprio territorio e che esercitano nello stesso un’attività di lavoro autonomo o di impresa. I Comuni possono, altresì, accedere a qualsiasi banca dati pubblica, limitatamente ad immobili presenti nel Comune, che possa essere rilevante per il controllo dell’evasione erariale o dei tributi locali.
4 Le metodologie di accertamento dell’IVA
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L’accertamento analitico contabile
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Ai sensi dell’art. 54, commi 1 e 2, del D.P.R. 633/1972, l’Ufficio procede a rettifica della dichiarazione in base ai dati in proprio possesso, provandone l’infedeltà secondo criteri di logica deduttiva, quando ritiene che dalla dichiarazione risulti un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero un’eccedenza rimborsabile superiore a quella spettante.
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L’accertamento analitico induttivo
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L’ufficio può tuttavia procedere alla rettifica indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente qualora l’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione, o l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture, dagli elenchi allegati alle dichiarazioni di altri contribuenti o da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti nonché da altri atti e documenti in suo possesso (art. 54, comma 3, D.P.R. 633/1972).
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L’accertamento induttivo extracontabile
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Ai fini IVA l’accertamento induttivo extracontabile può aver luogo solo nei casi espressa mente previsti dal legislatore (art. 55 D.P.R. 633/1972) fra cui: se il contribuente non ha presentato la dichiarazione annuale IVA; se la dichiarazione reca indicazioni, relative alle operazioni attive e passive, prive delle speificazioni necessarie e a condizione che tali irregolarità non sono state sanate entro il mese successivo a quello della presentazione della dichiarazione.
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L’accertamento parziale
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Anche per l’IVA, come per le imposte dirette, sono stati introdotti gli accertamenti parziali a carico dei contribuenti, qualora emergono corrispettivi non dichiarati o detrazioni non spettanti, a seguito di segnalazioni della Guardia di finanza o di enti e organismi pubblici.
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Il contraddittorio generalizzato
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Tutti i provvedimenti accertativi emessi in materia di IVA devono essere preceduti, a pena di annullabilità, da un contraddittorio informato ed effettivo.
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L’accertamento con adesione del contribuente
L’istituto dell’accertamento con adesione del contribuente, attualmente disciplinato dal D.Lgs. 218/1997, rappresenta una forma di accertamento, svolto in contraddittorio tra le parti e pertanto detto concordato in quanto frutto di un accordo e che si conclude con un atto definitivo, cui non può seguire nessun contenzioso. Il meccanismo investe Amministrazione e contribuente ed è applicabile, oltre che alle imposte dirette e all’IVA, anche alle imposte sulle successioni e donazioni, di registro, ipotecaria e catastale.
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Le caratteristiche dell’accertamento con adesione per gli atti emessi fino al 30 aprile 2024
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L’accertamento con adesione (cd. concordato) è stato inizialmente ammesso per tutte le tipologie reddituali e per l’IVA. Potevano essere concordate: le imposte sul reddito (incluse quelle sostitutive delle stesse e quelle per le quali è prevista l’applicazione delle norme dettate per le imposte sul reddito in materia di liquidazione, riscossione, accertamento ecc.), l’IVA e tutte le imposte indirette. Potevano essere definiti tutti i periodi d’imposta ancora accertabili e non vi sono cause ostative, anche di carattere penale. L’ambito oggettivo poteva riguardare tutti gli aspetti dell’azione accertatrice, inclusa la determinazione sintetica del reddito (basata cioè su strumenti quali il redditometro, gli ISA ecc.).
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Le novità apportate dal D.Lgs. 13/2024 e applicabili agli atti emessi dal 30 aprile 2024
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L’art. 1 del D.Lgs. 13/2024 interviene sulla disciplina contenuta nel D.Lgs. 218/1997 in primo luogo estendendo la disciplina dell’adesione, oltre che all’accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA, anche agli atti di recupero dei crediti indebitamente compensati non dipendente da un precedente accertamento. La procedura di adesione ricalca quella precedente, salvo alcune rilevanti modifiche. In primo luogo viene introdotta di una disciplina di coordinamento tra il contraddittorio preventivo (v. supra Cap. 7, par. 9) e l’accertamento con adesione.
In particolare l’art. 1, comma 2bis, del D.Lgs. 218/1997 dispone che lo schema di atto, comunicato al contribuente ai fini del contraddittorio preventivo, deve recare oltre all’invito alla formulazione di osservazioni, anche quello alla presentazione di istanza per la definizione dell’accertamento con adesione, in luogo delle osservazioni. Viene, inoltre, stabilito che l’ufficio, nei casi in cui debba procedere a contraddittorio, contestualmente alla notifica dell’avviso di accertamento o di rettifica ovvero dell’atto di recupero, ovvero su istanza del contribuente, nei casi di accertamento con adesione o di conciliazione giudiziale, deve comunicare al contribuente un invito a comparire (art. 5, comma 1, D.Lgs. 218/1997).
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L’adesione agevolata ai processi verbali di constatazione
Ai sensi del nuovo art. 5quater del D.Lgs. 218/1997 (introdotto dal D.Lgs. 13/2024), per gli atti emessi dal 30 aprile 2024, è nuovamente possibile aderire ai processi verbali di constatazione, senza condizioni oppure condizionando l’adesione all’eliminazione di errori manifesti presenti nell’atto. L’adesione può avere ad oggetto esclusivamente il contenuto integrale del verbale e deve intervenire entro i 30 giorni successivi alla data della consegna del verbale stesso, mediante comunicazione al competente ufficio dell’Agenzia delle entrate indicato nel verbale e all’organo che lo ha redatto. Nel caso di errore manifesto, nei 10 giorni successivi alla comunicazione dell’adesione condizionata, l’organo che ha redatto il verbale può correggere gli errori indicati dal contribuente mediante aggiornamento del verbale, informandone immediatamente il contribuente e il competente ufficio dell’Agenzia. I termini per l’accertamento sono in ogni caso sospesi fino alla comunicazione dell’adesione del contribuente e comunque non oltre la scadenza del trentesimo giorno dalla consegna del verbale di constatazione. Nel caso di adesione senza condizioni, entro i 60 giorni successivi alla comunicazione del contribuente, il competente ufficio dell’Agenzia delle entrate notifica l’atto di definizione dell’accertamento parziale mentre, nel caso di errore manifesto, il termine decorre dalla comunicazione effettuata all’Agenzia, da parte dell’organo che ha redatto il verbale.
Capitolo 9 La riscossione e i rimborsi
La riscossione, disciplinata dal D.P.R. 29-9-1973, n. 602, è esercitata dall’Agenzia delle entrate che si avvale dell’ente Agenzia delle entrate-riscossione ed è finalizzata a: — incassare le somme pagate mediante versamento diretto e quelle iscritte a ruolo; — provvedere all’esecuzione forzata; — eseguire i rimborsi. Il Titolo IX (Disposizioni transitorie e finali) include norme di coordinamento, abrogazioni rese necessarie dall’opera ricognitiva del Testo unico e la decorrenza delle relative disposizioni dal 1° gennaio 2026.
1 La revisione del sistema di riscossione
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La revisione operata dal D.Lgs. 110/2024
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Dando attuazione all’art. 18 della legge delega per la riforma fiscale (L. 111/2023), è stato emanato il D.Lgs. 29-7-2024, n. 110 che si pone quali obiettivi principali: il potenziamento della riscossione e l’accelerazione dei rimborsi.
1.2 Il Testo unico in materia di versamenti e di riscossione
In applicazione al principio recato dall’art. 21 della L. 111/2023, al fine di coordinare sotto il profilo formale e sostanziale le norme vigenti, il Governo, con D.Lgs. 24-3-2025, n. 33, ha approvato il Testo unico in materia di versamenti e di riscossione. Nel Testo sono ricondotte a unità le disposizioni vigenti, attualmente contenute in fonti normative differenti, tra le quali i numerosi provvedimenti in materia di razionalizzazione e semplificazione stratificatisi nel corso degli ultimi decenni.
2 Il versamento volontario delle imposte
2.1 Il pagamento spontaneo
Il pagamento spontaneo può avvenire mediante: — ritenuta diretta per le imposte dovute sui redditi provenienti dallo Stato o dagli enti statali. Le ritenute vengono accreditate direttamente all’Amministrazione del Tesoro. La ritenuta può essere a titolo d’imposta o di acconto; — versamenti diretti per le imposte sui redditi, l’IRAP e l’IVA; — iscrizione nei ruoli, per le imposte per le quali non sono previsti la ritenuta o il versamento diretto, per quelle che il contribuente non abbia provveduto a pagare mediante versamento diretto e per il versamento di interessi e sanzioni
2.2 La ritenuta diretta
Sono pagate per ritenuta diretta le imposte dovute sui redditi di lavoro dipendente corri sposti dallo Stato o dagli enti statali (art. 29, D.P.R. 600/1973). Tali ritenute vengono accreditate direttamente all’amministrazione del Tesoro secondo le modalità previste dalle norme sulla contabilità generale dello Stato (art. 2, D.P.R. 602/1973).
2.3 I versamenti diretti e il modello F24
In relazione alla materiale esecuzione dei versamenti è previsto che tutti i contribuenti, anche se non titolari di partita IVA, devono utilizzare il modello F24. Il modello in argomento è utilizzabile per il pagamento di tutti i tipi di tributi e contributi.
2.5 Il pagamento rateizzato
Ai sensi dell’art. 20 del D.Lgs. 241/1997 (come modificato dall’art. 8, D.L.gs. 1/2024), i con tribuenti sono legittimati a scegliere il pagamento rateizzato delle somme dovute a titolo di saldo e di acconto delle imposte e dei contributi ad eccezione delle somme dovute nel mese di dicembre a titolo di acconto del versamento IVA. L’opzione va esercitata in sede di dichiarazione stessa e comporta il pagamento dell’importo a debito in rate mensili, di uguale ammontare, maggiorate dell’interesse del 4% annuo.
3 La compensazione
3.1 La disciplina del versamento unitario e della compensazione
Ai sensi dell’art. 17 del D.Lgs. 241/1997 i contribuenti possono versare, cumulativamente, sia le imposte (IRES, IRPEF, IRAP, IVA ecc.) sia i contributi previdenziali e assistenziali, i premi INAIL e i diritti annuali alle Camere di Commercio (cd. versamento unitario). Il versamento unitario consente la compensazione tra le partite attive e passive del contribuente coinvolgendo sia le imposte sia i rapporti con gli enti previdenziali.
A partire dal 2022 la compensazione può essere effettuata nel limite massimo di 2 milioni di euro per ciascun periodo d’imposta (art. 1, comma 72, L. 234/2021). Non concorrono alla determinazione di questo limite i crediti di imposta derivanti da agevolazioni o incentivi fiscali, per i quali esiste una copertura di legge, i crediti trimestrali derivanti dalle liquidazioni periodiche IVA, i crediti compensati con debiti della stessa imposta.
3.2 La compensazione volontaria
Una forma particolare di compensazione è quella volontaria disciplinata dall’art. 28ter del D.P.R. 602/1973. In base a tali disposizioni, l’Agenzia delle entrate, in sede di erogazione di un rimborso d’imposta, deve verificare se il beneficiario del rimborso risulta iscritto a ruolo e, in caso affermativo, effettua una segnalazione, per via telematica, all’agente della riscossione che ha in carico il ruolo.
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L’accollo del debito d’imposta
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La normativa fiscale (art. 8, comma 2, L. 212/2000) consente che un terzo si accolli il debito d’imposta del contribuente, fermo restando che il debitore originario non si libererà per questo del proprio debito. L’art. 1 del D.L. 124/2019, ha precisato che colui che si accolla un debito d’imposta altrui, deve effettuare il pagamento dello stesso secondo le modalità che disciplinano i diversi tributi: in ogni caso non è consentito l’utilizzo della compensazione di crediti dell’accollante.
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La riscossione coattiva
La normativa privatistica prevede che il creditore possa rivolgersi al giudice per ottenere un titolo esecutivo che gli permetta di realizzare il suo diritto (procedura espropriativa); altre volte può chiedere, se è in possesso di idoneo titolo, l’esecuzione forzata.
Titoli esecutivi sono: il ruolo e l’avviso di accertamento.
5.1 Il ruolo
Il ruolo — provvedimento amministrativo che si applica sia per la riscossione coattiva che volontaria — è l’elenco dei debitori e delle somme da loro dovute formato dall’Ufficio per la riscossione tramite l’agente della riscossione. Distinguiamo due tipi di ruolo: — ordinario, nel quale vengono indicati i dati relativi al contribuente nonché le notizie relative all’imponibile, all’aliquota da applicare, all’imposta dovuta; — straordinario, formato solo se vi è fondato pericolo per la riscossione, in cui vengono indicate, oltre all’imposta dovuta e ai relativi interessi, anche le eventuali sanzioni
Il nuovo comma 1 dell’art. 19 del D.P.R. 602/1973 prevede, nel dettaglio, che per debiti di importo inferiore o pari a 120.000 euro il debitore formuli una semplice richiesta di rateizzo (dichiarando di trovarsi in una situazione di temporanea obiettiva difficoltà economica). Potrà richiedere: — negli anni 2025 e 2026 fino a un massimo di 84 rate mensili; — negli anni 2027 e 2028 fino a un massimo di 96 rate mensili; —dal 1° gennaio 2929, fino a un massimo di 108 rate mensili.
Per i debiti di importo superiore a 120.000 euro — in base al nuovo comma 1.1 dell’art. 19 del D.P.R. 602/1973 — il debitore è tenuto a dichiarare e documentare la propria condizione di obiettiva difficoltà economica
Una volta proposta la richiesta da parte del debitore e fino all’eventuale rigetto della domanda di rateizzo, ai sensi del comma 1quater: — sono sospesi i termini di prescrizione o decadenza; — l’ADER non può iscrivere nuovi fermi amministrativi o ipoteche mentre sono fatte salve le iscrizioni precedenti; — l’ADER non può avviare nuove procedure esecutive; — non possono essere concesse dilazioni per debiti che siano stati oggetto di verifica effettuata dalle Pubbliche Amministrazioni (prima di erogare somme ai propri creditori) ai sensi dell’art. 48 del D.P.R. 602/1973.
L’agente della riscossione è tenuto a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento ed ha l’obbligo di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione (art. 26, D.P.R. 602/1973).
5.3 La cartella di pagamento
Una volta effettuata l’iscrizione a ruolo, l’agente della riscossione provvederà a notificare la cartella di pagamento contenente l’intimazione a pagare entro 60 giorni dalla notifica con l’avvertimento che, in mancanza del pagamento, si procederà all’esecuzione forzata salvo che non sia stata richiesta la rateazione del pagamento (art. 25, comma 2, D.P.R. 602/1973. La cartella di pagamento deve essere redatta in conformità al modello approvato con Provv. 17-1-2022 che ne stabilisce anche il contenuto minimo, nel quale si annovera la motivazione, ossia deve indicare ipresupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione
La cartella deve contenere, a pena di nullità, anche l’indicazione del responsabile del pro cedimento di iscrizione a ruolo nonché di emissione e notificazione della cartella stessa (art. 36, comma 4ter, D.L. 248/2007).
5.4 Le novità in tema di responsabilità paritetica dei coobbligati
Viene introdotto il nuovo art. 25bis al D.P.R. 602/1973 il quale prevede che in caso di responsabilità sussidiaria, se il creditore principale ottiene la rateazione delle somme iscritte a ruolo, si estende anche nei confronti dei coobbligati la sospensione della prescrizione del diritto di credito. Tale sospensione decorre dal versamento della prima rata e per tutta la durata del rateizzo. L’Agente della riscossione ha il compito di informare i coobbligati in merito al rateizzo concesso al debitore principale, indicando anche la durata e il numero delle rate accordate.
Viene poi modificato l’art. 45 del D.P.R. 602/1973 — che disciplina l’attività di riscossione coattiva — inserendo la precisazione che il concessionario può procedere a tale attività «solo previa notifica della cartella di pagamento al soggetto nei confronti del quale procede.» Tale novità in tende chiarire che — a tutela del diritto di difesa del coobbligato — la riscossione coattiva nei suoi confronti deve essere preceduta dalla notifica al medesimo soggetto della cartella di pagamento. In base al medesimo principio è stato modificato anche l’art. 50 del D.P.R. 602/1973 prevedendo che il concessionario effettua l’espropriazione forzata dopo che sono decorsi 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento «al soggetto nei confronti del quale procede, salve le disposizioni relative alla dilazione e alla sospensione del pagamento».
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Il ricorso del contribuente e la sospensione della riscossione
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Il contribuente può, entro 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento, proporre ricorso contro l’iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento (art. 19, D.Lgs. 546/1992). Il ricorso non sospende però la riscossione. La competente Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate può disporne la sospensione amministrativa della riscossione, in tutto o in parte, fino alla data di pubblicazione della sentenza della Commissione tributaria provinciale con provvedimento motivato da notificare sia all’agente della riscossione che al contribuente. Tale provvedimento può, però, essere revocato nel caso in cui vi sia fondato pericolo per la riscossione (art. 39, D.P.R. 602/1973). L’art. 19bis del D.P.R. 602/1973 prevede un’ipotesi di sospensione della riscossione qualora si verifichino eventi straordinari tali da alterare gravemente lo svolgimento di un corretto rapporto tra i debitori e gli enti impositori. La sospensione non può, in ogni caso, superare i 12 mesi e deve essere richiesta prima dell’inizio della procedura esecutiva.
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La transazione sui crediti tributari
Con il D.Lgs. 136/2024, cd. «correttivo ter» al D.Lgs. 14/2019 (Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza), è stata introdotta la possibilità di presentare, anche in sede di composizione negoziata della crisi di impresa, una proposta di accordo transattivo per i debiti tributari, che ne preveda il pagamento parziale o dilazionato, non solo degli interessi e sanzioni, ma anche dell’imposta dovuta. In precedenza, tale possibilità era preclusa, salvo concludere, a margine della composizione negoziata stessa, un accordo di ristrutturazione dei debiti o un concordato preventivo
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L’esecuzione forzata e le misure cautelari del credito tributario
Qualora il contribuente non versa ciò che è richiesto con la cartella di pagamento entro 60 giorni dalla notifica, l’agente della riscossione avvia a carico del soggetto per il quale procede l’esecuzione forzata la quale si articola in tre fasi: — pignoramento tramite ingiunzione di astenersi dalla disposizione del bene; — vendita del bene all’asta; — riscossione del credito.Fra tali misure si ricorda, in primis, il fermo amministrativo in base al quale, l’amministra zione può sospendere il pagamento di un suo debito se è a sua volta creditrice verso il privato (v. amplius, Cap. 10, par. 3.2). Diverso è invece il fermo dei veicoli in base al quale, l’agente della riscossione, decorsi 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento può disporre il divieto di circolazione di un veicolo iscritto al pubblico registro automobilistico (art. 86, D.P.R. 602/1973).
L’unico immobile di proprietà non può essere pignorato se adibito ad uso abitativo. Per gli altri immobili l’agente della riscossione non può procedere all’espropriazione immobiliare se il valore dei beni, diminuito delle passività ipotecarie aventi priorità sul credito per il quale si procede, è inferiore a 120.000 euro. L’espropriazione può essere avviata se è stata iscritta l’ipoteca e sono decorsi almeno sei mesi dall’iscrizione senza che il debito sia stato estinto (art. 76, D.P.R. 602/1973).
8 La concentrazione della riscossione nell’accertamento: i nuovi atti impo-esattivi
Orbene, l’art. 14 del D.Lgs. 110/2024, al fine di velocizzare e semplificare le attività di riscossione, ha ampliato la tipologia di atti ai quali si applica la procedura dell’accertamento esecutivo, senza che sia necessaria l’emissione del ruolo e la conseguente notifica della cartella di pagamento:
1. atti di recupero dei crediti non spettanti o inesistenti in tutto o in parte in compensazione;
2. avvisi e atti relativi al recupero di tasse, imposte e importi non versati, inclusi quelli riguardanti contributi e agevolazioni fiscale fruiti indebitamente o cessioni di crediti di imposta effettuate in assenza dei requisiti di legge; 3. atti di irrogazione di sanzioni amministrative ai sensi degli artt. 16bis e 17 del D.Lgs. 472/1997;
4. avvisi di rettifica e liquidazione in materia di imposta di registro e di imposta sulle successioni e donazioni;
5. avvisi di accertamento in materia di imposta sulle successioni, in caso di omessa presenta zione della dichiarazione di successione;
6. avvisi di accertamento e rettifica in materia di imposta sulle assicurazioni;
7. avvisi di liquidazione dell’imposta e irrogazione delle sanzioni nei casi di omesso o tardivo versamento e di omessa presentazione delle relative dichiarazioni nonché nei casi riguardanti la decadenza dalle agevolazioni per i seguenti tributi: imposta di registro; imposte ipotecaria e catastale; imposta sulle successioni e donazioni; imposta sostitutiva sui finanziamenti; imposta di bollo;
8. atti di accertamento per omesso, insufficiente o tardivo pagamento delle tasse automobilistiche erariali e dell’addizionale erariale della tassa automobilistica.
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La definizione agevolata dei carichi affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 30 giugno 2022 (cd. rottamazione-quater)
I commi da 231 a 252 della L. 197/2022 introducono una forma di rottamazione, che ripropone solo in parte le disposizioni delle precedenti rottamazioni. È compito dell’agente della riscossione comunicare al contribuente entro il 30 settembre 2023 l’importo totale delle somme dovute e quello delle singole rate, con le relative scadenze. In seguito, entro il 31 dicembre 2028, l’agente dovrà comunicare agli enti creditori l’elenco dei soggetti che hanno aderito alla definizione con i relativi codici tributo utilizzati.
A seguito del pagamento dell’unica o della prima rata, vengono estinte le procedure esecutive avviate in precedenza.
10 .Le vicende del credito di imposta
10.1 La prescrizione e la decadenza
Il tempo, ovviamente, influisce sulle vicende del credito di imposta, che può essere modificato o addirittura estinto in conseguenza del suo decorrere.
La legge prevede infatti: — la decadenza: per i termini stabiliti per la procedura tributaria; — la prescrizione: per tutti gli atti che seguono al momento in cui il credito è ormai liquido ed esigibile. Sono prescrivibili sia il credito della pubblica amministrazione sia il diritto al rimborso da parte del privato.
I termini a partire dai quali ha inizio la prescrizione — che può anche essere sospesa o interrotta — possono decorrere: — dal verificarsi del presupposto d’imposta o dalla data di presentazione della dichiarazione (a seconda del fatto che viene considerato generatore del tributo); — dall’atto di imposizione per chi ricollega a detto atto il sorgere dell’obbligazione.
10.2 Le garanzie
In molti casi il contribuente non assolve con immediatezza al pagamento delle somme dovute all’erario.
La norma può chiedere al contribuente di produrre delle garanzie, che possono consistere in una fidejussione o in un deposito cauzionale o perfino in un’ipoteca sugli immobili: tali garanzie sono previste soprattutto quando il contribuente chiede ingenti rimborsi d’imposta. Altre volte il diritto di credito dell’ente è privilegiato, nel senso che la legge d’imposta costituisce causa legittima di prelazione che esclude l’eguaglianza nel concorso dei diritti dei creditori a soddisfarsi sui beni del debitore. Il privilegio si concreta al momento della realizzazione coattiva del credito, come diritto di essere pagati sul ricavato a preferenza degli altri creditori, in considerazione della particolare causa del credito. In base al dettato del codice civile, occorre distinguere tra privilegio generale, che è efficace solo contro il debitore e non può ledere i terzi che hanno diritti sui mobili oggetto di privilegio, e il privilegio speciale, che ha un diritto di seguito per il quale prevale sul diritto dei terzi che hanno acquistato il bene dopo la costituzione del privilegio. Le norme tributarie dettano regole e pongono limiti all’utilizzo dell’istituto, che deve essere applicato tenendo conto della tipologia di tributo da garantire: — i tributi applicati su determinati beni godono di privilegio speciale (es. tasse automobilistiche e altri tributi indiretti); — i tributi diretti e l’IVA godono di privilegio generale. Solo per i tributi diretti legati a redditi fondiari si applica il privilegio speciale.
11 I rimborsi d’imposta
Il rimborso d’imposta, su istanza o d’ufficio) consiste, pertanto, nella restituzione al contribuente di somme che l’Amministrazione finanziaria ha indebitamente percepito.
11.1 Il rimborso su istanza del contribuente
L’istanza di rimborso può essere presentata dal soggetto che abbia effettuato dei versamenti, sia spontaneamente, sia sulla base di un atto impositivo dell’amministrazione finanziaria, se ritiene indebiti tali pagamenti in tutto o in parte. La presentazione dell’istanza è chiaramente soggetta a precisi termini di decadenza stabiliti di volta in volta dalle singole leggi d’imposta.
11.2 Il rimborso d’ufficio
Il rimborso d’ufficio, cioè quello eseguito dall’Amministrazione finanziaria autonomamente e non sulla base di un’apposita istanza presentata dal contribuente,
11.3 Il recupero di somme erroneamente rimborsate e di crediti indebitamente utilizzati
Le somme erroneamente rimborsate e gli interessi eventualmente corrisposti possono essere recuperati, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui fu eseguito il rimborso o, se più ampio, non oltre il termine previsto ex art. 43, D.P.R. 600/1973 per la notificazione degli avvisi di accertamento.
Per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati, in tutto in parte, l’Agenzia delle entrare può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità di cui all’art. 60, D.P.R. 600/1973.
11.4 Le nuove regole per gli atti di recupero di crediti non spettanti o inesistenti
L’art. 38bis del D.P.R. 600/1973 (introdotto dal D.Lgs. 13/2024), al fine di razionalizzare il procedimento di recupero dei crediti, sia non spettanti che inesistenti, utilizzati indebitamente in compensazione, ha previsto un unico procedimento accertativo, indipendentemente dalla natura del credito indebitamente utilizzato in compensazione. Tale procedimento è applicabile agli atti emessi a partire dal 30 aprile 2024
11.5 I rimborsi tramite il conto fiscale
Il conto fiscale (art. 78, commi 27-38, L. 413/1991) è uno strumento messo a disposizione dei contribuenti titolari di partita IVA per regolare i rapporti creditori o debitori con l’Amministrazione finanziaria. La richiesta non può superare il limite di 2 milioni di euro per ciascun anno solare. Mentre la gestione del conto è affidata all’agente della riscossione, tutte le operazioni di apertura e chiusura dei conti sono affidate alle Direzioni provinciali dell’Agenzia delle entrate.
12 Le garanzie a favore della Pubblica Amministrazione
Diverse sono le forme di garanzia cui può far ricorso l’amministrazione finanziaria sia al fine di tutelarsi dal rischio di richieste di rimborso che possano in seguito rivelarsi indebite, sia per evitare di corrispondere somme a chi a sua volta è debitore dell’erario.
L’art. 38bis del D.P.R. 633/1972 stabilisce che il contribuente può, su richiesta effettuata in sede di dichiarazione annuale, ottenere — entro tre mesi dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione — il rimborso dell’IVA versata in eccedenza, se di ammontare superiore ai 30.000 euro, prestando, contestualmente all’esecuzione del rimborso, in alternativa: — cauzione in titoli di Stato o garantiti dallo Stato; — fideiussione rilasciata da un istituto di credito o da un’impresa commerciale che offra garanzie di solvibilità; — polizza fideiussoria rilasciata da una compagnia di assicurazione. L’obbligo di prestare la garanzia è previsto, tuttavia, per importi superiori a 30.000 euro non solo se non si presenta il visto di conformità e la dichiarazione sostitutiva ma anche se il rimborso è richiesto dai cosiddetti contribuenti «a rischio» ( è il caso dei soggetti passivi che esercitano un’attività di impresa da meno di due anni diversi dalle start-up).
13 I pagamenti delle Pubbliche Amministrazioni
Ai sensi dell’art. 48bis del D.P.R. 602/1973 le Pubbliche Amministrazioni prima di effettuare il pagamento di un importo superiore a euro 5.000 verificano, anche telematicamente, se il beneficiario è inadempiente dell’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a detto importo e, in caso affermativo, non procedono al pagamento e segnalano la circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo.
Capitolo 10 Le sanzioni tributarie
1 Le violazioni tributarie
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La violazione degli obblighi e l’illecito tributario
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La violazione di obblighi tributari determina l’irrogazione di sanzioni quando non viene svolta l’iniziativa che la legge lascia al singolo contribuente per l’adempimento dell’obbligazione tributaria. Tali sanzioni di solito hanno prevalentemente natura amministrativa salvo la previsione di fattispecie penali.
Accanto alla sanzione principale legata alla frode fiscale, all’evasione o all’elusione del tributo concorrono anche sanzioni accessorie. Non sempre l’evasione è l’elemento costitutivo dell’illecito tributario: talvolta, infatti, essa rappresenta un elemento eventuale o successivo all’illecito o costituisce un’aggravante (ad es. la legge sanziona l’omessa presentazione della dichiarazione, indipendentemente dall’effettiva evasione: la sanzione, infatti, viene aumentata qualora, dalla dichiarazione omessa, emerga un debito d’imposta). La forma più grave di illecito prevista dalla legge tributaria è la cd. frode fiscale che scaturisce da un comportamento positivo del soggetto, diretto, con frode e artifici, all’evasione del tributo.
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Il nuovo Testo Unico sulle sanzioni e sui reati tributari
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In attuazione dei principi fissati dall’art. 20 della L. 111/2023, che ha delegato il Governo alla riforma del sistema fiscale, è stato emanato il D.Lgs. 87/2024. Obiettivo principale della riforma è la razionalizzazione del sistema sanzionatorio, al fine di renderlo più equo e proporzionato, adeguandolo inoltre ai parametri degli altri Paesi europei, anche nell’ottica di favorire l’attrazione di capitali e imprese estere.
In applicazione del principio recato dall’art. 21 della L. 111/2023, al fine di coordinare sotto il profilo formale e sostanziale le norme vigenti, il Governo, con D.Lgs. 5-11-2024, n. 173, ha approvato il nuovo Testo Unico sulle sanzioni e sui reati tributari. Seppur vigenti dal 29-11-2024, le disposizioni troveranno applicazione a partire dal 1° gennaio 2026, come disposto dall’art. 102 del Testo Uni
Il sistema sanzionatorio amministrativo
2.2 Le sanzioni amministrative
Il punto di partenza dell’attuale sistema sanzionatorio amministrativo, in particolare delle disposizioni generali, è costituito dalla surrogazione della pena pecuniaria e della soprattassa con la sanzione pecuniaria e le sanzioni accessorie (art. 2, D.Lgs. 472/1997). La sanzione pecuniaria, che consiste nel pagamento di una somma di denaro improduttiva di interessi, è inflitta a chi abbia commesso la violazione da solo o in concorso con altre persone. Essa può essere determinata in misura fissa, o tra un limite minimo e un limite massimo.
Principio di legalità
Solo la legge può comminare sanzioni (e non l’Autorità amministrativa). Deve trattarsi di una legge entrata in vigore prima della violazione da parte del singolo (divieto di retroattività). La retroattività, comunque, subisce un’eccezione in base al principio del favor rei per il quale, in presenza di due normative (una in vigore al tempo della commissione del fatto e una posteriore), si deve applicare quella più favorevole al contravventore, salvo che il provvedimento di irrogazione non sia divenuto definitivo. Solo la legge deve prevedere sia l’entità delle sanzioni che le singole fattispecie sanzionabili (principio della tassatività della previsione sanzionatoria).
2.4 Il principio di proporzionalità
L’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 87/2024 ha introdotto nel corpo dell’art. 3 del D.Lgs. 472/1997, il comma 3bis, il quale statuisce che la disciplina delle violazioni e sanzioni tributarie è improntata al principio di proporzionalità e offensività.
2.5 Il principio di imputabilità
L’art. 4 del D.Lgs. 472/1997 stabilisce che non può essere assoggettato a sanzione chi al momento della commissione del fatto era, in base ai criteri indicati nel codice penale, incapace di intendere e di volere
2.6 Il principio di colpevolezza
In base all’art. 5 del D.Lgs. 472/1997 per le violazioni punite con sanzioni amministrative ciascuno dei trasgressori risponde della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa (personalizzazione della sanzione).
2.7 Le cause di non punibilità e la tutela dell’affidamento e della buona fede del contribuente
L’art. 6 del D.Lgs. 472/1997 prevede la non punibilità dell’agente nelle ipotesi di: — errore di fatto, che si verifica nel caso in cui un soggetto ritiene di tenere un comportamento diverso da quello vietato dalla norma sanzionatoria; — forza maggiore, che si verifica nel caso in cui si è costretti a commettere la violazione a causa di un evento imprevisto e imprevedibile; — incertezza dovuta alla scarsa chiarezza o indeterminatezza di norme, richieste di informazioni e modelli per la dichiarazione e il pagamento. Si ha obiettiva incertezza quando ci si trova di fronte a norme di complessa formulazione tali da consentire diverse interpretazioni e da non permettere, in un determinato momento, l’individuazione certa dell’esatto significato.
A norma dell’introdotto comma 5ter dell’articolo in commento, non è punibile il contribuente che si adegua alle indicazioni rese dall’Amministrazione competente con i documenti di prassi (circolari interpretative e applicative, risoluzioni, consulenze giuridiche ecc.), provvedendo, entro i successivi sessanta giorni dalla data di pubblicazione delle stesse, alla presentazione della dichiarazione integrativa e al versamento dell’imposta dovuta, sempreché la violazione sia dipesa da obiettive condizioni d’incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria.
2.8 I criteri di determinazione della sanzione
A norma dell’art. 7 del D.Lgs. 472/1997, la determinazione della sanzione è effettuata in ragione del principio di proporzionalità (v. supra, par. 2.4) avendo riguardo alla gravità della violazione desunta anche dalla condotta dell’agente, all’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze, nonché alla sua personalità e alle condizioni economiche e sociali.
2.9 L’intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi
L’obbligazione al pagamento della sanzione non si trasmette agli eredi.
2.10 Il concorso di persone e la figura dell’autore mediato
Il concorso di più soggetti in una violazione, comporta, per ciascuno, la punibilità con la sanzione disposta per quella fattispecie (art. 9, D.Lgs. 472/1997). In tal modo, si mira a scoraggiare possibili connivenze di vario tipo tese a favorire l’evasione.
2.11 I responsabili per la sanzione amministrativa
L’art. 11 del D.Lgs. 472/1997 (come modificato dal D.Lgs. 87/2024) dispone che nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo è commessa dal dipendente o dal rappresentante legale o negoziale di una persona fisica nell’adempimento del suo ufficio o del suo mandato, l’autore della violazione e la persona fisica nell’interesse della quale quest’ultimo ha agito sono solidalmente responsabili al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso.
Se la violazione non è commessa con dolo o colpa grave, la sanzione applicabile nei con fronti dell’autore della violazione che non ne abbia tratto diretto vantaggio non può eccedere i 50.000 euro , anche tenuto conto degli aumenti previsti per la recidiva, il concorso di violazioni e la continuazione, salvo quanto disposto dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, e salva, per l’intero, la responsabilità prevista a carico della persona fisica nell’interesse della quale ha agito l’autore della violazione (comma 1).
2.12 Il concorso di violazioni e le violazioni continuate
E’ punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi, con una sola azione od omissione, viola diverse disposizioni relative anche a tributi differenti ovvero chi commette, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni della medesima disposizione, con esclusione delle violazioni concernenti gli obblighi di pagamento e le indebite compensazioni. Lo stesso tipo di sanzione è inflitto a chi, anche in tempi diversi, commette in progressione e con la medesima risoluzione più violazioni in modo da compromettere la determinazione dell’imponibile o la liquidazione anche periodica del tributo.
2.13 Il ravvedimento
Attraverso l’istituto del ravvedimento (art. 13, D.Lgs 472/1997) il trasgressore può, con il pagamento di una sanzione minima e regolarizzando la propria posizione nei termini stabiliti dalla legge, rimediare alle inadempienze precedentemente commesse.
L’istituto del ravvedimento è esteso a tutti i tributi inclusi quelli locali. Il ravvedimento è esperibile in assenza di contestazione della violazione o di attività di accertamento; in tal modo, si mira a premiare il comportamento spontaneo del soggetto. In linea di principio la sanzione può essere ridotta a condizione che la violazione non sia stata già constatata e non sono iniziati accessi, ispezioni o verifiche o altre attività di accertamento delle quali siano formalmente a conoscenza l’autore o gli altri eventuali corresponsabili
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I rapporti tra sistema sanzionatorio penale e sistema sanziona torio amministrativo: il principio di specialità
L’art. 19 del D.Lgs. 74/2000 regola il principio di specialità in virtù del quale se lo stesso illecito è sanzionato sia dal punto di vista amministrativo, sia dal punto di vista penale, si applica la disposizione speciale.
In n generale dal confronto tra sanzioni amministrative e sanzioni penali, le norme penali pr sentano un elemento in più, «il dolo», per cui di regola la norma penale è da ritenersi speciale rispetto a quella amministrativa. Quindi, il principio di specialità, secondo l’attuale legislazione, comporta sempre l’applicazione della sanzione penale
6 I rapporti tra procedimento penale e processo tributario
L’art. 20 del D.Lgs. 74/2000 sancisce l’indipendenza tra il procedimento penale e quello amministrativo.
Il D.Lgs. 87/2024 ha inserito nell’art. 20 il comma 1bis, oltre a introdurre il nuovo art. 21bis, che costituisce una rilevante deroga al sistema del doppio binario. Secondo la nuova disposizione «le sentenze rese nel processo tributario divenute irrevocabili e gli atti di definitivo accertamento delle imposte in sede amministrativa, anche a seguito di adesione, aventi a oggetto violazioni derivanti dai medesimi fatti per cui è stata esercitata l’azione penale, possono essere acquisiti nel processo penale ai fini della prova del fatto in essi accertato».
L’art. 21ter del D.Lgs. 74/2000, introdotto dal D.Lgs. 87/2024, ha lo scopo di rafforzare l’integrazione tra il sistema sanzionatorio amministrativo e quello penale dando piena applicazione al principio del ne bis in idem. La disposizione prevede che se per il medesimo fatto viene applicata a carico del responsabile una sanzione penale ovvero una sanzione amministrativa (o una sanzione amministrativa dipendente da reato), il giudice o l’autorità amministrativa competente — all’atto della determinazione della sanzione di propria competenza al fine di ridurne la misura da applicare, deve tener conto delle sanzioni già irrogate con provvedimento o con sentenza resi in via definitiva.
L’impianto di riferimento del sistema penale tributario rimane sempre il D.Lgs. 74/2000.. In particolare, il nucleo centrale del sistema sanzionatorio, come delineato dal D.Lgs. 74/2000, è costituito dalle seguenti tre figure d’illecito:
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dichiarazione fraudolenta che è la dichiarazione non soltanto ingannevole, ma caratterizzata da un alto coefficiente d’insidiosità. La fattispecie si verifica quando la dichiarazione è supportata da un impianto contabile, o più genericamente documentale, atto a sviare od ostacolare la successiva attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria o, comun que, ad accreditare la mendacità dei dati contenuti in essa. Il legislatore ha individuato due ipotesi di dichiarazione fraudolenta: — falsa dichiarazione fondata sull’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. 74/2000) che ricorre se ci si avvale di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria;
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falsa dichiarazione fondata su artifici diversi (art. 3, D.Lgs. 74/2000). In tale ipotesi il delitto si consuma solo in presenza di due condizioni congiunte: l’imposta evasa per singola imposta è superiore a 30.000 euro; l’ammontare degli elementi attivi sottratti all’imposizione supera il 5% degli elementi attivi complessivamente esposti in dichiarazione o è comunque superiore a 1,5 milioni di euro, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei, è superiore al 5% dell’ammon tare dell’imposta medesima o comunque a 30.000 euro;
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dichiarazione infedele (art. 4), caratterizzata dalla semplice sottrazione di materia imponibile e di imposta senza condotta fraudolenta. In tale ipotesi il delitto si consuma solo in presenza di due condizioni congiunte: l’imposta evasa per singola imposta è superiore a 100.000 euro; l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a 2 milioni di euro;
— omessa dichiarazione (art. 5), in caso di mancata presentazione della stessa quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte (IRPEF, IRES, IVA) a 50.000 euro. Alle fattispecie criminose di cui sopra, sono associate: — l’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi l’evasione (artt. 8 e 9);
— l’occultamento o la distruzione di documenti contabili in modo da non consentire la rico struzione dei redditi o del volume d’affari (art. 10);
— l’omesso versamento di ritenute certificate dai sostituti, per un ammontare superiore a 150.000 euro per ciascun periodo di imposta (art. 10bis);
— l’omesso versamento IVA per un ammontare superiore a 250.000 euro (art. 10ter);
— l’utilizzazione in compensazione di crediti non spettanti o inesistenti per un ammontare superiore a 50.000 euro (art. 10quater);
— la sottrazione alla riscossione coattiva delle imposte, mediante compimento di atti fraudolenti su propri o altrui beni (art. 11, comma 1);
— la sottrazione parziale alla riscossione delle imposte, mediante la presentazione di elementi fittizi nella documentazione presentata ai fini della procedura di transazione dei debiti tributari (art. 11, comma 2). Per ciascun reato sono previste sanzioni penali variabili da un minimo ad un massimo; la misura della pena è commisurata alla diversa pericolosità sociale della violazione. Allo scopo di limitare il ricorso alla sanzione penale e di creare un deflatore dei processi penali, sono previste (eccezion fatta per la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, emissione di tali documenti e occultamento o distruzione di scritture contabili) soglie di punibilità che riducono l’intervento punitivo ai soli illeciti di significativo rilievo economico.
Capitolo 11 Il contenzioso tributario
1 Le riforme del contenzioso tributario
Il contenzioso tributario, precedentemente disciplinato dal D.P.R. 636/1972, è stato da tempo innovato dai decreti legislativi n. 545 e n. 546 emanati il 31-12-1992, che regolano rispettivamente l’ordinamento interno delle Commissioni tributarie (che, come meglio si vedrà in seguito, sono ora diventate Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado) e il processo tributario.
Sulla base dei principi e criteri direttivi contenuti nell’art. 21, comma 1, L. 111/2023 (Legge delega di riforma del sistema fiscale) è stato emanato Il D.Lgs. 14-11-2024, n. 175 recante il Testo unico della giustizia tributaria. Il testo raccoglie in un unico corpus le norme in materia di giurisdizione e processo tribu ario e si pone come obiettivo la ricognizione della normativa vigente in materia .
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Gli organi della giurisdizione tributaria e i gradi di giudizio
Gli organi speciali della giurisdizione tributaria sono: — le Corti di giustizia tributaria di primo grado (ex Commissioni tributarie provinciali), con sede in ogni capoluogo di provincia e competenza nell’ambito del territorio provinciale cui è demandato il giudizio di primo grado; — le Corti di giustizia tributaria di secondo grado (ex Commissioni tributarie regionali), con sede in ogni capoluogo di regione e competenza nell’ambito del territorio regionale, cui è demandato il giudizio di appello. Rimane salvo l’ulteriore ricorso alla Corte di Cassazione per motivi attinenti alla giurisdi zione e alla competenza, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto, per nullità della sentenza o del procedimento, per insufficiente, omessa o contraddittoria motivazione.
3. L’oggetto della giurisdizione tributaria
La competenza delle Corti di giustizia tributaria è molto ampia: si tratta — come si evince dall’art. 2 del D.Lgs. 546/1992 — di una giurisdizione piena, perché estesa ai tributi di ogni genere e specie, inclusi quelli regionali, provinciali e comunali. La norma prevede, in particolare, che rientrano nella competenza della giurisdizione tribu taria anche le controversie in materia di sovraimposte e addizionali e sanzioni amministrative nonché interessi e ogni altro accessorio. Sono, invece, escluse dalla giurisdizione tributaria, per cui rientrano nella competenza del giudice ordinario, le vertenze che riguardano gli atti dell’esecuzione forzata successivi alla notifica delle cartelle di pagamento o degli avvisi che contengono l’intimazione ad adempiere l’obbligazione scaturente dal ruolo. Appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario anche le cause di opposizione di terzo nonché quelle proposte contro l’agente della riscossione.
4 Le parti in giudizio, loro rappresentanza e assistenza
Sono parti al processo dinanzi alle Corti di giustizia tributarie, oltre al ricorrente (ossia il cittadino che si rivolge alla pubblica amministrazione per ottenere la rimozione di atti ritenuti illegittimi): l’Ufficio dell’Agenzia delle entrate e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, l’agente della riscossione e i soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 del D.Lgs. 446/1997 che hanno emanato l’atto impugnato o non hanno emanato l’atto richiesto ovvero, se l’ufficio è un’articolazione dell’Agenzia delle entrate, con competenza su tutto o parte del territorio nazionale è parte l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso (art. 10, D.Lgs. 546/1992).
5 Il processo tributario telematico (PTT)
Dal 15 luglio 2017 il processo tributario telematico (PTT) è stato attivato su tutto il territorio nazionale ma su base volontaria. Successivamente, è intervenuto il D.L. 119/2018 che all’art. 16 ha previsto l’obbligatorietà del PTT a far data dal 1° luglio 2019. Gli utenti devono registrarsi attraverso il portale dedicato, accedere al sistema informativo della Giustizia Tributaria e depositare atti e documenti processuali già notificati all’altra parte. È, inoltre, possibile per tutti gli attori del processo (contribuenti, professionisti, enti impositori e giudici) collegarsi via internet e consultare il fascicolo processuale.
Il regime telematico è obbligatorio per tutti, salvo i cd. «casi eccezionali» disciplinati dal com ma 2 dell’art. 16bis del D.Lgs 546/1992. Si tratta di: mancata indicazione dell’indirizzo PEC del difensore e della parte laddove tale indirizzo non sia reperibile nei pubblici elenchi; dell’ipotesi di mancata consegna del messaggio PEC per cause imputabili al destinatario. In questi casi le comunicazioni vanno eseguite esclusivamente con il deposito presso la segreteria della Corte di giustizia tributaria competente.
È ora possibile nel rito tributario svolgere udienze a distanza: in pratica, ciascuna delle parti, nel ricorso o nel primo atto difensivo, può richiedere tale metodica. L’udienza ha luogo mediante collegamento audiovisivo tra l’aula e il domicilio indicato dal richiedente e deve essere garantita la possibilità di ascoltare tutto ciò che viene detto nei due luoghi e di vedere tutte le persone ivi presenti.
6 Il ricorso
Qualora un contribuente ritenga illegittimo o comunque lesivo dei propri diritti un atto impositivo (avviso di accertamento, avviso di liquidazione, ruolo e cartella esattoriale, avviso di mora ecc.) può resistere alla pretesa erariale mediante il ricorso, da presentarsi alla Corte di giustizia tributaria di primo grado, salva la continuazione del giudizio nei gradi successivi (art. 18, D.Lgs. 546/1992).
Il ricorso, da proporsi entro 60 giorni dalla notificazione dell’atto impugnato alla controparte, deve contenere l’indicazione: — della Corte di giustizia tributaria cui è diretto; — del ricorrente e del suo legale rappresentante, della relativa residenza o sede legale o del domicilio eventualmente eletto nel territorio dello Stato, nonché del codice fiscale e dell’indirizzo di posta elettronica certificata; — dell’ufficio nei cui confronti il ricorso è proposto; — dell’atto impugnato e dell’oggetto della domanda; — dei motivi.
7 La trattazione e la decisione della controversia
La controversia è trattata in Camera di consiglio: tuttavia, ognuna delle parti, entro il termine di dieci giorni liberi prima dell’udienza (termine previsto per il deposito di memorie), potrà chiedere, con apposita istanza inviata telematicamente alla segreteria e alle altre parti costituite, la discussione in pubblica udienza. Di tutto quanto avviene in udienza o in Camera di consiglio verrà redatto processo verbale da parte del segretario. Tale verbale avrà efficacia probatoria privilegiata fino a querela di falso.
A decorrere dai ricorsi notificati dal 16 settembre 2022, pur continuando ad essere non ammesso il giuramento, viene riconosciuta ai giudici la possibilità di ammettere la prova testimoniale, se ritenuta necessaria ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti. La prova testimoniale deve essere assunta con le forme della testimonianza scritta, di cui all’articolo 257bis del c.p.
L’atto conclusivo del processo tributario è la sentenza. La formula della pronuncia è quella solenne dell’art. 132 c.p.c
L’art. 47ter del D.Lgs. 546/1992, introdotto dal D.Lgs. 220/2023, prevede che il collegio — in sede di esame della domanda cautelare — possa decidere di valutare anche il merito della que stione ed emettere la relativa sentenza in forma semplificata.
8 La sospensione, l’interruzione e la prosecuzione del process0
L’art. 39 del D.Lgs. 546/1992 regola l’istituto della sospensione del processo. In particolare questo articolo circoscrive i limiti per la sospensione del processo, ammettendola quando è presentata querela di falso e quando debba essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio. Quindi in caso di pendenza di una causa pregiudiziale davanti al giudice civile, il processo tributario deve essere sospeso solo nei casi indicati dal succitato articolo. Si tratta, infatti, di questioni che possono essere decise solo dal tribunale ordinario al quale bisognerà pertanto rinviare la causa.
L’interruzione del processo si verifica ogni qualvolta si presentano fatti tali da compromettere la regolarità del contraddittorio, essendo una delle parti impossibilitata a svolgere le proprie difese (art. 40, D.Lgs. 546/1992).
Il processo può estinguersi per: — rinuncia al ricorso; — inattività delle parti; — definizione della pendenza tibutaria; — cessazione della materia del contendere
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La sospensione dell’atto impugnato
Attualmente coesistono due tipi di sospensione: giudiziale e amministrativa. Il ricorrente può, pertanto, chiedere la sospensione dell’atto impugnato sia davanti al giudice tributario, sia alla Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate
La sospensione giudiziale disciplinata dall’art. 47 del D.Lgs. 546/1992 può essere proposta per gli avvisi di accertamento, di liquidazione del tributo, di riscossione, di esecuzione sia per le imposte dirette che indirette
10. La sospensione amministrativa.
Oltre la sospensione giudiziale il ricorrente può chiedere anche la sospensione amministrativa. In tal caso, l’istanza va inoltrata alla Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate. La sospensione in via amministrativa può essere chiesta sia per le imposte dirette che indi rette, ivi compresa l’imposta sul valore aggiunto. Il ricorrente potrà richiedere alternativamente, o contemporaneamente, le due sospensioni. Nell’ipotesi in cui ne venga concessa una si determinerà l’arresto dell’altro eventuale procedi mento (amministrativo o giudiziale)
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La conciliazione giudiziale
L’istituto della conciliazione giudiziale è volto a definire in via preventiva le controversie. Tale istituto, disciplinato negli artt. 48, 48bis e 48ter, D.Lgs. 546/1992, è applicabile sia ai giudizi pendenti dinanzi le Corti di giustizia tributarie di primo grado sia a quelli pendenti davanti alle Corti di giustizia tributarie di secondo grado. Anche questo istituto è stato profondamente innovato dalla L. 130/2022, per renderlo mag giormente efficace e adeguato alle esigenze processuali; tra l’altro, è stato previsto che ora anche la Corte possa formulare una proposta conciliativa (art. 48bis.1)
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Le impugnazioni
La sentenza della Corte di giustizia tributaria di primo grado potrà essere impugnata, nel termine di sessanta giorni dalla notifica della stessa, a istanza di parte. Gli strumenti atti a impugnare le sentenze sono (art. 50, D.Lgs. 546/1992): — l’appello proposto alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado competente; — il ricorso per Cassazione; — la revocazione per le sentenze non ulteriormente impugnabili o non impugnate.
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La sospensione delle sentenze
Circa la possibilità di sospendere gli effetti della sentenza viene stabilito che — analogamente a quanto previsto nel processo civile — la parte ricorrente può richiedere direttamente alla Corte di giustizia tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata (sia in primo grado che in appello) di sospenderne in tutto o in parte l’esecutività allo scopo di evitare un danno grave e irreparabile. Il giudice può subordinare la sospensione a un’idonea garanzia.
16 La definizione agevolata delle controversie tributarie
L’art. 1, commi 186-205, della L. 197/2022 ha consentito di definire con modalità agevolate le controversie tributarie pendenti al 1° gennaio 2023, anche in Cassazione e a seguito di rinvio, in cui sono parte l’Agenzia delle entrate e l’Agenzia dei monopoli, che abbiano ad oggetto atti impositivi (avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni etc.), mediante il pagamento di un importo pari al valore della controversia. Gli importi dovuti variano in ragione del grado e del soggetto che ha vinto il ricorso.
In particolare: — in primo grado è stato possibile definire la lite con il pagamento del 90% del valore della controversia; — in secondo grado, se l’Agenzia fiscale ha perso in primo grado, è stato possibile chiudere la lite con il pagamento del 40% del valore della controversia; — se l’Agenzia ha perso in primo e secondo grado si è chiusa la lite con il pagamento del 15% del valore della controversia.
Capitolo 12 L’imposta sul reddito delle persone fisiche
1 L’evoluzione e i caratteri dell’imposta IRPEF
L’IRPEF è un’imposta sul reddito delle persone fisiche: — personale, perché tiene in considerazione tutta la situazione economica del contribuente; — generale, perché colpisce tutti i redditi della persona; — progressiva in quanto sono previste aliquote crescenti all’aumentare della base imponibile.
La legge di bilancio per il 2025 (L. 207/2024) ha stabilizzato il passaggio da quattro a tre aliquote IRPEF.
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Il presupposto del tributo e il periodo d’imposta
Presupposto dell’imposta in base all’art. 1 del TUIR è il possesso di redditi, in denaro o in natura,Il periodo d’imposta preso in esame ai fini IRPEF è l’anno solare: ad ogni anno corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma.
3 I soggetti passivi
Soggetti passivi del tributo sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato (art. 2 TUIR). L’imposta si applica: — per le persone fisiche residenti nel territorio dello Stato, su tutti i redditi posseduti; — per le persone fisiche non residenti nel territorio dello Stato, sui soli redditi prodotti nello Stato.
Possiamo perciò dedurre che non è la cittadinanza del contribuente, bensì la sua residenza a determinare la sfera di applicazione dell’imposta, la quale riguarda tutti i redditi comunque prodotti nel territorio dello Stato per i non residenti. L’art. 2 del TUIR — come modificato dall’art. 1, comma 1, D.Lgs. 209/2023 — determina la portata del concetto di residenza: esso stabilisce che, ai fini delle imposte dirette, si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la residenza ai sensi del codice civile o il domicilio nel territorio dello Stato ovvero sono ivi presenti
Marito e moglie (o parti dell’unione civile) sono soggetti autonomi di tributo: se esistono, quindi, dei beni familiari sottoposti ad un particolare regime, questi vanno imputati per metà a ciascun coniuge.
Per l’imputazione ai genitori dei redditi prodotti dai figli minori occorre distinguere a seconda che essi abbiano solo la titolarità o anche la disponibilità del reddito. Se la disponibilità è dei genitori, che hanno l’usufrutto legale del bene, i redditi relativi sono imputabili per metà a ciascuno di essi. Nel caso vi sia un solo genitore, o se l’usufrutto legale spetta ad un solo genitore, i redditi gli sono imputati per l’intero ammontare.
3.3 I redditi prodotti in forma associata
Anche i redditi prodotti dalle società di persone sono soggetti all’imposta sul reddito delle persone fisiche: il reddito è imputato — indipendentemente dall’effettiva percezione — a ciascun socio proporzionalmente alla sua quota di partecipazione (art. 5 TUIR). Soggetti passivi sono pertanto i singoli soci, non la società. Il reddito dell’impresa familiare va imputato a ogni collaboratore in proporzione alla sua partecipazione agli utili.
4 La base imponibile
L’imposta si applica — ai sensi dell’art. 3 del TUIR — sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10, compresa la deduzione spettante ai sensi del comma 3bis dello stesso articolo (abitazione principale) e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato. Concorrono alla formazione del reddito complessivo del soggetto, i redditi prodotti all’estero, anche se non goduti in Italia, posseduti da soggetti residenti, in relazione ai quali viene però riconosciuto per legge un credito d’imposta per i tributi pagati all’estero per evitare la cosiddetta doppia imposizione (art. 165 TUIR). Sono esclusi dall’ammontare imponibile i redditi soggetti a tassazione separata. Sono elencati in modo tassativo all’art. 17 del TUIR: tra essi figurano quelli derivanti dalle indennità percepite per cessazione di rapporto di lavoro dipendente, a meno che il contribuente non abbia optato, con riferimento a tali redditi, per la tassazione in modo ordinario nonché alcuni redditi individuati dal D.P.R. 601/1973 e da altre disposizioni legislative (cd. redditi esenti).
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Il reddito complessivo e le singole categorie di reddito
A norma dell’art. 8 del TUIR il reddito complessivo annuo è dato dalla somma dei redditi netti di ogni categoria diminuita dalle perdite derivanti dall’esercizio di arti e professioni.
Per l’applicazione dell’IRPEF i redditi vengono distinti nelle seguenti categorie (art. 6 TUIR): redditi fondiari; redditi di capitale; redditi di lavoro dipendente; redditi di lavoro autonomo; redditi di impresa; redditi diversi.
I proventi conseguiti in sostituzione dei redditi ricadenti nelle suddette categorie, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite per la perdita dei redditi, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti (comma 2). Il comma 3 dell’art. 6 contiene una presunzione assoluta: sono considerati redditi di impresa i redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e qualunque sia il loro oggetto sociale.
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I redditi fondiari
Sono «fondiari» i redditi inerenti ai terreni e ai fabbricati, situati nel territorio dello Stato, che sono o devono essere iscritti con attribuzione di rendita nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano (art. 25 TUIR). La tassazione di questi redditi è effettuata in base alle risultanze catastali: detti cespiti devono pertanto essere iscritti con attribuzione di rendita nel catasto e il loro reddito viene individuato in base a tariffe catastali. L’art. 8 del D.Lgs. 23/2011 stabilisce che non è dovuta l’IRPEF e le relative addizionali in relazione ai redditi fondiari relativi agli immobili non locati, ai quali si applica l’IMU.
I redditi fondiari possono essere di tre specie:
— reddito dominicale (artt. 27-31 TUIR), che è dato dal reddito medio ordinario che deriva dal possesso (a titolo di proprietà, enfiteusi o altro diritto reale) di terreni idonei alla produzione agricola. In pratica il reddito dominicale è quello derivante dalla terra nel suo stato naturale (rendita) e dai capitali in essa stabilmente investiti. Il reddito dominicale si determina mediante l’applicazione delle tariffe d’estimo stabilite dalla legge catastale per ciascuna qualità e classe di terreno;
— reddito agrario (artt. 32-35 TUIR), il quale è dato dal reddito medio ordinario imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati nell’esercizio di attività agricole. Pertanto, mentre il reddito dominicale presuppone la mera esistenza di un diritto reale sui terreni, quello agrario deriva dall’effettivo esercizio di una attività agricola sui terreni stessi. Anche il reddito agrario è calcolato applicando le tariffe d’estimo fissate nella legge catastale e sottoposte a revisione periodica;
— reddito dei fabbricati (artt. 36-43 TUIR), dato dal reddito medio ordinario ritraibile da ciascuna unità immobiliare urbana posseduta a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale. Il reddito medio ordinario dei fabbricati è determinato secondo la rendita risultante in catasto per le unità immobiliari e mediante stima diretta per i fabbricati a destinazione speciale o particolare.
Il D.Lgs. 23/2011 contempla la possibilità di applicare un’imposta sostitutiva all’IRPEF sui redditi da locazione di immobili (cd. cedolare secca))
7 I redditi di capitale
Le caratteristiche comuni e l’individuazione dei redditi di capitale Il legislatore non ha fornito una definizione dei redditi di capitale ma si è limitato ad elencare nell’art. 44 del TUIR le tipologie reddituali ricadenti in tale categoria. Le caratteristiche che accomunano tali redditi possono comunque così sintetizzarsi:
— si tratta di proventi, in denaro o in natura, derivanti dall’impiego di denaro od altri beni;
— non sono percepiti nell’esercizio di attività di impresa (altrimenti sarebbero componenti di reddito d’impresa); — sono generalmente tassati alla fonte, ossia è il soggetto che li eroga ad effettuare una ritenuta (a titolo definitivo o di acconto) o ad assoggettarli ad imposta sostitutiva. I redditi di capitale sono tassati in base al principio d’imputazione per cassa: essi sono, infatti, parte del reddito complessivo per il periodo d’imposta in cui sono stati percepiti, senza alcuna deduzione.
8 I redditi di lavoro dipendente
È reddito di lavoro dipendente quello che deriva da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro (art. 49 TUIR). Costituiscono redditi di lavoro dipendente anche le pensioni di ogni genere, gli assegni ad esse equiparati e le somme di rivalutazione monetaria dei crediti di lavoro.
Ai sensi dell’art. 51 del TUIR, il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, in relazione al rapporto di lavoro, anche sotto forma di erogazioni liberali. Rientrano nei redditi di lavoro dipendente, inoltre, i cd. fringe benefits ossia i compensi in natura (uso di autovetture aziendali, doni in natura, iscrizioni a club ecc.). I fringe benefits, tuttavia, non sono tassati fino all’importo di 258,23 euro; se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito.
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I redditi di lavoro autonomo
Sono tali i redditi che derivano dall’esercizio di arti o professioni. Per arti e professioni si intende l’esercizio abituale, anche se non esclusivo, di attività di lavoro autonomo diversa da quelle d’im presa, anche se esercitata in forma di associazione priva di personalità giuridica (art. 53 TUIR)
Tali redditi sono caratterizzati da alcuni elementi distintivi comuni: — esercizio di attività per professione abituale. L’abitualità assurge al rango di elemento distintivo del reddito di lavoro autonomo e lo distingue dai «redditi diversi» prodotti occasionalmente; — esercizio di attività diverse da quelle di impresa; — mancanza di vincolo di subordinazione
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I redditi di impresa
Il reddito d’impresa è quello che deriva dall’esercizio professionale e abituale, anche se non esclusivo, di una attività commerciale (art. 55 TUIR). Tale definizione, e conseguentemente quella di imprenditore, adottata dal legislatore fiscale, è più ampia di quella civilistica (art. 2195) intendendosi per esercizio di impresa commerciale anche l’esercizio delle seguenti attività commerciali ancorché non organizzate in forma di impresa: a) attività industriali dirette alla produzione di beni o di servizi; b) attività intermediarie nella circolazione di beni; c) attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; d) attività bancarie o assicurative; e) altre attività ausiliarie delle precedenti.
10 I redditi di impresa
L’impresa commerciale e le attività commerciali Il reddito d’impresa è quello che deriva dall’esercizio professionale e abituale, anche se non esclusivo, di una attività commerciale (art. 55 TUIR). Tale definizione, e conseguentemente quella di imprenditore, adottata dal legislatore fiscale, è più ampia di quella civilistica (art. 2195) intendendosi per esercizio di impresa commerciale anche l’esercizio delle seguenti attività commerciali ancorché non organizzate in forma di impresa: a) attività industriali dirette alla produzione di beni o di servizi; b) attività intermediarie nella circolazione di beni; c) attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; d) attività bancarie o assicurative; e) altre attività ausiliarie delle precedenti.
11 I redditi diversi
Nella categoria dei redditi diversi, menzionati nell’art. 67 del TUIR, il legislatore ha fatto confluire tutti quei redditi che non rientrano nelle categorie precedenti: è il caso, ad esempio, dei redditi derivanti dall’esercizio non abituale di attività di lavoro autonomo, per i quali manca il requisito dell’abitualità che caratterizza la produzione di lavoro autonomo.
Rientrano in tale categoria:
— alcune plusvalenze formatesi fuori dall’esercizio di attività di impresa (plusvalenze immobiliari derivanti dalla lottizzazione dei terreni; plusvalenze su titoli azionari; plusvalenze da cessione di contratti di associazione in partecipazione);
— alcuni redditi che non possono essere collocati in nessun altra categoria (redditi di immobili situati all’estero; redditi derivanti dall’utilizzazione di opere dell’ingegno; redditi di natura fondiaria quando non vi è rendita catastale).
12 I criteri di applicazione dell’IRPEF
La determinazione del reddito complessivo netto (base imponibile) è il risultato della sequenza di operazioni qui di seguito riprodotta:
Somma dei singoli redditi netti (con esclusione di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva e di quelli soggetti a tassazione separata).
(=) reddito complessivo lordo (–) oneri deducibili, compresa la deduzione per l’abitazione principale (ex art. 10 TUIR)
(=) reddito complessivo netto (base imponibile)
13 Il versamento dell’imposta
Una volta scomputate le ritenute operate dai terzi, il contribuente — per il conteggio definitivo dell’imposta da versare all’Erario — deve sottrarre dalla somma dovuta gli acconti d’imposta versati. Tali acconti sono dovuti per il periodo d’imposta in corso e sono pari ad una percentuale dell’imposta relativa all’anno precedente, quale risulta dalla dichiarazione dei redditi. L’acconto d’imposta è obbligatorio per coloro che hanno versato l’anno precedente un’imposta superiore a 51,65 euro: esso deve essere pari al 100% della somma versata l’anno precedente (art. 11, comma 18, D.L. 76/2013, conv. in L. 99/2013) e va corrisposto in due rate, a meno che la somma da versare alla scadenza della prima rata sia inferiore a 103 euro (art. 17, D.P.R. 435/2001). La prima rata è pari al 40% dell’intero acconto e va corrisposta entro il 30 giugno o entro il 30 luglio con una maggiorazione dello 0,40% di quanto dovuto); la seconda rata (60%) va versata tra il 1° ed il 30 novembre. Ai contribuenti, inoltre, è data facoltà di rateizzare gli importi da versare, sia a saldo che in acconto, con una maggiorazione dello 0,50% mensile (6% annuo).
Gli scaglioni e le aliquote attualmente in vigore sono quelli riportati nella seguente tabella.
SCAGLIONI DI REDDITO
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fino a 28.000 euro: aliquota 23%
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oltre 28.000 euro e fino a 50.000: aliquota euro 35%
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oltre 50.000 euro: aliquota 43%
L’imposta netta è, a sua volta, calcolata sottraendo da quella lorda le detrazioni per oneri sostenuti
Capitolo 13 L’imposta sul reddito delle società (IRES)
1 I caratteri dell’imposta
L’IRES si configura come imposta personale che colpisce con aliquota proporzionale (non progressiva) la capacità contributiva totale, ossia il reddito delle persone giuridiche ed enti assimilati.
Anche nell’IRES, come nell’IRPEF, esiste una diversa disciplina per i soggetti residenti, che sono tenuti al pagamento dell’imposta per i redditi dovunque prodotti, e per i non residenti, che sono obbligati per i soli redditi prodotti in Italia.
2L’IRES e la riforma fiscale
Anche l’IRES e, più in generale, la tassazione delle società ed enti equiparati è stata oggetto di una consistente revisione sulla base di quanto disposto dal D.Lgs. 192/2024 emanato in attuazione della legge delega di riforma del sistema fiscale (L. 111/2023. Una delle principali innovazioni riguarda la diminuzione delle differenze tra i criteri di valuta zione contabili e quelli fiscali, noto come “doppio binario”. Il decreto promuove un allineamento tra questi valori, riducendo la duplicazione dei criteri di valutazione e semplificando la determinazione del reddito imponibile
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Il presupposto, il periodo e l’aliquota di imposta
L’art. 72 del TUIR stabilisce che presupposto dell’imposta è il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell’art. 6. Reddito è dunque l’acquisizione di ricchezza: tale reddito, tuttavia, viene diversamente calcolato secondo i tipi di soggetti passivi dell’imposta. Esistono, infatti, normative differenziate per le società commerciali, per gli enti non aventi per oggetto esclusivo o principale l’attività commerciale e per le società ed enti non residenti. I criteri di territorialità sono gli stessi dell’IRPEF e il tributo è dovuto per periodi d’imposta. Il periodo d’imposta è costituito dall’esercizio o periodo di gestione della società o dell’ente, come risulta per legge o dall’atto costitutivo (art. 76, comma 1, TUIR).
In particolare se la durata dell’esercizio o del periodo non è determinata dalla legge o dall’atto costitutivo, o lo è in misura pari o superiore a due anni, il periodo d’imposta si intende costituito dall’anno solare (comma 2). Se il periodo d’imposta è superiore o inferiore a un anno occorre ragguagliare alla sua durata alcuni componenti positivi e negativi di reddito (comma 3). L’aliquota d’imposta, proporzionale e non progressiva, è fissata al 24% (art. 77 TUIR). Oltre all’aliquota ordinaria l’ordinamento prevede talune ipotesi di riduzione o maggiorazione dell’aliquota.
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I soggetti passivi
Ai sensi dell’art. 73 del TUIR devono considerarsi soggetti passivi dell’IRES:
a) le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, nonché le società europee e le società cooperative europee residenti nel territorio dello Stato;
b) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali;
c) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, i trust residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, nonché gli organismi di investimento collettivo del risparmio, residenti nel territorio dello Stato;
d) le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.
Il requisito della commercialità comporta che il soggetto abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali ossia di attività produttive di reddito d’impresa (art. 74 TUIR).
Non sono soggetti all’IRES, per espressa previsione normativa, gli organi e le amministrazioni dello Stato, inclusi quelli ad ordinamento autonomo, anche se dotati di personalità giuridica, i Comuni, le Unioni di Comun, i consorzi tra enti locali, le associazioni e gli enti gestori di demanio collettivo, le comunità montane, le Province e le Regioni. Lo stesso art. 74 stabilisce una presunzione assoluta di non configurazione dello svolgimento di attività commerciale per specifiche attività poste in essere da enti pubblici.
5 I criteri di determinazione del reddito
L’art. 75 del TUIR non dà una definizione di base imponibile, ma si limita a disporre che l’imposta si applica al reddito complessivo netto determinato con i criteri distintamente previsti per: — società ed enti commerciali residenti (capo II); — enti non commerciali residenti (capo III); — società e enti commerciali non residenti (capo IV); — enti non commerciali non residenti (capo V); — imprese marittime (capo VI)
Per gli enti non commerciali residenti — individuati dalla lett. c) dell’art. 73, comma 1 del TUIR — il reddito complessivo è dato dalla somma dei redditi fondiari, di capitale, di impresa e diversi ovunque prodotti e a prescindere dalla loro destinazione (art. 143 TUIR).
Il reddito complessivo delle società e degli enti commerciali e non commerciali non residenti — individuati dalla lett. d) dell’art. 73, comma 1 del TUIR — (artt. 151 e 153 TUIR) è formato soltanto dai redditi prodotti nel territorio dello Stato, ad esclusione di quelli esenti da imposta e di quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o ad imposta sostitutiva.
Per le società e gli enti commerciali non residenti con stabile organizzazione nel territorio dello Stato (art. 152 TUIR), il reddito della stabile organizzazione è determinato in base agli utili e alle perdite ad essa riferibili sulla base di un apposito rendiconto economico e patrimoniale, da redigersi secondo i principi contabili previsti per i soggetti residenti aventi le medesime caratteristiche.
Le norme dettate dagli artt. 155-161 del TUIR disciplinano la determinazione della base imponibile per alcune imprese marittime, la cosiddetta tonnage tax. Il sistema di tonnage tax è basato sulla determinazione forfetaria del reddito imponibile derivante dall’utilizzo delle imbarcazioni, per il quale le società di armamento (costituite sotto forma di società di capitali o società di persone, residenti nel territorio dello Stato) possono optare, in alternativa al regime ordinario.
6 Le disposizioni comuni a tutti i soggetti d’imposta
Dall’imposta, calcolata con l’aliquota del 24%, vanno scomputati, a norma dell’art. 79 del TUIR, i versamenti eseguiti dal contribuente in acconto d’imposta e le ritenute alla fonte a titolo di acconto ai sensi dell’art. 22 del TUIR. L’acconto IRES è dovuto se l’imposta relativa al periodo precedente è almeno pari a 20,66 euro (art. 1, comma 3, L. 97/1997). La misura dell’acconto IRES è pari al 100% dell’imposta relativa al periodo d’imposta prece dente (art. 1, comma 301, L. 311/2004). Ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, l’acconto IRES va effettuato in due rate se l’importo della prima rata supera 103 euro.
L’art. 58 del D.L. 124/2019 ha previsto che, per i soggetti che esercitano attività economiche per i quali sono stati approvati gli indici sintetici di affidabilità fiscale i versamenti di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e dell’imposta sul reddito delle società, nonché quelli relativi all’imposta regionale sulle attività produttive sono effettuati in due rate ciascuna nella misura del 50%.
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La tassazione di gruppo: i consolidati fiscali nazionale e mondiale
Gli articoli da 117 a 142 del TUIR disciplinano la tassazione consolidata sia nazionale che mondiale, la quale colpisce il risultato del gruppo considerato come un’entità economica. Il legislatore ha preferito optare per il consolidamento degli imponibili, piuttosto che adottare la tassazione sulla base del bilancio consolidato di gruppo, il quale avrebbe presentato maggiori difficoltà applicative. È, dunque, prevista la dichiarazione di una unica base imponibile nella quale vengono sommati algebricamente i redditi delle imprese appartenenti al gruppo, con conseguente compensazione tra redditi e perdite fiscali.
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Il regime di trasparenza fiscale
Gli artt. 115 e 116 del TUIR hanno introdotto, in analogia a quanto previsto per le società di persone, il regime di trasparenza fiscale per le società di capitali. La disciplina dell’istituto è stata poi integrata al D.M. 23-4-2004 che detta le disposizioni applicative. Optando per tale regime le società di capitali partecipate da altre società di capitali possono imputare il reddito complessivo prodotto direttamente a ciascun socio proporzionalmente alla partecipazione agli utili e indipendentemente dalla loro effettiva percezione. A tale regime sono ammesse solo le società di capitali residenti al cui capitale sociale partecipano esclusivamente altre società di capitali residenti, in misura non inferiore al 10% e non superiore al 50%, sia con riferimento ai diritti di voto che alla partecipazione agli utili. Tali requisiti devono esistere dal primo giorno del periodo d’imposta della partecipata in cui si esercita l’opzione e permanere ininterrottamente fino al termine del periodo d’opzione.
9 L’aiuto alla crescita economica delle imprese (ACE)
La normativa in materia di aiuto alla crescita economica (ACE) ha avuto una vita alquanto travagliata: originariamente introdotta dal D.L. 201/2011 e successivamente abrogata, a decorrere dal 1° gennaio 2019, dalla L. 145/2018 è stata in seguito reintrodotta senza soluzione di continuità dalla L. 160/2019 per poi essere definitivamente abrogata a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023. Pur tuttavia, sino ad esaurimento dei relativi effetti, continuano ad applicarsi le disposizioni relative all’importo del rendimento nozionale eccedente il reddito complessivo netto del periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2023. L’ACE ha consentito una deduzione del reddito di impresa dal rendimento figurativo del capitale proprio
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La disciplina fiscale delle start-up innovative
Gli artt. 25-32 del D.L. 179/2012, introducono una particolare disciplina per favorire lo sviluppo e la crescita delle cd. «start-up innovative» ossia quelle società di capitali, residenti in Italia, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato e che possiedono determinati requisiti di cui all’art. 25, comma 2, D.L. 179/2012.
Di seguito alcuni fra i requisiti che deve rispettare l’impresa per assumere la qualifica di «start-up innovativa»: — è una microimpresa o una piccola o media impresa, come definite dalla raccomandazione 2003/361/CE;
— deve essere costituita da non più di sessanta mesi ed essere residente in Italia, in uno degli Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo (ed in tali casi deve avere almeno una sede produttiva o una filiale in Italia);
— non distribuisce, e non ha distribuito, utili;
— l’oggetto sociale esclusivo o prevalente è costituito dallo sviluppo, dalla produzione e dalla commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico;
— non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione d’azienda o ramo d’azienda e non svolge attività prevalente di agenzia e di consulenza.
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Gli incentivi agli investimenti in beni strumentali
In passato, il legislatore è intervenuto più volte per prevedere delle agevolazioni fiscali relative agli investimenti in nuovi beni strumentali. Tra i più rilevanti si sottolineano:
— il cd. super ammortamento che consentiva una maggiorazione del 30% del costo di determinati beni strumentali;
— l’iper ammortamento che prevedeva aliquote più elevate (fino al 170%) per la maggiorazione del costo di beni relativi all’innovazione tecnologica e digitale delle imprese.
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La tassazione agevolata per i redditi derivanti da beni immateriali (Patent box)
L’art. 6 del D.L. 146/2021 ha introdotto un regime di favore di carattere opzionale, collegato alle spese sostenute nell’ambito delle attività di ricerca e sviluppo, per quanto riguarda: software protetti da copyright, brevetti industriali, disegni e modelli giuridicamente tutelati. Possono accedere al beneficio tutti i soggetti che siano titolari di redditi d’impresa, quale che siano la natura giuridica la dimensione e il settore in cui operano. Sono comprese le stabili organizzazioni in Italia di soggetti residenti in Paesi con i quali siano stati sottoscritti accordi per evitare le doppie imposizioni e con i quali sia previsto ed effettivo il sistema di interscambio di informazioni.
13 La tassazione delle società di comodo
Salvo prova contraria, società di comodo possono essere considerate, le società di capitale e le società di persone, fatta eccezione per le società semplici, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato i cui ricavi, aumentati del le rimanenze e dei proventi (esclusi quelli straordinari) quali emergono dal conto economico, risultano inferiori alla somma dei seguenti elementi:
— 1% del valore delle partecipazioni, anche non costituenti immobilizzazioni finanziarie, degli strumenti finanziari similari alle azioni, delle obbligazioni e titoli similari e delle quote detenute in società di persone ed assimilate anche se costituenti vere e proprie immobilizzazioni finanziarie, aumentato del valore dei crediti;
— 3% del valore delle immobilizzazioni costituite da immobili o navi, anche se in locazione finanziaria (leasing). Per gli immobili classificati nella categoria catastale A/10, tale percentuale è ridotta al 2,5% mentre per gli immobili destinati ad abitazione acquisiti o rivalutati nell’esercizio o nei due esercizi precedenti, la percentuale è ridotta al 2%; per gli immobili situati in Comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti la percentuale è fissata all’0,50%;
— 6% delle immobilizzazioni costituite dai beni indicati nell’art. 8bis, comma 1, lett. a) del D.P.R. 633/1972 anche in locazione finanziaria;
— 15% del valore delle altre immobilizzazioni, anche in locazione finanziar
L’art. 2, comma 36quinquies del D.L. 138/2011 ha previsto una maggiorazione di 10,5 punti dell’aliquota IRES a carico di tali società al fine di scoraggiare le mere società di fatto.
14 La disciplina fiscale degli enti del terzo settore
In linea generale, gli enti del terzo settore sono le organizzazioni di volontariato, le associa zioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società. La costituzione di tali enti deve essere tesa a perseguire, senza scopo di lucro, finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale sia in forma di volontariato sia in altre forme.
Le attività di interesse generale svolte dagli enti del terzo settore si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi. Inoltre, è necessario che i ricavi non superino di oltre il 6% i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre tre periodi d’imposta consecutivi.
In ogni caso, non concorrono alla formazione del reddito degli enti del terzo settore: a) i fondi pervenuti a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione; b) i contributi e gli apporti erogati da parte delle amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di alcune attività specifiche indicate dall’art. 79, commi 2 e 3.
Gli enti del terzo settore godono di particolari regimi di tassazione che sono differenziati anche a seconda della natura dell’ente. Il Codice del terzo settore prevede anche una serie di agevolazioni fiscali di diverso tipo. Tra le esenzioni principali ricordiamo: l’imposta di bollo la tassa sulle concessioni governative; l’imposta sulle successioni e donazioni; i tributi locali; l’imposta sugli intrattenimenti.
Capitolo 14 Le disposizioni comuni all’IRPEF e all’IRES
Le disposizioni comuni all’IRPEF e all’IRES trovano collocazione nel titolo III del TUIR e comprendono gli artt. da 162 a 184. In particolare tali disposizioni riguardano: la nozione di stabile organizzazione, il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero, la deduzione di alcuni componenti negativi del reddito d’impresa e di lavoro autonomo, le operazioni straordinarie (trasformazione, fusione, scissione, conferimenti, liquidazione e fallimento), le imprese estere partecipate, la doppia imposizione e gli accordi internazionali
L’art. 162 del TUIR dà una definizione di stabile organizzazione, rilevante ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP, necessaria al fine di individuare espressamente quali siano i redditi di impresa imponibili in Italia, sia nel caso di attività esercitate nel territorio dello Stato da parte di soggetti non residenti sia nel caso di attività d’impresa svolta fuori da esso da parte di soggetti residenti. Il comma 1 definisce stabile organizzazione «la sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato».
Affinché, quindi, si possa parlare di stabile organizzazione è necessario che: — ci sia una sede d’affari, vale a dire un insieme di beni materiali (macchinari, attrezzature ecc.); — tale sede sia fissa, ossia situata in un determinato luogo e con un certo grado di permanenza; — ci sia un’attività imprenditoriale, svolta mediante tale sede fissa d’affari
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La definizione di intermediario finanziario ai fini dell’IRES e dell’IRAP
L’art. 162bis del TUIR da una definizione univoca di intermediario finanziario ai fini delle imposte sui redditi e dell’IRAP. Sono definiti intermediari finanziari: — le banche, le società di intermediazione mobiliare (SIM), le società di gestione del risparmio (SGR) e i soggetti con stabile organizzazione nel territorio dello Stato aventi simili caratteristiche; — i confidi e gli operatori del microcredito; — i soggetti che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazione in intermediari finanziari.
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La deduzione delle spese e degli altri componenti negativi relativi a taluni mezzi di trasporto
L’art. 164 del TUIR disciplina le modalità di deduzione delle spese e degli altri componenti negativi relativi a taluni mezzi di trasporto a motore, utilizzati nell’esercizio di imprese, arti e professioni. La normativa prevede che le quote d’ammortamento relative ai mezzi di trasporto utilizzati nell’esercizio di imprese (nonché di arti e professioni) sono integralmente deducibili solo se i mezzi stessi sono: — utilizzati esclusivamente come bene strumentale nell’attività propria dell’impresa; — adibiti ad uso pubblico.
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Il credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero
Sui redditi di fonte estera assoggettati a tassazione anche in Italia è riconosciuto al contribuente un credito per le imposte sui redditi pagate all’estero a titolo definitivo al fine di evitare il rischio di una doppia imposizione.
5 I redditi delle imprese estere controllate
La disciplina delle CFC (Controlled Foreign Companies) contenuta nell’art. 167 TUIR prevede che i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni detenute (art. 167, comma 6 TUIR). Tali soggetti sono coloro che risiedono in Italia e detengono, direttamente o indiretta mente, il controllo di un’impresa, di una società o di un altro ente, residente o localizzato in Stati o territori con regime a fiscalità privilegiata. Più nel dettaglio, per ciò che riguarda l’individuazione dei destinatari della norma, il comma1 dell’art. 167 stabilisce che il soggetto residente che detiene la partecipazione di controllo può essere una persona fisica, società, ente pubblico o privato, e sono comprese anche le stabili organizzazioni italiane. Si considerano soggetti controllati non residenti le imprese, le società e gli enti non residenti nel territorio dello Stato, per i quali si verifica almeno una delle seguenti condizioni:
a) sono controllati direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciaria o interposta persona, ai sensi dell’art. 2359 c.c., da parte di un soggetto residente in Italia;
b) oltre il 50% della partecipazione ai loro utili è detenuto, direttamente o indirettamente, mediante una o più società controllate ai sensi dell’art. 2359 c.c. o tramite società fiduciaria o interposta persona, da un soggetto residente in Italia. Il comma 4 della norma specifica che l’applicazione della disposizione in esame richiede due diversi requisiti da rispettare congiuntamente: — che la controllata estera sia assoggettata ad una «tassazione effettiva inferiore» alla metà di quella a cui sarebbe stata soggetta in Italia; — che oltre un terzo dei proventi sia costituito da «passive income» come interessi, dividendi e plusvalenze da partecipazioni, redditi da leasing finanziario e così via.
6 La trasformazione delle società
Si ha trasformazione qualora la società, durante la sua vita, assume un’organizzazione sociale diversa da quella disposta nell’atto costitutivo. L’art. 170 del TUIR tratta delle trasformazioni relative alle società commerciali mentre l’art. 171 detta le regole fiscali per la trasformazione di una società soggetta ad IRES in un ente non commerciale e viceversa (cd. trasformazione eterogenea, v. infra par. 7). La società trasformata, anche se diversamente organizzata, non perde la sua identità e conserva i diritti e gli obblighi anteriori alla trasformazione (art. 2498 c.c.). Il legislatore tributario, adeguandosi alla normativa civilistica, considera la trasformazione societaria come evento fiscalmente irrilevante dal quale non emergono né plusvalenze, né minusvalenze, né altri componenti positivi o negativi di reddito (principio di neutralità fiscale).
Il motivo di tale concezione deve ricercarsi nel fatto che la trasformazione non attiene alla gestione dell’impresa, ma ne costituisce semplicemente una modifica della veste giuridica.
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Le trasformazioni eterogenee
Gli artt. 2500septies e 2500octies del codice civile disciplinano le ipotesi di trasformazione da società di capitali in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e fondazioni e viceversa (trasformazioni eterogenee). L’art. 171 del TUIR disciplina, invece, solo l’ipotesi di trasformazione previste dall’art. 2500septies: — da società soggetta ad IRES ad ente non commerciale; — da società soggette ad IRES a comunione di azienda; — da ente non commerciale a società soggetta ad IRES.
8 La fusione delle società
La fusione è il procedimento mediante il quale una o più società vengono a costituire un unico organismo sociale. La fusione può attuarsi in due modi, e cioè per:
— incorporazione, quando una società (incorporante) assorbe interamente l’altra (incorporata), assumendone tutte le obbligazioni ed acquisendone i diritti;
— fusione in senso stretto, quando una o più società si estinguono, ma dalla loro sostanza patrimoniale nasce un terzo ente nuovo.
Analogamente alla trasformazione, anche la fusione è considerata un’operazione neutra ai fini fiscali: essa, pertanto, non può costituire realizzo o distribuzione di plusvalenze o minusvalenze di beni (art. 172 TUIR).
9 I conferimenti di partecipazioni e i conferimenti d’azienda
Solo i conferimenti di partecipazioni di controllo o di collegamento (e non più anche i conferimenti di azienda, come accadeva in precedenza) realizzati tra soggetti residenti nell’esercizio di imprese commerciali sono considerati eventi da cui scaturisce il realizzo di plusvalenze, salvo i casi di esenzione di cui all’art. 87 del TUIR.
Al conferimento d’azienda è applicabile unicamente il regime di neutralità fiscale di cui all’art. 176 il quale dispone che tali operazioni, se poste in essere tra soggetti residenti nell’esercizio di imprese commerciali, non rilevano ai fini fiscali e quindi non costituiscono realizzazione di plusvalenze (o di minusvalenze).
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La scissione di società
Per scissione si intende l’operazione di trasferimento del patrimonio di una società ad una o più società preesistenti o di nuova costituzione. Il nostro ordinamento individua tre ipotesi di scissione: — scissione in senso stretto, quando una società trasferisce il suo intero patrimonio a due o più società preesistenti o di nuova costituzione, le cui azioni o quote vengono assegnate ai soci della società scissa.
Per effetto di tale operazione la società scissa cessa di esistere quale autonomo soggetto di diritto;
— scissione parziale o scorporazione, quando una società trasferisce soltanto parte del suo patrimonio ad una o più società beneficiarie preesistenti o di nuova costituzione. In tale ipotesi, la società che si scinde resta in vita, ma le azioni o quote delle società beneficiarie sono attribuite direttamente ai soci della società trasferente e non al patrimonio della stessa;
— scissione mediante scorporo che consente di realizzare il trasferimento di parte del patrimonio della scissa a una o più società di nuova costituzione, con la particolarità che le azioni/quote di quest’ultima vengono assegnate alla società scissa (e non ai suoi soci). In questo senso si configura come una modalità alternativa al conferimento per trasferire attività e passività di società neocostituite. Anche per la scissione vige il regime di neutralità (art. 173 TUIR). Pertanto la scissione totale o parziale non dà luogo né a realizzo né a distribuzione di plusvalenze e minusvalenze dei beni della società scissa, comprese quelle relative alle rimanenze e al valore d’avviamento.
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La liquidazione ordinaria
La liquidazione è quel particolare procedimento con il quale si provvede all’estinzione dei debiti ed alla ripartizione dell’eventuale residuo attivo tra i soci di una disciolta società. Sia per le società che per le imprese individuali, il reddito d’impresa realizzato nel periodo tra l’inizio dell’ultimo esercizio e l’inizio della liquidazione è calcolato in base ad apposito conto economico o in base alle disposizioni di cui all’art. 66 del TUIR, relative alle imprese in contabilità semplificata se ne ricorrono i presupposti (art. 182 TUIR)
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La liquidazione giudiziale
Per quanto attiene alla procedura concorsuale della liquidazione giudiziale, l’art. 183 del TUIR stabilisce che la frazione d’esercizio relativo al periodo compreso tra l’inizio e la dichiarazione liquidazione giudiziale costituisce autonomo periodo d’imposta. Il reddito di tale periodo viene determinato in base ad apposito bilancio redatto dal curatore o dal commissario liquidatore. Per il periodo di durata della procedura concorsuale, il comma 2 del medesimo art. 183 dispone che, anche se vi è stato esercizio provvisorio, il reddito è costituito dalla differenza tra il residuo attivo e il patrimonio netto dell’impresa all’inizio del procedimento. Quest’ultimo è determinato mediante il raffronto tra le attività e le passività risultanti dal bilancio di cui sopra ed è considerato nullo se l’ammontare delle passività è pari o superiore a quello delle attività.
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Lo scambio di partecipazioni
Lo scambio di partecipazioni consente ad una società od ente di acquistare una partecipa zione di controllo in un’altra società od ente. Lo scambio può avvenire mediante permuta o conferimento. L’art. 177 del TUIR prevede che l’operazione di permuta di azioni proprie con azioni di un’altra società è neutrale da un punto di vista fiscale, cioè non dà luogo a componenti positivi o negativi del reddito imponibile a condizione che il costo delle azioni date in permuta sia attribuito alle azioni ricevute in cambio.
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L’applicazione analogica, il divieto di doppia imposizione e gli accordi internazionali
L’applicazione analogica viene prevista dagli artt. 174 e 184 del TUIR, in base ai quali le disposizioni riguardanti la fusione e la scissione di società, la liquidazione ordinaria e la liqui dazione giudiziale valgono — se applicabili — anche nei casi di fusione, scissione, liquidazione volontaria e liquidazione giudiziale di enti diversi dalle società. Per evitare il ripetersi del prelievo fiscale nei confronti di un soggetto (o anche di soggetti diversi), in base ad un unico presupposto d’imposta, l’art. 163 del TUIR impone il divieto di doppia imposizione.
Capitolo 15 L’IVA
1 Le finalità e i caratteri dell’imposta
L’imposta sul valore aggiunto (IVA), introdotta nel nostro ordinamento dal D.P.R. 26-10-1972, n. 633, è sicuramente il tributo più rilevante nel settore delle imposte indirette. La disciplina comunitaria dell’IVA è stata riorganizzata con la direttiva 2006/112/CE del 28 11-2006 che costituisce oggi il testo di riferimento del tributo in esame. Considerato il primato del diritto comunitario sul diritto interno, la disciplina dell’IVA deve essere ricostruita tenendo presente le fonti comunitarie.
A norma dell’art. 1 del decreto istitutivo, l’IVA colpisce le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio dell’impresa, di arti o professioni e le importazioni da chiunque effettuate.
L’IVA ha lo scopo di colpire una sola volta, con aliquote stabilite dalla legge, i beni e i servizi destinati al consumo attraverso l’imposizione sul valore aggiunto nelle varie fasi produttive. E’ un’imposta proporzionale con aliquote differenziate in quanto viene applicata in proporzione al valore aggiunto, ed in base alle diverse aliquote che hanno lo scopo di differenziare l’onere fiscale secondo il carattere di più o meno stretta necessità dei beni colpiti.
E’ un’imposta gravante sul consumatore finale che risulta essere perciò il soggetto inciso, in quanto que sti, a differenza di ogni esercente arte o professione e ogni imprenditore, non potrà detrarre l’imposta pagata sugli acquisti
2.L’IVA e l’Unione Europea
Dal 1° gennaio 1993 il mercato unico europeo ha trovato compiuta attuazione mediante l’ apertura delle frontiere e la caduta delle barriere doganali tra i Paesi aderenti all’Unione Europea.
Al fine di evitare gli intralci ed i costi connessi al superamento delle frontiere, o meglio per favorire la libera circolazione delle merci, l’area comunitaria appare come un unicum nei rapporti con i Paesi estranei all’Unione Europea, da qui le nuove nozioni di importazione ed esportazione:
— importazione è l’introduzione, in un qualsiasi Stato membro, di beni provenienti da Paesi terzi estranei all’Unione Europea;
— esportazione è soltanto la cessione di beni effettuata al di fuori dell’Unione Europea. All’abolizione delle frontiere si è accompagnato l’eliminazione delle imposte e delle sovraimposte di confine tra gli Stati comunitari e l’armonizzazione delle aliquote IVA.
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I presupposti e la territorialità del tributo
Il campo di applicazione del tributo è indicato direttamente all’art. 1 del Testo Unico IVA (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633):“L’imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell’esercizio di imprese o nell’esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate ”.
Il presupposto oggettivo è dato dalla situazione giuridica che legittima lo Stato al prelievo del tributo: nel caso dell’IVA si fa riferimento all’effettuazione di operazioni imponibili.
Sono presupposti oggettivi:
— le cessioni di beni a titolo oneroso che trasferiscono la proprietà (vendita, permuta, somministrazione ecc.) o che costituiscono o trasferiscono diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione) su beni di ogni genere nonché le altre operazioni analiticamente indicate nell’art. 2, comma 2, D.P.R. 633/1972;
— le cessioni di beni facilitate dalle interfacce elettroniche (art. 2bis, D.P.R. 633/1972, introdotto dal D.Lgs. 83/2021). La norma, adottata in base a direttiva comunitaria, regola il particolare settore delle vendite realizzate attraverso un’interfaccia elettronica (come un mercato virtuale, una piattaforma, un portale). Il soggetto che consente o facilita le vendite viene considerato autore della cessione; più precisamente, in ragione del ruolo complesso che svolge, viene considerato al tempo stesso cessionario e rivenditore di quei beni;
— le prestazioni di servizi dipendenti da obbligazioni di ogni tipo: di fare, di non fare e di permettere (contratto d’opera, appalto, mediazione ecc.) previo corrispettivo (art. 3, D.P.R. 633/1972).
— le importazioni da chiunque effettuate intendendosi soltanto l’introduzione da parte degli Stati membri dell’Unione Europea di beni provenienti da Paesi terzi (art. 68, D.P.R. 633/1972). Si considerano importazioni ai fini dell’applicazione dell’IVA le importazioni definitive, le reimportazioni a scarico di temporanee esportazioni, le importazioni temporanee;
— gli acquisti intracomunitari di beni, ossia gli acquisti a titolo oneroso della proprietà di beni o di altro diritto reale di godimento sugli stessi spediti o trasportati in Italia da altro Stato membro dell’UE dal cedente, ivi soggetto d’imposta o dall’acquirente o da terzi per loro conto (art. 38, D.L. 331/1993)
Quanto al presupposto soggettivo chi compie l’operazione è un soggetto che svolge in modo abituale un’attività commerciale o agricola, un’arte o una professione e quella operazione si riferisce all’attività economica) . Non si considerano attività d’impresa, ai fini IVA, le cosiddette attività di «mero godimento» (possesso e gestione di unità immobiliari a destinazione abitativa, mezzi di trasporto ad uso privato ecc.) in relazione alle quali, pertanto, gli eventuali corrispettivi sono considerati fuori campo (ossia non rilevanti ai fini IVA) in quanto manca il requisito soggettivo; di conseguenza l’IVA sugli acquisti relativi all’attività considerata non commerciale, è indetraibile
Affinché un’operazione sia rilevante ai fini dell’applicazione dell’IVA è necessario, oltre alla concorrenza dei presupposti soggettivo e oggettivo, il requisito della territorialità ossia l’effettuazione dell’operazione nel territorio dello Stato.
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I soggetti passivi
Ai fini IVA devono ritenersi soggetti passivi (o debitori d’imposta, secondo la rubrica dell’art. 17 del D.P.R. 633/1972) coloro che effettuano le operazioni imponibili. In concreto possiamo dire che i soggetti passivi dell’IVA sono: — coloro che effettuano cessioni di beni nell’esercizio di una impresa; — coloro che effettuano prestazioni di servizi nell’esercizio di una impresa; — coloro che eseguono prestazioni di servizi e cessioni di beni nell’esercizio di un’arte o di una professione; — chiunque effettui importazioni extra UE, anche senza esercitare un’attività imprenditoriale; — coloro che effettuano acquisti intracomunitari di beni; — le interfacce elettroniche (mercati virtuali, piattaforme, portali ecc.) che svolgono il ruolo di facilitatori nelle operazioni di cessione indicate nell’art. 2bis del D.P.R. 633/1972 .
In tali operazioni le interfacce hanno un ruolo complesso, essendo considerate ai fini fiscali acquirenti dei beni e rivenditori degli stessi. In realtà il meccanismo del tributo fa sì che coloro che effettuano cessioni di beni e prestazioni di servizi siano contribuenti solo percossi dal tributo: i contribuenti di fatto (o incisi) sono, infatti, i consumatori finali, che versano l’IVA (per ogni bene che acquistano o prestazione di servizi che ricevono) ma non possono recuperarla in alcun modo. Il consumatore, dunque, è soggetto passivo di fatto e non di diritto. Ciò ha rilevanza sul piano economico-finanziario ma non su quello giuridico, in quanto la legge non statuisce alcun rapporto diretto tra il consumatore finale e l’erario.
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La nascita dell’obbligazione tributaria
L’art. 6 del D.P.R. 633/1972 individua il momento di effettuazione delle operazioni rilevanti ai fini IVA. In particolare, la norma fissa tale circostanza:
— per le cessioni di beni immobili, nel momento della stipulazione dell’atto;
— per le cessioni di beni mobili, nell’atto della consegna o spedizione;
— per le cessioni — escluse le vendite con riserva di proprietà e le locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per entrambe le parti;
— i cui effetti costitutivi o traslativi si determinano successivamente, nell’atto della produzione di tali effetti e, comunque, se riguardano beni mobili, trascorso un anno dalla consegna o spedizione;
— per le prestazioni di servizi, nell’atto del pagamento del corrispettivo;
— per le operazioni intracomunitarie, in epoca diversa secondo i modi di effettuazione del trasporto.
L’individuazione del momento di effettuazione dell’operazione determina generalmente l’esigibilità dell’imposta, vale a dire il momento a partire dal quale nasce il diritto del Fisco alla percezione del tributo che ha implicazioni in ordine alle liquidazioni periodiche e alla detrazione del tributo per l’acquirente.
6. Operazioni non imponibili, esenti ed escluse
La classificazione delle operazioni IVA è disciplinata dal DPR n. 633/1972 che distingue tre tipologie: imponibili, non imponibili ed escluse.
Esse possono essere così riepilogate:
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le operazioni imponibili, che rappresentano la sfera della “normalità” delle stesse operazioni;
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le operazioni non imponibili, ovvero gli scambi verso l’estero;
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le operazioni esenti, disciplinate dall’art. 10 del Testo Unico IVA.
Le operazioni imponibili sono quelle “ordinarie” in cui si verificano tutti e tre i presupposti (oggettivo , soggettivo e territoriale) per i quali scattano tutti i meccanismi di applicazione del tributo
Le operazioni non imponibili comprendono le cessioni di beni e prestazioni di servizi nei rapporti con l’estero, e si tratta in particolare di: esportazioni; operazioni assimilate alle esportazioni; servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali; cessioni ai viaggiatori extracomunitari; operazioni con San Marino e Città del Vaticano; operazioni effettuate nell’ambito dei rapporti regolati da Trattati ed accordi internazionali; cessioni intracomunitarie.La ratio di non imponibilità di tali operazioni consiste nel fatto che, trattandosi di beni destinati al mercato estero, essi sconteranno l’imposizione all’atto dell’ingresso nel Paese estero e non nel Paese del soggetto esportatore
Le operazioni esenti sono esclusivamente quelle previste dall’art 10 del D.P.R. 633/1972: sono operazioni che, pur soddisfacendo tutti e tre i requisiti di applicazione dell’IVA, non prevedono l’applicazione dell’imposta per motivazioni economiche e sociali. Le stesse operazioni dovranno comunque essere fatturate, registrate e riportate nelle dichiarazioni IVA (salve le ipotesi di deroga all’obbligo di fatturazione o la dispensa dagli adempimenti prevista dall’art. 36 bis. ove applicabile). Rientrano in tale fattispecie, ad esempio, la concessione, gestione e negoziazione crediti, i contratti di assicurazione e riassicurazione, le operazioni connesse alle valute estere, le azioni, obbligazioni ed altri titoli, i versamenti di imposte, le operazioni legate al lotto, lotterie, giochi, concorsi, scommesse, ecc., prestazioni del servizio postale universale, prestazioni sanitarie e di ricovero, prestazioni educative e culturali, i servizi di pompe funebri, locazioni e cessioni di fabbricati. Nelle operazioni esenti sono comprese anche le cessioni di beni effettuate nei confronti di interfacce elettroniche che si considerano cessionari e rivenditori dei beni per i quali facilitano la vendita (art. 2bis, D.P.R. 633/1972)
Vi sono poi le operazioni escluse dalla base imponibile; le stesse sono disciplinate dall’art. 15 del D.P.R. 633/72 e si riferiscono a: somme dovute a titolo di interessi moratori o di penalità per ritardi o altre irregolarità nell’adempimento degli obblighi del cessionario o del committente; il valore normale dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono in conformità alle originarie condizioni contrattuali, tranne quelli la cui cessione è soggetta ad aliquota più elevata; le somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, purché regolarmente documentate; l’importo degli imballaggi dei recipienti, quando ne sia stato espressamente pattuito il rimborso alla resa; le somme dovute a titolo di rivalsa dell’imposta sul valore aggiunto. Per tali operazioni non si tiene conto, in diminuzione dell’ammontare imponibile, delle somme addebitate al cedente o prestatore a titolo di penalità per ritardi o altre irregolarità nella esecuzione del contratto.
8 Le operazioni intracomunitarie
Per acquisti intracomunitari, a norma dell’art. 38, comma 2, D.L. 331/1993, si intendono le acquisizioni, derivanti da atti a titolo oneroso, della proprietà di beni o di altro diritto reale di godimento sugli stessi, spediti o trasportati nel territorio dello Stato da altro Stato membro dal cedente, nella qualità di soggetto passivo d’imposta, ovvero dall’acquirente o da terzi per loro conto. La definizione di vendite a distanza intracomunitarie di beni è contenuta nell’art. 38bis del D.L. 331/1993, introdotto dal D.Lgs. 83/2021: sono tali le cessioni di beni spediti o trasportati dal fornitore o per conto del medesimo — anche nei casi in cui il fornitore partecipa indirettamente al trasporto o alla spedizione — partendo da uno Stato UE diverso da quello di arrivo della spedizione, avente come destinatari persone fisiche non soggetti d’imposta o soggetti nei confronti dei quali sono effettuate le cessioni non imponibili individuate nell’art. 72, D.P.R. 633/1972.
Il secondo comma del richiamato art. 38bis contiene, invece, la definizione di vendite a distanza di beni importati da territori terzo o Paesi terzi: sono tali le cessioni di beni spediti o trasportati dal fornitore o per suo conto — anche nei casi in cui il fornitore partecipa indiretta mente al trasporto o alla spedizione — da un territorio o un Paese terzo fino ad arrivare in uno Stato membro dell’UE, per essere destinati a persone fisiche non soggetti d’imposta o a soggetti nei confronti dei quali sono effettuate cessioni non imponibili individuate nell’art. 72, D.P.R. 633/1972.
Le cessioni a catena sono quelle operazioni che prevedono una pluralità di vendite tra soggetti unionali che riguardano il medesimo bene e per le quali viene effettuato un unico trasporto. Dunque, sebbene il bene sia stato oggetto di plurimi passaggi di proprietà, si verifica un’unica materiale consegna del bene che dal primo cedente viene consegnato all’ultimo acquirente (art. 41ter D.L. 331/1993). In questi passaggi solo uno dei partecipanti può beneficiare della non imponibilità del trasferimento mentre tutte le altre cessioni saranno imponibili.
9 La base imponibile e le aliquote
La base imponibile, sulla quale deve essere applicata l’aliquota per determinare l’imposta relativa a ciascuna operazione, è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi previsti contrattualmente compresi gli oneri accessori. Pur tuttavia, come si è visto l’art. 15 del D.P.R. 633/1072 esclude tassativamente dal computo della base imponibile alcuni elementi.
L’aliquota con la quale deve essere calcolata l’IVA è quella stabilita dalla legge alla data dell’effettuazione dell’operazione. Attualmente sono in vigore le seguenti aliquote: — aliquota ridotta del 4%, che si applica ai beni compresi nella tabella A, parte II, D.P.R. 633/1972; — aliquota ridotta del 5%, che si applica ai beni compresi nella Tabella A, parte IIbis, D.P.R. 633/1972; — aliquota ridotta del 10%, che si applica ai beni compresi nella tabella A, parte III, D.P.R. 633/1972; — aliquota ordinaria del 22%, che si applica ai beni compresi nella tabella B del D.P.R. 633/1972.
10.Il volume d’affari
Il volume di affari annuo consiste nell’ammontare di tutte le operazioni effettuate nel corso dell’anno solare che sono state o avrebbero dovuto essere registrate (art. 20, D.P.R. 633/1972).
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Il meccanismo applicativo dell’IVA
Il meccanismo dell’IVA si basa sulle seguenti fasi: — fatturazione; — rivalsa; — deduzione; — versamento.
Si ricorda che in base all’art. 19, il diritto alla detrazione — che è subordinato al possesso della documentazione adeguata (fattura, bolla doganale ecc.) — matura nell’istante in cui l’IVA diviene esigibile e può essere esercitato, al più tardi, con la dichiarazione relativa all’anno in cui è sorto il diritto alla detrazione rispettando, però, le stesse condizioni esistenti nell’anno in cui si è perfezionato il diritto. Questo significa che se, ad esempio, all’epoca in cui sarà esercitato tale diritto vigerà un diverso regime di detrazioni, ancorché più favorevole, esso non potrà essere utilizzato ma dovrà applicarsi il regime in essere al tempo in cui è sorto il diritto. Infatti ai sensi del comma 1 dell’art. 19 del D.P.R. 633/1972, per la determinazione dell’imposta dovuta da soggetti che effettuano operazioni imponibili, o della differenza da versare annualmente a saldo, è detraibile dal totale dell’imposta relativa alle operazioni effettuate, l’ammontare dell’imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa in relazione all’acquisto e all’importazione di beni e servizi effettuati nell’esercizio della sua attività. Non è, al contrario, detraibile — salvo specifiche eccezioni — l’imposta relativa ad acquisti e importazioni riguardanti operazioni esenti o comunque non soggette all’imposta, salvo i casi di rettifica alla detrazione, e le operazioni a premio.
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I regimi contabili
Il meccanismo delle detrazioni illustrato in precedenza ha subito nel corso degli anni una serie di rilevanti modificazioni, intese per lo più ad agevolare negli adempimenti, nonché a semplificare il sistema di applicazione dell’imposta per quelle categorie di contribuenti che, dato il basso volume d’affari realizzato possono essere «meno controllati» dal fisco. In particolare le norme fissate per l’IVA erano redatte in corrispondenza di analoghe agevolazioni e semplificazioni per i soggetti inquadrati tra i cosiddetti contribuenti minori o minimi. All’attualità sono vigenti i seguenti sistemi di contabilità: — regime ordinario; — regime semplificato; — regime forfettario per i contribuenti minimi.
13 L’IVA di gruppo
L’art. 73 del D.P.R. 633/1972 consente di effettuare la liquidazione di gruppo dell’IVA permettendo alla società controllante di effettuare i versamenti dell’IVA dovuta dalle società controllate, al netto delle spese detraibili. Con questo meccanismo, la società controllante ha la possibilità di compensare i debiti e i crediti delle società che chiudono a debito e a credito, versando la differenza degli importi qualora vi sia un’imposta a debito, o di determinare un’unica eccedenza di credito IVA.
La normativa stabilisce che per poter costituire il gruppo è necessario tra i componenti del gruppo ci sia il vincolo finanziario, economico e organizzativo. Il vincolo finanziario sussiste quando, almeno dal 1° luglio dell’anno precedente: — esiste un rapporto di controllo diretto o indiretto; — i soggetti sono controllati direttamente o no, dallo stesso soggetto purché residente in Italia o in un altro Paese per il quale l’Italia abbia stipulato un accordo di trasparenza e scambio di informazioni. Il vincolo economico sussiste quando tra i soggetti interessati a costituire un Gruppo IVA vi è almeno una delle seguenti forme di cooperazione economica: — si svolge un’attività principale dello stesso genere; — si svolgono attività complementari o interdipendenti; — si svolgono attività a vantaggio di uno o più soggetti. Il vincolo organizzativo sussiste quando tra le imprese del gruppo, esiste un coordinamento decisionale.
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Il regime transfrontaliero di franchigia
Il D.Lgs. 180/2024 ha introdotto il nuovo titolo V-ter (Regime transfrontaliero di franchigia) nel corpo del D.P.R. 633/1972, inserendo gli articoli da 70terdecies a 70duovicies.
Per accedere al regime di franchigia transfrontaliera, l’impresa deve rispettare due soglie principali:
─ soglia nazionale, in Italia, pari a 85.000 euro annui;
─ soglia UE cumulativa: le operazioni transfrontaliere effettuate in altri Stati membri non devono superare i 100.000 euro annui.
14 Le denunce
La denuncia di inizio attività, come previsto dall’art. 35 del D.P.R. 633/1972, va presentata dai contribuenti che intraprendono l’esercizio di un’impresa, arte o professione, nel territorio dello Stato, o che vi istituiscano una stabile organizzazione, entro 30 giorni. Tale dichiarazione deve essere presentata presso un qualsiasi ufficio locale della Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate.
I soggetti tenuti all’iscrizione nel Registro delle imprese trasmettono la suddetta dichiarazione mediante la comunicazione unica di cui all’art. 9, comma 7, D.L. 7/2007 da presentare alla Camera di commercio per via telematica o su supporto informatico e poi smistata a INPS, INAIL e Agenzia delle entrate ai fini dell’avvio dell’attività d’impresa.
A seguito della presentazione della dichiarazione di inizio attività, viene attribuito al richiedente il numero di partita IVA (composto di 11 cifre) il quale dovrà essere indicato dal contribuente nella dichiarazione e in ogni altro documento richiesto. L’attribuzione del numero di partita IVA è subordinata all’esecuzione di controlli preventivi volti ad individuare, sia pure sommariamente, la reale operatività del soggetto passivo al fine di limitare così i rischi di frode in materia di IVA.
15 La fatturazione
L’art. 21 del D.P.R. 633/1972 stabilisce che per ciascuna operazione imponibile deve essere emessa una fattura. È considerata fattura, qualsiasi documento idoneo a identificare i soggetti e l’oggetto dell’operazione, i corrispettivi e gli altri dati necessari per la determinazione della base imponibile, il valore normale degli altri beni ceduti a titolo di sconto o abbuono, l’aliquota e l’ammontare dell’imposta. La fattura cartacea (redatta in duplice esemplare, uno dei quali va consegnato o spedito alla controparte) e quella elettronica si considerano emesse all’atto della consegna, spedizione, trasmissione o messa a disposizione da parte del cessionario o committente. Il comma 4 dell’art. 21 ha, tuttavia, stabilito che le fatture possano essere emesse entro 12 giorni dall’effettuazione dell’operazione.
L’art. 21bis del D.P.R. 633/1972 consente l’emissione di una fattura semplificata qualora l’importo complessivo non superi 400 euro nonché una fattura rettificativa semplificata (o meglio nota di variazione semplificata).
La fattura semplificata consente di: — identificare il cessionario con l’indicazione della sola partita IVA o del codice fiscale; — indicare in modo più sintetico l’oggetto dell’operazione. In base al meccanismo del cd. reverse charge al pagamento dell’imposta è tenuto il cessionario in luogo del cedente o del prestatore. In tale ipotesi la fattura è sempre emessa dal cedente, senza l’applicazione dell’IVA, e con l’annotazione «inversione contabile» e deve essere integrata dall’acquirente con l’indicazione dell’aliquota e della relativa imposta (art. 17, comma 5, D.P.R. 633/1972).
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La fatturazione elettronica
La (L. 205/2017 ha stabilito che dal 1° gennaio 2019 tutte le fatture emesse in conseguenza di cessioni di beni o prestazioni di servizio poste in essere tra soggetti residenti o stabiliti in Italia dovranno essere emesse sotto forma di fattura elettronica. Questa disposizione si applica sia per le operazioni poste in essere tra due operatori IVA sia per quelle effettuate da un soggetto IVA nei confronti di un consumatore finale. Dunque, come regola generale, la fatturazione elettronica è l’unica procedura ammessa per documentare cessioni e prestazioni di servizi rilevanti ai fini IVA, pur tuttavia sono previste diverse eccezioni.
Dal 1° gennaio 2024, anche tutti contribuenti forfettari devono fatturare in formato elettronico per le operazioni attive effettuate, indipendentemente dal reddito.
17 I registri
I registri devono essere numerati progressivamente prima del loro utilizzo. La numerazione viene effettuata direttamente dal contribuente (non è, pertanto, più affidata ad un terzo). L’obbligo di bollatura è stato soppresso. L’art. 2215bis del codice civile, prevede la possibilità di tenere con modalità informatiche i libri, i repertori, le scritture e la documentazione previsti obbligatoriamente dalla legge. Le scritture contabili obbligatorie devono essere conservate, ai fini civilistici, per un periodo non inferiore a 10 anni. Tuttavia, i registri e i documenti IVA devono essere conservati, ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. 633/1972, fino a quando non viene definito l’eventuale accertamento riguardante l’annualità interessata dal documento o dal registro, eventualmente anche oltre il termine di 10 anni previsto dall’art. 2220 del c.c.
Il registro delle vendite con fattura serve per annotare le fatture emesse a seguito delle cessioni di beni, delle prestazioni di servizi e delle prestazioni artistiche e professionali (art. 23, D.P.R. 633/1972). Le annotazioni devono contenere: la data di emissione della fattura, il numero progressivo attribuito alla stessa, l’intestazione della ditta o nome e cognome del cessionario del bene o del committente del servizio (ovvero, nelle ipotesi di cui all’art. 17, comma 2, del cedente o del prestatore) se persona fisica, la base imponibile distinta per aliquota di imposta e l’ammontare dell’imposta distinto per aliquota.
La legge consente ad un’ampia fascia di contribuenti, che pongono in essere un gran numero di piccole operazioni, di non emettere la fattura, salvo che questa non sia richiesta dal cliente all’atto dell’effettuazione dell’operazione.
Tali soggetti sono tenuti ad annotare nel registro dei corrispettivi l’ammontare delle vendite effettuate giornalmente. La registrazione di tali introiti deve essere effettuata — con riferimento al giorno in cui le operazioni sono effettuate — entro il giorno non festivo successivo (art. 24, D.P.R. 633/1972). I contribuenti minimi sono esonerati dall’obbligo di tenuta di tale registro.
Nel registro degli acquisti (art. 25, D.P.R. 633/1972) vanno annotate le fatture e le bollette doga nali relative ai beni e servizi acquistati o importati nell’esercizio dell’impresa, arte o professione
18 I sistemi di controllo mediante documenti fiscal
Il legislatore, nel tentativo di dare attuazione ad un complesso disegno per reprimere l’evasione d’imposta, ha individuato una serie di sistemi ulteriori di controllo che vanno ad aggiungersi agli obblighi contabili previsti in materia di IVA e imposte dirette.
Fra questi, la ricevuta fiscale e lo scontrino fiscale hanno ormai un carattere residuale dal momento che è ormai operativa la trasmissione telematica dei corrispettivi. Si menzionano poi:
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etichette e contrassegni (art. 73bis, D.P.R. 633/1972). Possono essere apposti su taluni prodotti individuati con decreto ministeriale tra i seguenti beni: prodotti tessili di cui alla L. 883/1973, nonché indumenti in pelle o pellicce, anche artificiali; apparecchi riceventi per la radiodiffusione e per la televisione, apparecchi per la registra zione del suono e delle immagini ecc.; dischi, nastri ed altri analoghi supporti fonografici;
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documento di trasporto (D.D.T.). Con il D.P.R. 472/1996, è stata abolita la bolla di accompagnamento, che resta comunque in vita per alcune categorie merceologiche quali tabacchi, fiammiferi, prodotti soggetti ed accise e imposte di consumo, prodotti soggetti a vigilanza fiscale.
19 Le variazioni dell’imponibile e dell’imposta
Spesso in relazione ad operazioni già perfezionate o contabilizzate, possono verificarsi circostanze che vanno a modificare l’imponibile o l’importo dell’IVA e che comportano nuovi adempimenti a carico del contribuente. L’art. 26 del D.P.R. 633/1972 disciplina separatamente le ipotesi di aumento e di diminuzione dell’imponibile o dell’imposta. Con l’introduzione dell’obbligo di fatturazione elettronica i contribuenti tenuti a tale adempimento sono obbligati ad emettere le note di variazione sempre in formato elettronico. In caso di maggiore imponibile o imposta verificatisi successivamente all’emissione della fattura o alla registrazione ai sensi degli articoli 23 (registrazione delle fatture) e 24 (registrazione dei corrispettivi), il comma 1 prevede che il contribuente ponga in essere gli adempimenti necessari per una qualsiasi operazione imponibile: dunque, il soggetto passivo dovrà emettere una nuova fattura per la differenza e dovrà registrarla mentre il cessionario o committente soggetti IVA avrà diritto di portare in detrazione (e registrare sul registro degli acquisti) l’ulteriore imposta a lui addebitata in via di rivalsa.
20 Le liquidazioni e i versamenti
Il contribuente provvede a liquidare l’imposta dovuta attraverso la differenza tra il totale dell’IVA esigibile nel periodo precedente (come risulta dalle registrazioni, eseguite o da eseguire, delle fatture emesse o dei corrispettivi delle operazioni imponibili) e il totale dell’imposta (derivante dalle registrazioni delle fatture di acquisto) in relazione alla quale, nel medesimo periodo, è sorto o viene esercitato il diritto alla detrazione. Ove risulti un debito, il soggetto passivo procede al versamento della somma dovuta presso uno sportello bancario o postale. La liquidazione dell’IVA può avvenire su base mensile o trimestrale in funzione del regime contabile scelto, ordinario o semplificato. Il versamento dell’IVA per il regime ordinario è mensile e va effettuato il giorno 16 del mese successivo a quello cui si riferisce la liquidazione, mentre per i contribuenti minori, ossia coloro che nell’anno precedente non hanno superato il volume d’affari di 500.000 euro, se esercenti arti, professioni o imprese di servizi, ovvero di 800.000 di euro se imprese esercenti altre attività, è prevista la facoltà di optare per il versamento trimestrale anziché mensile (art. 7 D.P.R. 542/1999).
21 Le dichiarazioni
Dalla dichiarazione, da redigersi in conformità al modello approvato ogni anno con provvedimento pubblicato on line sul sito dell’Agenzia delle entrate, devono risultare (art. 8, comma 2, D.P.R. 322/1998) dati ed elementi idonei: — all’individuazione del contribuente;
— a determinare l’ammontare delle operazioni e dell’imposta;
— a porre in essere i controlli
n base all’art. 3 del D.P.R. 322/1998 tutte le dichiarazioni, per cui anche la dichiarazione annua le IVA, devono essere presentate per via telematica all’Agenzia delle entrate, direttamente o per il tramite degli appositi intermediari abilitati, di una banca convenzionata o di un ufficio postale.
L’Agenzia delle entrate dispone di una serie notevolissima di dati molto dettagliati: basti pensare alle informazioni acquisite attraverso la comunicazioni periodiche dei dati IVA, la fatturazione elettronica e la trasmissione telematica degli scontrini. Tutto ciò ha aperto la strada alla realizzazione della dichiarazione IVA precompilata.
22 Il versamento di conguaglio e i rimborsi
La differenza tra l’ammontare dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale e l’ammontare dei versamenti effettuati nel corso dell’anno precedente (cd. conguaglio) deve essere versata in unica soluzione entro il 16 marzo di ciascun anno ovvero entro il termine previsto per il pagamento delle somme dovute in base alla dichiarazione annuale, maggiorando le somme da versare degli interessi in ragione dello 0,40% per ogni mese o frazione di mese successivo a tale data. S
e dalla dichiarazione annuale risulta che l’ammontare detraibile, aumentato dei versamenti effettuati, è superiore a quello dell’imposta relativa alle operazioni imponibili, il contribuente ha diritto a computare in detrazione il relativo importo nell’anno successivo o a compensarlo con altre imposte dovute in base a dichiarazione unificata o a versamenti periodici. Tuttavia lo stesso contribuente potrà chiedere il rimborso dell’eccedenza di imposta versata in caso di cessazione di attività, e se l’ammontare supera i 2.582,28 euro, nelle ipotesi contemplate nel comma 3 dell’art. 30 del D.P.R. 633/1972. L’IVA risultante dalla dichiarazione annuale non è dovuta o, se il saldo è negativo, non è rimborsabile se i relativi importi non superano 10,33 euro (10 euro per effetto degli arrotondamenti effettuati in dichiarazione) (art. 3, D.P.R. 126/2003).
23 Gli obblighi per gli esercenti dei servizi di pagamento
Con la Direttiva UE 2020/284 l’Unione europea negli ultimi anni ha affrontato lo spinoso problema del proliferare di truffe e frodi nel settore dei servizi di pagamento, fenomeno che ha in particolare interessato l’imposta sul valore aggiunto.
In attuazione della citata direttiva è stato emanato il D.Lgs. 153/2023, che prevede una serie di adempimenti a carico dei soggetti che svolgono l’attività di servizi di pagamento.
In particolare:
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l’art. 40ter prevede l’obbligo di conservazione delle informazioni riguardanti i servi di pagamento. Vanno conservate le informazioni riguardanti i beneficiari dei pagamenti relativi ai servi di pagamento transfrontalieri effettuati trimestralmente: ciò consente all’Amministrazione finanziaria di effettuare i controlli delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi che si considerano effettuate nel territorio di uno Stato membro dell’Unione europea allo scopo di conseguire l’obiettivo di lottare contro la frode in materia di IVA. L’obbligo di conservazione si applica solo se il prestatore effettua nel trimestre più di duecentoquindici operazioni di pagamento transfrontaliere. Regole particolari sono previste nel caso in cui il prestatore del servizio di pagamento del pagatore e quello del beneficiario sono entrambi localizzati in Paesi dell’UE. La documentazione va conservata per un periodo di tre anni civili a decorrere dalla fine dell’anno civile corrispondente alla data del pagamento.
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l’art. 40quater prevede l’obbligo di comunicazione all’Agenzia delle entrate dei dati e delle informazioni relativi ai beneficiari dei servizi di pagamento. L’obbligo si estende anche ai prestatori di servizi di pagamento in altri Stati membri. L’Agenzia, a sua volta, inserirà queste informazioni nel Sistema elettronico centrale di informazioni sui pagamenti (CESO).
Capitolo 16 Le altre imposte indirette
1 L’imposta di registro
L’imposta di registro è un’imposta reale indiretta sugli affari. Essa colpisce con aliquote, in prevalenza proporzionali, la capacità contributiva che si deduce da atti di scambio della ricchezza, nonché da atti giuridici negoziali di vario genere, in occasione della loro registrazione.
La registrazione può essere:
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a termine fisso se è stabilito un termine dalla formazione dell’atto entro cui si è obbligati a chiedere la registrazione. Tale termine varia a seconda della tipologia di atto (art. 13, D.P.R. 131/1986). Il termine è di 30 giorni per gli atti formati in Italia, di 60 giorni per gli atti formati all’estero e di 30 giorni per gli atti soggetti a registrazione telematica (atti relativi a diritti sugli immobili o autenticati da pubblici ufficiali) nonché per i contratti di locazione e affitto di beni immobili.
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in caso d’uso se l’atto deve essere registrato quando viene depositato, per poi essere acqui sito presso le cancellerie giudiziarie o presso le pubbliche amministrazioni. Tuttavia se l’atto ha forma di scrittura privata autenticata o atto pubblico, la registrazione va fatta in termine fisso anche se l’oggetto dell’atto rientrerebbe tra le ipotesi di registrazione in caso d’uso. Sono soggetti a tale registrazione: — i contratti di lavoro autonomo; — i contratti di locazione di beni immobili se non formati per atto pubblico o scrittura privata autenticata di durata non superiore a trenta giorni complessivi nell’anno; — le scritture private non autenticate se contengono disposizioni relative ad operazioni sottoposte ad IVA .
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volontaria. Gli atti per i quali non si è obbligati alla registrazione, possono essere ugualmente registrati dal soggetto (si ricordino ad es. gli atti di ultima volontà). Per questi atti l’imposta di registro è determinata in misura fissa.
La legge prevede due tipi d’imposta di registro: — una imposta proporzionale che varia a seconda della natura dell’atto; — una imposta fissa. Sia l’imposta fissa — la cui misura minima è pari a 200 euro — sia quella proporzionale, variano secondo la natura e il contenuto degli atti cui si riferiscono.
2 Le imposte ipotecaria e catastale
L’imposta ipotecaria è collegata allo svolgimento delle formalità relative all’attuazione della pubblicità immobiliare, per cui, oggetto del tributo sono le formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione, cancellazione e annotazione di ipoteche da eseguirsi presso i pubblici registri immobiliari. I soggetti passivi sono coloro che richiedono le formalità oggetto dell’imposta nonché i pubblici ufficiali che hanno ricevuto o autenticato l’atto soggetto a trascrizione. Sono anche obbligati solidalmente tutti coloro nel cui interesse è stata fatta la richiesta e i debitori contro i quali è stata iscritta o rinnovata l’ipoteca nel caso di iscrizione e di rinnovazioni.
L’imposta può essere, secondo gli atti, proporzionale o fissa. La misura fissa è stata da ultimo determinata nell’importo di 200 euro mentre quella proporzionale si ottiene mediante l’applicazione di un’aliquota, variabile dallo 0,50% al 2% (3% nel caso di trascrizioni di atti a sentenze che comportino trasferimenti di proprietà di beni immobili strumentali).
L’imposta catastale colpisce l’esecuzione delle volture catastali e quindi il suo presupposto è il trasferimento dei beni iscritti nel catasto. Per quanto attiene i soggetti passivi si applicano all’imposta catastale i criteri fissati per quella ipotecaria. L’imposta in oggetto è commisurata al valore dei beni immobili rustici ed urbani accertato agli effetti delle imposte di registro o di quelle sui trasferimenti a titolo gratuito. L’aliquota è del 10 per mille da applicarsi sul valore degli immobili o dei diritti reali immobiliari accertato agli effetti dell’imposta di registro o di successione e donazione. L’imposta è, invece, dovuta nella misura fissa di 200 euro nei seguenti casi (art. 10, comma 2, D.Lgs. 347/1990): — atti che non comportino trasferimento di immobili (es. le divisioni) né il trasferimento o la costituzione di diritti reali immobiliari; — atti soggetti all’IVA; — fusioni e scissioni di società di qualsiasi tipo; — conferimenti di aziende o di complessi aziendali relativi a singoli rami di impresa; — regolarizzazione di società di fatto, derivanti da comunione ereditaria d’azienda, registrati entro un anno dall’apertura della successione; — trasferimenti di prime abitazioni non di lusso.
Nell’ipotesi di successioni che comportino il trasferimento di immobili o di diritti reali sugli stessi, le imposte ipotecaria e catastale (nonché l’imposta di bollo) devono essere autoliquidate e versate dagli eredi e dai legatari entro 12 mesi dall’apertura della successione.
3 L’imposta sulle successioni e donazioni
La base imponibile su cui calcolare l’imposta sulle successioni è costituita dal valore delle quote ereditarie e dei legati, dato dalla differenza tra il valore dei beni e dei diritti (alla data di apertura della successione) che compongono la singola quota o il singolo legato, e l’ammontare delle passività e degli altri oneri ammessi in deduzione in ragione della quota di spettanza di ognuno.
Dalla base imponibile sono esclusi i beni elencati negli artt. 12 e 13 del D.Lgs. 346/1990. Il valore delle quote ereditarie e dei legati su cui calcolare l’imposta è ridotto di una franchigia di: — 1.000.000 di euro per il coniuge e i parenti in linea retta; — 100.000 euro per i fratelli e le sorelle; — 1.500.000 euro per i beneficiari che siano portatori di grave handicap, indipendentemente dal grado di parentela. Ai soli fini della verifica della franchigia godibile, la quota ereditaria o il legato vanno aumentati delle donazioni eventualmente ricevute dallo stesso defunto. Le aliquote variano dal 4% all’8%
I criteri di ripartizione stabiliti dalla legge hanno solo rilevanza interna, in quanto nei confronti dello Stato tutti i soggetti passivi sono solidalmente responsabili e quindi obbligati al pagamento dell’imposta complessivamente dovuta (art. 36, D.Lgs. 346/1990). Tale regola subisce limitazioni per coloro che accettano con beneficio d’inventario in quanto questi rispondono solo nei limiti dell’attivo ereditario al netto delle passività, e per i legatari, che invece rispondono solo del pagamento dell’imposta relativa ai rispettivi legati (art. 490 c.c.).
La base imponibile cui commisurare l’imposta sulle donazioni è rappresentata dal valore globale dei beni o diritti oggetto della donazione o — nel caso di donazione a favore di più soggetti o di più donazioni a favore di soggetti diversi comprese nello stesso atto — al valore della quota spettante o dei beni o diritti spettanti a ciascuno di essi, al netto degli oneri che gr avavano sul donatario. Per l’imposta sulle donazioni sono previste le medesime franchigie stabilite per l’imposta sulle successioni a favore del coniuge e dei parenti in linea retta (1.000.000 di euro), dei fratelli e delle sorelle (100.000 euro) e dei portatori di handicap (1.500.000 euro). Identiche sono anche le aliquote, che variano dal 4% all’8%.
4.L’imposta di bollo
L’ imposta di bollo, quasi sempre, prescinde dal valore dell’atto che colpisce e dunque imponibile è l’atto in sé. L’imposta può essere: — fissa se colpisce in misura unica tutti gli atti di una determinata specie, indipendentemente dal valore eventualmente indicato; — proporzionale se, invece, colpisce il documento secondo una percentuale costante, in base al valore dichiarato. L’imposta fissa di bollo, in qualsiasi modo dovuta (compresa quella da corrispondere sui contratti relativi a operazioni e a servizi bancari e finanziari e per i contratti di credito al consumo) è stata fissata a 16 euro
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Le tasse sulle concessioni governative
I tributi colpiscono determinati atti amministrativi (concessioni, autorizzazioni, istanze, permessi) che consentono agli interessati l’esercizio di diritti e facoltà. La loro attuale struttura è disciplinata dal D.P.R. 26-10-1972, n. 641. Costituiscono il presupposto di questi tributi diversi provvedimenti amministrativi che assumono varie configurazioni, per cui si possono avere: a) tasse di rilascio dovute al momento dell’emanazione dell’atto;
b) tasse di rinnovo dovute per la rinnovazione dell’atto stesso;
c) tasse annuali dovute per atti amministrativi idonei a produrre effetti per un periodo superiore all’anno;
d) tasse di visto o vidimazione dovute per l’espletamento delle suddette formalità. L’ammontare di questa tassa è stabilito in genere in una misura fissa per ciascuna specie di atto o provvedimento. Però, in qualche caso, diventa rilevante, per la determinazione dell’ammontare della tassa, anche il valore economico dell’atto o provvedimento oggetto del tributo. Sono esenti dalla tassa (art. 13bis, D.P.R. 641/1972):
— gli atti e i provvedimenti concernenti le ONLUS e le società e associazioni sportive dilettantistiche;
— gli atti costitutivi, gli statuti e ogni altro atto necessario per l’adempimento di obblighi dei movimenti o partiti politici, derivanti da disposizioni legislative o regolamentari.
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Le tasse automobilistiche
Il D.Lgs. 504/1992 ha assegnato alle Regioni a statuto ordinario, che già erano titolari di una parte della tassa automobilistica, la competenza ad introitare l’intero gettito del settore con alcune limitate eccezioni. Continuano, invece, ad essere introitate dallo Stato, le tasse automobilistiche relative alle Regioni a statuto speciale. Infatti, l’art. 23 del D.Lgs. 504/1992, attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l’intera tassa automobilistica, disciplinata dal testo unico, che prende il nome di tassa automobilistica regionale
L’ammontare del tributo è commisurato:
— alla potenza effettiva del veicolo espressa in kilowatt;
— alla portata in quintali per i rimorchi;
— al numero delle persone trasportabili per gli automezzi autorizzati al trasporto di cose e persone ma non promiscuamente.
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La Tobin tax (tassazione sulle rendite finanziarie)
L’art. 1, commi 491-500, L. 228/2012 ha introdotto un’imposta sulle transazioni finanziarie (cd. Tobin tax) pari allo 0,2% del valore della transazione. Tale imposta si applica sul trasferimento della proprietà di azioni e altri strumenti finanziari di cui all’art. 2346, comma 6, c.c. emessi da società residenti. L’imposta è ridotta alla metà (aliquota dello 0,1%) per i trasferimenti in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione.
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La digital tax (imposta sulle transazioni digitali)
La L. 145/2018 ha istituito — art. 1, commi da 35 a 50 — l’imposta sui servizi digitali (digital tax) dovuta sui seguenti servizi: — veicolazione su interfaccia digitale di pubblicità digitale mirata agli utenti della stessa piattaforma; — messa a disposizione di una piattaforma digitale che permetta agli utenti di entrare in contatto ed interagire tra di loro, anche allo scopo di rendere più agevole la fornitura diretta di beni e servizi; — trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di dati digitali.
L’imposta colpisce, con una aliquota del 3%, i servizi digitali forniti da soggetti che svolgono attività d’impresa i quali realizzano ricavi dai servizi digitali offerti nel territorio dello Stato a condizione che nell’anno precedente a quello di riferimento abbiano realizzato — singolarmente o a livello di gruppo — ricavi di ammontare complessivo non inferiore a 750 milioni di euro. Tale definizione è stata introdotta dall’art. 1, comma 21, L. 207/2024, che ha modificato il testo precedente il quale indicava anche l’ulteriore condizione legata al conseguimento in Italia di ricavi non inferiori a 5.500.000 euro.
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L’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE)
L’art. 19, commi 18-23 del D.L. 201/2011 ha istituito un’imposta sul valore dei prodotti finanziari, dei conti correnti e dei libretti di risparmio detenuti all’estero da soggetti residenti nel territorio dello Stato. Soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, gli enti non commerciali, le società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice, residenti in Italia. L’imposta è stabilita nella misura del 2 per mille annuo del valore dei prodotti finanziari ed è dovuta in proporzione alla quota e al periodo di detenzione di tali prodotti. A decorrere dal 2024 sul valore dei prodotti finanziari detenuti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, l’impostasi applica nella misura del 4 per mille annuo. Per i conti correnti e i libretti di risparmio detenuti in Paesi UE o aderenti allo Spazio economico europeo che garantiscono un adeguato scambio di informazioni l’imposta è determinata in misura fissa (34,20 euro). Per i soggetti diversi dalle persone fisiche l’imposta è dovuta nella misura massima di 14.000 euro. Il valore imponibile è costituito dal valore di mercato, rilevato al termine di ciascun anno solare nel luogo in cui sono detenute le attività finanziarie e, in mancanza, secondo il valore nominale o di rimborso.
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L’imposta sul valore degli immobili situati all’estero (IVIE)
L’art. 19, commi 13-17, D.L. 201/2011 ha istituito un’imposta sul valore degli immobili situati all’estero, a qualsiasi uso destinati (quindi anche dati in affitto o concessi in uso a terzi ad altro titolo) da soggetti residenti nel territorio dello Stato. Soggetti passivi dell’imposta sono coloro che devono corrispondere l’imposta: le persone fisiche; gli enti non commerciali, le società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice, residenti in Italia. L’imposta è dovuta proporzionalmente alla quota di possesso e ai mesi dell’anno nei quali si è protratto il possesso; a tal fine il mese durante il quale il possesso si è protratto per almeno quindici giorni è computato per intero. L’imposta è stabilita nella misura dell’1,06% del valore degli immobili e non è dovuta se il suo importo non supera i 200 euro.
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La global minimum tax
Il D. Lgs. 209/2023 ha dato attuazione ad un nuovo regime fiscale (cd. global minimum tax) che prevede un’aliquota minima di imposizione effettiva del 15%, che si applica alle società multinazionali con fatturato superiore a 750 milioni di euro.
Capitolo 17 I monopoli fiscali, le imposte di fabbricazione, i tributi doganali e i tributi minori e sostitutivi
1 I monopoli fiscali
Il monopolio fiscale dà allo Stato il diritto esclusivo di produrre e vendere, oppure soltanto produrre o vendere un dato bene allo scopo di procurarsi un’entrata fiscale. In Italia, oltre al ricordato monopolio sui tabacchi e sul sale, esistono altri monopoli fiscali tra i quali il più importante, per il gettito che assicura alle casse dello Stato, è senza dubbio il monopolio del gioco del lotto e lotterie nazionali.
2 Le imposte di fabbricazione e le imposte sui consumi
Le imposte di fabbricazione (o diritti di accisa) sono tributi che colpiscono determinati prodotti industriali nel momento in cui escono dal loro ciclo produttivo. Tali imposte trovano la loro disciplina nel D.Lgs. 26-10-1995, n. 504 con il quale è stato approvato il Testo unico sulle accise che raccoglie organicamente disposizioni succedutesi nell’arco di diversi decenni, operando il coordinamento tra di esse e la loro armonizzazione con le direttive comunitarie. Generalmente, le imposte in questione sono applicate su merci prodotte da un numero ristretto di imprese: ciò per permettere una riscossione ed un controllo più agevoli.
Del tutto simili alle imposte di fabbricazione sono alcune imposte sui consumi, come quelle che colpiscono l’energia elettrica, il gas metano e le sigarette elettroniche che pure sono prelevate direttamente dal produttore.
Obbligati al pagamento dell’accisa sono:
a) il titolare del deposito fiscale dal quale avviene l’immissione in consumo e, in solido, i soggetti che si siano resi garanti del pagamento ovvero il soggetto nei cui confronti si verificano i presupposti per l’esigibilità dell’imposta;
b) il destinatario registrato che riceve i prodotti soggetti ad accisa; c) relativamente all’importazione di prodotti sottoposti ad accisa, il debitore dell’obbligazione doganale individuato in base alla relativa normativa e, in caso di importazione irregolare, in solido, qualsiasi altra persona che ha partecipato all’importazione.
Il prodotto da sottoporre ad accisa deve essere accertato dall’Amministrazione finanziaria secondo modalità operative dettate dal Dipartimento doganale, tramite identificazione della merce per quantità e qualità. La liquidazione dell’imposta si effettua applicando alla quantità di prodotto l’aliquota d’imposta vigente alla data di immissione in consumo. Le aliquote sono riportate, per ciascuna merce, nella tariffa doganale d’uso
Si segnala che in materia, da ultimo, è stato emanato il D.Lgs. 43/2025 riguardante la revisione delle disposizioni in materia di accise. Una novità di particolare rilievo riguarda l’introduzione della figura del soggetto obbligato accreditato (cd. SOAC) che è il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa, avente sede nel territorio nazionale. In buona sostanza si tratta di un contribuente che, secondo la valutazione delle Dogane, può vantare un alto livello di affidabilità fiscale ai fini dell’accisa e per questo potrà beneficiare di alcune agevolazioni, come l’esonero (totale o parziale) dalle cauzioni dovute e di semplificazioni di tipo burocratico e contabile.
Tale soggetto assume una specifica denominazione, in relazione al settore di attività in cui opera:
— SOAC-PE (soggetto obbligato accreditato prodotti energetici, per il settore dei prodotti energetici inclusi il carbone, la lignite e il coke);
— SOAC-BA (soggetto obbligato accreditato bevande alcoliche e alcole, per il settore dei prodotti alcolici e dei relativi contrassegni);
— SOAC-T (soggetto obbligato accreditato tabacchi, per il settore dei tabacchi);
— SOAC-GE (soggetto obbligato accreditato gas-energia elettrica, per il settore del gas naturale e dell’e nergia elettrica).
3 I tributi doganali
I diritti doganali, noti anche come diritti di confine, sono le somme che devono essere pagate all’Agenzia delle Dogane per l’importazione o l’esportazione di merci. Questi diritti sono determinati in base alle tariffe doganali stabilite dall’Unione Europea e possono includere dazi, imposte e altre tasse applicabili alle merci. L’articolo 27 dell’allegato al D.Lgs. 141/2024 definisce i diritti doganali come tutti quei diritti che l’Agenzia è tenuta a riscuotere in forza di vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea o da disposizioni di legge.
Fra i diritti doganali assumono particolare rilievo i diritti di confine: questi ultimi comprendono i dazi di importazione e quelli di esportazione, i prelievi e le altre imposizioni all’importazione o esportazione, previsti dai regolamenti comunitari e dalle relative norme di applicazione, ed inoltre, per quanto concerne le merci di importazione, i diritti di monopolio, le sovraimposte di confine ed ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato. I diritti di confine sono comprensivi sia dei dazi doganali veri e propri, sia di altre imposizioni per importazione o esportazione, nonché di altri tributi (tra cui IVA e l’imposta di fabbricazione) ed hanno una funzione equilibratrice tra prezzo dei prodotti nazionali e prezzo di quelli esteri, per garantire in ossequio alle norme comunitarie, la stessa incidenza fiscale sui due tipi di prodotto
L’IVA all’importazione è stata espressamente inclusa tra i diritti di confine ai sensi dell’art. 27 dell’allegato 1 al D.Lgs. 141/2024.
Questa inclusione è stata voluta dal legislatore per chiarire che l’IVA, per le operazioni di importazione, è soggetta alla normativa unionale in materia di individuazione del debitore e di estinzione dell’obbligo doganale. In altre parole, l’IVA all’importazione è ora considerata un diritto di confine, al pari dei dazi doganali, e deve essere riscossa come tale.
Tuttavia, il comma 2 del citato art. 27 prevede delle eccezioni in cui l’IVA non costituisce un diritto di confine:
— la prima riguarda le merci che, pur essendo importate, sono destinate a un regime di transito o a un deposito doganale. In questi casi, l’IVA non viene considerata un diritto di confine poiché le merci non sono ancora immesse in consumo nel territorio nazionale e, pertanto, non sono soggette all’IVA fino a quando non vengono effettivamente immesse sul mercato;
— la seconda ipotesi si riferisce alle merci che beneficiano di un’esenzione specifica prevista dalla normativa unionale o nazionale.
Il pagamento dei diritti doganali può avvenire attraverso diverse forme, che includono il pagamento immediato al momento dell’importazione o dell’esportazione delle merci. Questo metodo è il più diretto e richiede che l’importatore o l’esportatore versi l’importo dovuto prima che le merci possano essere sdoganate. Un’altra modalità di pagamento è il pagamento dilazionato o periodico, che consente agli operatori economici di differire il pagamento dei diritti doganali. Questa opzione è particolarmente utile per le aziende che gestiscono grandi volumi di merci e necessitano di una maggiore flessibilità finanziaria. La disciplina unionale in materia di dilazioni e di altre agevolazioni di pagamento è contenuta negli artt. da 110 a 114 del Codice Doganale dell’Unione, che stabiliscono le condizioni e le procedure per ottenere tali agevolazioni. L’art. 46 dell’allegato al D.Lgs. 141/2024 specifica le modalità di calcolo degli interessi sul pagamento dilazionato. Inoltre, è possibile effettuare un deposito cauzionale di somme a garanzia del pagamento dei diritti doganali. Questo deposito serve come garanzia per l’amministrazione doganale, assicurando che i diritti dovuti saranno effettivamente pagati. Il deposito cauzionale può essere richiesto in situazioni in cui vi è un rischio percepito di mancato pagamento. Infine, le modalità di pagamento possono includere l’uso di strumenti elettronici e digitali.
4 La plastic tax
Finalizzata a colpire la produzione di plastica usa e getta e a favorire l’impiego di prodotti riciclabili o compatibili, la Plastic tax (art. 2, commi 634-652, L. 160/2019) si applica sul consumo di manufatti in plastica con singolo impiego (MACSI) e colpisce tutti i prodotti in plastica con funzione di contenimento, protezione, manipolazione o consegna di merci o di prodotti alimentari ad esempio, bottiglie, buste, vaschette per alimenti, pellicole, imballaggi in polistirolo, contenitori di detersivi, ecc.). Sono assoggettate ad imposta anche le «preforme», cioè i prodotti semilavorati realizzati con impiego — anche parziale — di materie plastiche, utilizzati per produrre i MACSI. L’ imposta doveva entrare in vigore il 1° luglio 2020 ma l’efficacia delle disposizioni è stata più volte rinviata, da ultimo al 1° gennaio 2026 (art. 9bis, D.L. 39/2024).
Sono esclusi dall’imposta: — i prodotti compostabili; — i dispositivi medici; — i contenitori per medicinali — i prodotti in plastica realizzati con materiale riciclato.
5.La sugar tax
Nel duplice intento di assicurare nuove entrate e di scoraggiare il consumo di cibi e bevande ricche di zuccheri, il governo ha introdotto nella legge di Bilancio per il 2020 (art. 1, commi 661 676, L. 160/2019) un’imposta che colpisce i consumi di bevande contenenti zuccheri aggiunti, definite bevande edulcorate. Non paga l’imposta, invece, il fabbricante italiano che cede i prodotti per il consumo in altri Paesi UE o li esporta. La misura dell’imposta è stabilita in 5 euro per ettolitro (10 euro dal 1° luglio 2026) per i pro dotti finiti e 0,13 euro per chilogrammo (0,25 euro dal 1° luglio 2026) per i prodotti da diluire per la successiva utilizzazione.
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La tassa sulle emissioni di anidride solforosa e di ossidi di azoto
La tassa — istituita dall’art. 17, comma 29, L. 449/1997, è ora regolata dal D.P.R. 416/2001: colpisce gli esercenti dei grandi impianti di combustione destinati alla produzione di energia elettrica, salvo gli impianti che utilizzano direttamente i prodotti di combustione in procedimenti di fabbricazione. Gli interessati devono presentare all’Agenzia delle dogane annualmente, entro il mese di febbraio, una dichiarazione contenente tutti i dati delle emissioni relative all’anno precedente. L’importo della tassa è di 106 euro per ogni tonnellata/anno di anidride solforosa e di euro 209 per ogni tonnellata/anno di ossidi di azoto.
7 Alcuni tributi minori
Nei tributi minori si annoverano le cosiddette tasse sull’utenza della radio e televisione sono corrisposte all’ente radiotelevisivo, che le riscuote per conto dello Stato, mediante pagamento del canone annuo, da parte di chiunque detenga uno o più apparecchi atti alla ricezione radio-televisiva (R.D.L. 246/1938). Sono esclusi dal pagamento del canone gli smartphone, i tablet e i dispositivi privi di sintonizzatore. L’importo del canone varia a seconda che dell’apparecchio si faccia un uso privato (abbonamento ordinario) o al di fuori dell’ambito familiare, cioè in bar, ristoranti ecc. (abbonamento speciale).
Le tasse universitarie e scolastiche sono state determinate dall’art. 4 della L. 41/1986 e risultano enucleate nella tabella allegata sub E alla citata legge. Lo stesso art. 4 prevede i casi di dispensa dal tributo. Con L. 549/1995 è stata istituita quale tributo proprio delle Regioni e delle Province una tassa per il diritto allo studio universitario il cui gettito è destinato alla sola erogazione delle borse di studio dei prestiti di onore.
L’imposta sugli intrattenimenti (D.P.R. 640/1972 come riformulato dal D.Lgs. 60/1999) colpisce gli intrattenimenti, i giochi e le altre attività indicate nella tariffa allegata al D.P.R. 640/1972, che si svolgono nel territorio dello Stato. Soggetto passivo è chiunque organizzi gli intrattenimenti e le altre attività colpite da imposta ovvero eserciti case da gioco. Laddove l’esercizio di case da gioco sia riservato per legge ad un ente pubblico, questi è soggetto d’imposta anche se ne delega ad altri la gestione. La base imponibile è costituita dall’importo dei biglietti venduti (o degli abbonamenti) o dal prezzo corrisposto per assistere agli intrattenimenti ed alle altre attività indicate in tariffa al netto dell’IVA. Per gli spettacoli e per gli intrattenimenti e manifestazioni assimilate, la certificazione dei corrispettivi deve essere effettuata mediante titoli d’accesso emessi da misuratori fiscali o da biglietterie automatizzate. Le aliquote, proporzionali, sono quelle indicate nell’Allegato A al decreto di modifica e variano da un minimo dell’8% ad un massimo del 60% (ingresso nelle sale da gioco o nei luoghi specificatamente riservati all’esercizio delle scommesse
18 Le entrate tributarie delle Regioni, Province e Comuni
1 L’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP)
“L’IRAP è un tributo a carattere reale il cui gettito garantisce l’autonomia finanziaria delle Regioni. Presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta.”
Presupposto dell’IRAP — a norma dell’art. 2 del D.Lgs. 446/1997 — è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L’applicazione dell’imposta è esclusa soltanto qualora si tratti di attività non autonoma mente organizzate.
A tal proposito il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente:
— sia il responsabile dell’organizzazione e non sia inserito in strutture riferibili a terzi;
— impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività, ovvero si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Sono, inoltre, soggette ad IRAP le società e gli enti, compresi gli organi e le Amministrazioni dello Stato, indipendentemente dall’attività svolta.
La base imponibile, costituita dal valore aggiunto della produzione prodotto nel territorio regionale in cui il soggetto esercita l’attività, è calcolata in ragione delle risultanze del bilancio, con criteri specifici per ogni categoria di soggetti passivi (art. 4, D.Lgs. 446/1997).
L’imposta è determinata applicando al valore della produzione netta l’aliquota ordinaria del 3,9% (art. 16, comma 1, D.Lgs. 446/1997).
2 L’addizionale regionale all’IRPEF”
L’addizionale IRPEF non è deducibile da alcuna imposta, tassa e contributo. Sono obbligati al pagamento dell’addizionale tutti i contribuenti, a prescindere dalla residenza nel territorio dello Stato, per i quali, nell’anno di riferimento, risulta dovuta l’IRPEF, dopo aver scomputato tutte le detrazioni d’imposta ad essi riconosciute ed i crediti di imposta.”.
L’mporto dell’addizionale è determinato applicando l’aliquota fissata dalla Regione in cui il contribuente è residente al reddito complessivo calcolato ai fini IRPEF, al netto degli oneri dedu cibili riconosciuti ai fini dell’imposta medesima. Il D.Lgs. 68/2011 (artt. 2 e 6) ha rimodulato la disciplina in materia di aliquote dell’addizionale in oggetto. Fissata l’aliquota di base al 1,23%, ciascuna Regione a statuto ordinario può, con propria legge, aumentare o diminuire l’aliquota di base; per quanto attiene alla maggiorazione, in particolare, è stabilito il valore massimo del 2,1%.
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Le altre entrate tributarie delle Regioni
Gli altri tributi delle Regioni a Statuto ordinario sono:
— le tasse sulle concessioni regionali, che si applicano agli atti e ai provvedimenti adottati dalle Regioni nell’esercizio delle proprie funzioni e dagli enti locali nell’esercizio di funzioni regionali loro delegate. Le Regioni possono non applicare le tasse in oggetto. Dal 2013 tali tasse sono state trasformate in tributi propri regionali, ferma la facoltà delle Regioni di sopprimerle;
— l’imposta sulle concessioni statali, che si applica alle concessioni per l’occupazione e l’uso del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato. Dal 2013 tale tributo è trasformato in tributo proprio regionale, ferma la facoltà delle Regioni di sopprimerlo;
— la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche appartenenti alle Regioni. Dal 2013 tale tributo è trasformato in tributo proprio regionale, ferma la facoltà delle Regioni di sopprimerlo;
— le tasse automobilistiche, il cui intero gettito, con alcune limitate accezioni, è stato attribuito (D.Lgs. 504/1992) alle Regioni a statuto ordinario. Fermo restando i limiti massimi di manovrabilità previsti dalla legislazione statale, dal 2013 le Regioni disciplinano le tasse in oggetto quali tributi propri regionali
— l’addizionale all’accisa sul gas naturale;
— la tassa regionale per il diritto allo studio universitario;
— la tassa speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi urbani. È previsto che la Regione destini una quota parte del tributo ai Comuni ove sono ubicate le discariche o gli impianti di incenerimento senza recupero energetico e ai Comuni limitrofi effettivamente interessati dal disagio provocato dalla presenza dell’impianto; — l’imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili. Ferma la facoltà per le Regioni di sopprimerla, a decorrere dal 2013, tale tassa è stata trasformata in tributo proprio regionale;
— la compartecipazione regionale all’IVA. È fissata al 25,7% (aliquota poi più volte rideterminata, da ultimo al 62,67% per il 2021 ex D.P.C.M. 12-12-2024) del gettito complessivo del penultimo anno ed è attribuita utilizzando come indicatore di base imponibile la media dei consumi finali delle famiglie rilevati dall’ISTAT a livello regionale. Dal 2027 la compartecipazione all’IVA sarà informata al principio di territorialità, con un legame diretto al volume di affari prodotto nella Regione.
3 L’imposta municipale propria (IMU)
L’IMU (imposta municipale propria) è stata introdotta nell’ambito della legislazione attuativa del federalismo fiscale con il D.Lgs. 23/2011 (artt. 7, 8 e 9), che ne stabiliva la vigenza dal 2014 per gli immobili diversi dall’abitazione principale. A decorrere dal 1° gennaio 2025 è diventato vincolante, per tutti gli enti locali, il nuovo prospetto IMU previsto dal decreto MEF del 6 settembre 2024.Il citato decreto MEF ha previsto una drastica riduzione delle aliquote disponibili, portando da 250.000 a 128 le categorie immobiliari suddivisi per destinazione.
Presupposto dell’IMU è il possesso di immobili, vale a dire di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli siti nel territorio dello Stato qualunque sia la loro destinazione (art. 1, commi 740-741, L. 160/2019). Sono escluse dall’imposizione le abitazioni principali e le pertinenze della stessa (nei limiti di una soltanto per ciascuna categoria catastale C/2, C/6 e C/7), ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1 (abitazioni signorili), A/8 (abitazioni in villa) e A/9 (castelli e palazzi di eminenti pregi artistici e storici).Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente
Soggetti passivi dell’IMU sono: proprietari di immobili ovvero i titolari del diritto di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi, anche se non residenti nel territorio dello Stato o se non hanno ivi la sede legale o amministrativa o non vi esercitano l’attività. È soggetto passivo anche il genitore assegnatario della casa familiare a seguito di provvedi mento del giudice che costituisce il diritto di abitazione in capo al genitore affidatario dei figli. Per gli immobili, anche da costruire o in corso di costruzione, concessi in locazione finanziaria soggetto passivo è il locatario. Nel caso di concessione su aree demaniali soggetto passivo è il concessionario. Nell’ipotesi di trasferimento di proprietà durante l’anno oppure di inizio o fine dell’usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi o superficie nel corso dell’anno, il carico fiscale verrà ripartito fra gli interessati in proporzione della durata dei rispettivi diritti. Nel caso di comproprietà, invece, debitore dell’imposta è ciascun comproprietario per la sua quota.
Sono esenti dal pagamento dell’imposta: a) gli immobili destinati all’uso istituzionale dello Stato, degli enti locali, delle Comunità montane, di consorzi tra gli enti precedenti, delle ASL, delle istituzioni sanitarie pubbliche; b) i fabbricati delle categorie E (fabbricati a destinazione particolare); c) i fabbricati con destinazione a usi culturali esenti dall’IRPEF, IRES ed ILOR; d) i fabbricati destinati all’esercizio del culto e quelli di proprietà della Santa Sede esenti a norma del Trattato Lateranense; e) i fabbricati degli Stati esteri e di organizzazioni internazionali per i quali è prevista l’esenzione dall’imposta locale sul reddito dei fabbricati in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia; f) i terreni agricoli ricadenti in aree montane o in collina; g) gli immobili posseduti dai Comuni, anche con destinazione diversa da quella istituzionale, purché la loro superficie si trovi prevalentemente o interamente sul territorio comunale; h) gli immobili utilizzati da enti non commerciali e destinati allo svolgimento, con modalità non commerciali, di attività assistenziali, didattiche, ricreative, culturali, sportive, ricettive e di ricerca scientifica. Sono, altresì, esenti dall’IMU i terreni agricoli: a) posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella previdenza agricola, indipendentemente dalla loro ubicazione; b) ubicati nei Comuni delle isole minori; c) a immutabile destinazione agro-silvo-pastorale a proprietà collettiva indivisibile e inusucapibile; d) ricadenti in aree montane o di collina delimitate ai sensi dell’art. 15, L. 984/1977. Infine a decorrere dal 1° gennaio 2022 sono esenti dall’IMU i fabbricati costruiti e destinati
L’aliquota di base dell’imposta è pari allo 0,86% (0,76% per i terreni agricoli). I Comuni con deliberazione del Consiglio comunale possono aumentarla sino all’ 1,06% o diminuirla sino ad azzerata.
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La tassa sui rifiuti (TARI)
La TARI è disciplinata dal D. Lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e si basa su un sistema di calcolo che prende in considerazione la superficie dell’immobile e il numero di persone che lo abitano. In pratica, si paga una tassa fissa legata alla grandezza della casa e al numero di residenti, senza tenere conto della quantità effettiva di rifiuti prodotti. La responsabilità della gestione e della determinazione delle tariffe TARI è affidata agli enti locali comunali. Sono questi ultimi a fissare le aliquote in base al costo complessivo del servizio di gestione rifiuti, e alla regolamentazione stabilita dalla normativa nazionale.
Negli ultimi anni in molte città italiane la TARI sta venendo progressivamente sostituta dalla Tariffa Puntuale sui Rifiuti (TARIP). Entrambe costituiscono sistemi di calcolo delle imposte sui rifiuti, ma con approcci molto diversi.
La TARIP – Tariffa Puntuale, evoluzione della TARI – è unsistema più equo e puntuale, che premia chi produce meno rifiuti. Si calcola in base al volume o peso effettivo dei rifiuti prodotti. Chi riduce la produzione di rifiuti – o differenzia meglio – paga di meno. Questo modello si ispira alla filosofia (Paga per ciò che getti), promuovendo comportamenti più responsabili nei confronti dell’ambiente”.
5.Il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria”
Dal 1°Gennaio 2021 è entrato in vigore il cosiddetto canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria (nuovo canone unico). Esso sostituisce e accorpa, i seguenti tributi: la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP); il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche; l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari ed infine il canone di cui all’art. 27, commi 7e 8, del D. Lgs. 30 aprile 1992, n. 285 (codice della strada). Presupposto del canone è la diffusione di messaggi pubblicitari, anche abusiva, mediante impianti installati: su aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e su beni privati”.
6 L’addizionale comunale all’IRPEF”
Le addizionali comunali sono disciplinate dal D. Lgs. 360/1998. A differenza delle addizionali regionali, hanno un impatto fiscale minore, ma incidono comunque sul reddito dei contribuenti. Nel 2022, per alleggerire la pressione fiscale sui cittadini italiani, il Fisco ha fissato una quota di aliquota oltre la quale i Comuni non possono andare. L’aliquota limite è dello 0,8% (0,9% per Roma capitale)”.
7. Le altre entrate tributarie dei Comuni
L’imposta di scopo La L. 296/2006 (art. 1, commi 145-151) prevede che i Comuni possono istituire una imposta di scopo destinata alla parziale copertura (massimo 30%) delle spese per la realizzazione di opere pubbliche. Il D.Lgs. 23/2011 (art. 6) ha previsto la revisione di tale imposta: con proprio regolamento i Comuni possono individuare ulteriori opere pubbliche rispetto a quelle già previste; stabilire fino a 10 anni, la durata massima di applicazione dell’imposta; prevedere che il gettito dell’imposta finanzi l’intero ammontare della spesa per l’opera pubblica da realizzare.
L’imposta di soggiorno I Comuni capoluogo di Provincia, le unioni di Comuni nonché i Comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte possono istituire, con deliberazione del Consiglio, un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio (art. 4 D.Lgs. 23/2011). Responsabile del
pagamento dell’imposta è il gestore della struttura ricettiva, con diritto di rivalsa sui soggetti passivi. L’imposta che va applicata, secondo criteri di gradualità in proporzione al prezzo, sino a 5 euro per notte di soggiorno, può sostituire, in tutto o in parte, gli eventuali oneri imposti agli autobus turistici per la circolazione e la sosta nell’ambito del territorio comunale. Il limite di 5 euro viene innalzato a 10 euro nei casi del Comune di Roma e del Comune di Venezia, per tener conto delle particolari esigenze degli stessi, dovute, rispettivamente, alle funzioni di capitale e alle peculiarità della città lagunare. L’art. 46, comma 1bis, D.L. 124/2019 ha previsto la possibilità, per i Comuni capoluoghi di Provincia che abbiano registrato presenze turistiche in numero venti volte superiore ai residenti, di innalzare l’importo massino a 10 euro per notte rispetto all’attuale limite massimo di 5 euro per notte.
Il contributo di sbarco sulle isole minori L’art. 4, comma 3bis del D.L. 23/2011 ha disposto che i Comuni che hanno sede giuridica nelle isole minori e i Comuni nel cui territorio insistono isole minori possono istituire, con regolamen to, in alternativa all’imposta di soggiorno, un contributo di sbarco a sostegno degli interventi di raccolta e smaltimento dei rifiuti, da applicare fino ad un massimo di 2,50 euro (10 euro per il Comune di Venezia), ai passeggeri che sbarcano sul territorio dell’isola minore, utilizzando vettori che forniscono collegamenti di linea o vettori aeronavali che svolgono servizio di trasporto di persone a fini commerciali, abilitati e autorizzati ad effettuare collegamenti verso l’isola. I Comuni possono prevedere nel regolamento esenzioni, riduzioni o aumenti (fino ad un massimo di 5 euro) per particolari fattispecie o per determinati periodi di tempo.
L’imposta immobiliare sulle piattaforme marine L’art. 38, D.L. 124/2019 ha istituito un’imposta denominata imposta immobiliare sulle piattaforme marine (IMPi). Tale imposta, del tutto distinta dall’IMU, riguarda esclusivamente le piattaforme marine per la coltivazione di idrocarburi site entro i limiti del mare territoriale e sostituisce ogni altra imposizione immobiliare locale sugli stessi manufatti. Il criterio di determinazione dell’imposta per i manufatti in questione è simile a quello previsto per l’IMU per gli immobili appartenenti al gruppo catastale D, ossia il valore contabile rilevato. L’imposta, che va versata in due rate, è calcolata applicando l’aliquota pari al 10,6 per mille di cui la quota di imposta risultante dall’applicazione dell’aliquota del 7,6 per mille è riservata allo Stato mentre il gettito derivante dall’applicazione dell’aliquota pari al 3 per mille è destinato ai Comuni individuati in base ad apposito decreto.
Capitolo 19 Analisi economica delle imposte
1 Le imposte in generale
L’imposta, come visto in precedenza, viene definita «una prestazione coattiva, di regola pecuniaria, dovuta dal soggetto passivo, senza alcuna relazione specifica con una particolare attività dell’ente pubblico e, tantomeno, a favore del soggetto stesso il quale è obbligato ad adempiere a quella prestazione quando si trovi in un dato rapporto con il presupposto di fatto legislativo stabilito» (MICHELI).
Il presupposto dell’imposta è, in ossequio al dettato dell’art. 53 Cost., la situazione, l’atto, il fatto al cui verificarsi l’ordinamento giuridico ricollega l’assoggettabilità di un soggetto all’imposizione (ad esempio, l’essere titolare di un reddito).
In riferimento alle agevolazioni d’imposta si distingue fra deduzione, detrazione e tax expenditures.
La deduzione è l’importo che il contribuente può sottrarre dal proprio reddito allo scopo di ridurre la base imponibile. La detrazione d’imposta, invece, è la somma che il contribuente può scalare dall’imposta dovuta (e non dal reddito), applicando le normali aliquote fissate dal legislatore. Le «tax expenditures» (spese mediante imposte) comprendono le agevolazioni e le esenzioni fiscali. Le prime accordano un trattamento preferenziale a determinati soggetti passivi, in virtù di particolari situazioni personali o oggettive che necessitano di adeguata tutela. Le esenzioni fiscali rappresentano una forma di agevolazione, che permette di sottrarre dall’imposizione fiscale determinati atti di rilevanza tributaria, per motivi di politica sociale o di sviluppo economico.
2Eccesso di pressione
Deve intendersi per eccesso di pressione (impositiva), a seguito dell’applicazione di una imposta su di una determinata base imponibile, la distorsione (o inefficienza ) del mercato, per cui il beneficio del gettito dell’imposta per l’erario ( e conseguente erogazione di servizi pubblici) è inferiore alla perdita di benessere per la collettività. La variazione del rapporto tra il prezzo del Bene tassato e quello degli altri beni, produce infatti una sostituzione alla domanda del bene tassato di una domanda verso beni sostitutivi.
2. La regola di Ramsey
L’economista inglese F. P. Ramsey ipotizzava che lo Stato non fosse in grado di utilizzare un’imposta in somma fissa e quindi fosse costretto a ricorrere all’imposizione sui beni di con sumo per incrementare il gettito fiscale. Premesso ciò, Ramsey si pose tale quesito: «qual è la struttura delle imposte meno distorsiva in un simile contesto?». In pratica, egli cercò di individuare che tipo di imposta rendesse minimo l’eccesso di pressione e così pervenne all’enunciazione della seguente regola, nota appunto come regola di Ramsey: la riduzione relativa delle quantità domandate indotta dall’imposizione deve essere la stessa per tutti i beni tassabili. Inoltre, Ramsey osservò che i beni di consumo con bassa elasticità della domanda (o dell’offerta) determinano un minor incremento dell’eccesso di pressione, pertanto dovrebbero essere assoggettati ad aliquote marginali più elevate.
Capitolo 20 La teoria dell’incidenza delle imposte
1 L’oggetto di analisi della teoria
La teoria dell’incidenza studia l’impatto che le spese pubbliche e le imposte, tramite variazioni sui prezzi relativi, i profitti, la distribuzione del reddito e le altre variabili, hanno sul comportamento degli individui (BROSIO). L’analisi dell’incidenza di un’imposta può essere condotta in riferimento: al periodo di tempo considerato, all’uso che l’operatore pubblico fa del gettito prodotto dall’imposta e, infine, dagli strumenti metodologici utilizzati.
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La valutazione economica delle imposte
Sugli effetti immediati delle imposte sull’economia nazionale gli autori non sono concordi. Secondo alcuni (WAGNER, GENOVESI), le imposte, anche se gravose, sono sempre uno stimolo all’attività, poiché spingono i contribuenti a compensare con una maggiore produzione la diminuzione dei loro redditi conseguente al pagamento delle imposte. Per questi studiosi, quindi, il sistema impositivo è un mezzo importante di stimolo e propulsione dell’attività produttiva. Secondo altri (BARONE, KNIGHT, FASIANI), invece, le imposte, specialmente se troppo onerose, costituiscono sempre un freno all’attività, in quanto, opprimendo il contribuente, finiscono col paralizzare ogni sua iniziativa.
3 Traslazione, ammortamento, diffusione delle imposte
3.1 La traslazione delle imposte
L’applicazione delle imposte determina anche ulteriori effetti economici i quali turbano la ripartizione del carico tributario: la traslazione e l’ammortamento. La traslazione delle imposte può definirsi, con PANTALEONI, il processo economico per cui il contribuente, giovandosi di una posizione di privilegio, tende a riversare parte o l’intera quota del tributo pagato su un altro contribuente che ne sopporta effettivamente l’onere. A differenza dell’evasione, quindi, la traslazione non arreca alcun danno economico allo Stato; essa, però, può sconvolgere qualsiasi piano di distribuzione delle imposte escogitato dal legislatore, in quanto l’imposta finisce con l’essere sopportata da persone diverse da quelle che il legislatore stesso ha inteso colpire
La traslazione dell’imposta dal contribuente di diritto al contribuente di fatto è possibile se si verificano le seguenti due condizioni: l’imposta deve colpire beni o servizi oggetto di scambio (la traslazione non è possibile se l’imposta colpisce il reddito o il patrimonio); il prezzo dei beni o dei servizi colpiti dall’imposta deve poter essere variato. La traslazione può essere di tre tipi:
1. in avanti, se l’onere dell’imposta si trasferisce dal produttore o dal venditore al compratore
o al consumatore attraverso l’aumento del prezzo;
2. all’indietro, quando l’imposta viene trasferita dal consumatore al venditore attraverso una
riduzione della domanda del bene tassato;
3. obliqua (o laterale), se il trasferimento dell’imposta riguarda beni o servizi di genere diverso
da quelli colpiti dall’imposta, ma a questi collegati per affinità o per altri motivi.
4 L’ammortamento delle imposte
L’ammortamento dell’imposta si concretizza nella riduzione del valore di un bene patrimoniale causata dall’applicazione di un’imposta che va a colpire il flusso di redditi prodotto dal bene stesso (BOSI). Il caso classico è quello di un immobile che frutta determinate rendite annue; un’imposta su tali rendite, oltre a determinare un minor valore delle stesse, provoca una riduzione del valore del bene patrimoniale stesso, riduzione pari alla capitalizzazione (cioè al valore attuale) del tributo al tasso di interesse corrente.
5 Altri effetti microeconomici delle imposte: evasione, erosione, elisione ed elusione
5.1 L’evasione
È un comportamento in violazione della legge, che si verifica quando il contribuente tenuto al pagamento dell’imposta si sottrae in tutto (evasione totale) o in parte (evasione parziale) all’obbligo tributario. Si tratta generalmente di un comportamento doloso, in quanto il danno arrecato all’erario è intenzionalmente voluto dal soggetto (omessa dichiarazione, presentazione di una dichiarazione falsa, simulazione di passività fittizie, contrabbando, tenuta irregolare della contabilità ecc.), ma è anche ipotizzabile un comportamento colposo, se l’evasione dipende da ignoranza di norme di legge oppure da errori involontariamente commessi dal contribuente.
5.2 L’erosione
Il termine erosione si riferisce alla corrosione delle entrate fiscali per effetto di norme che con sentono certi comportamenti legali che producono una diminuzione della materia imponibile o dei tributi dovuti. Esempi di erosione sono: la presentazione di ricorsi alle Commissioni tributarie allo scopo di ritardare il pagamento dell’imposta, in connessione alla lunghezza del processo giurisdizionale
5.3 L’elisione
Si tratta di reazioni legittime all’obbligo tributario, cioè di comportamenti del contribuente conformi alle leggi. Si ha elisione quando il contribuente, colpito dall’imposta, intensifica la propria attività in modo da far fronte, con il maggior reddito ottenuto, agli aumentati oneri impositivi. In tal modo egli fa fronte all’onere tributario e conserva il tenore di vita che aveva prima dell’introduzione dell’imposta. Questo comportamento prende anche il nome di rimozione positiva, con riferimento ai suoi effetti sull’aumento della produzione nazionale e alle conseguenti maggiori entrate.
5.4 L’elusione
Si ha elusione quando il contribuente, colpito dall’imposta, diminuisce la propria attività oppure evita il pagamento dell’imposta con un comportamento malizioso, avvalendosi delle lacune o delle ambiguità della normativa tributaria. Il comportamento del contribuente provoca un danno all’erario, pur senza contravvenire alla lettera della legge (si pensi alla localizzazione di attività finanziarie presso i paradisi fiscali, per godere di un trattamento fiscale più favorevole).
Capitolo 21 Le teorie sui criteri distributivi delle imposte
1 I principi distributivi del carico tributario
1.1 Il problema della giusta distribuzione del carico tributario
La scienza delle finanze ha elaborato alcuni princìpi distributivi del carico fiscale, i più noti dei quali sono il principio del beneficio (o della controprestazione) e quello della capacità contributiva.
1.2 Il principio del beneficio
Secondo il principio del beneficio (o della controprestazione), ciascun contribuente deve essere chiamato a pagare un’imposta corrispondente al valore dei servizi pubblici che ha richiesto e di cui ha usufruito. Si tratta, dunque, di un principio pienamente riconducibile alle teorie volontaristiche, secondo le quali il cittadino sceglie liberamente di pagare una certa somma allo Stato in cambio di talune attività che non riuscirebbe a svolgere da solo e che lo Stato svolge per lui. In tale ottica, pertanto, l’imposta non rappresenta altro che il prezzo che il contribuente paga per ottenere dall’operatore pubblico un certo servizio e, al pari di quanto avviene quando lo scambio coinvolge due operatori privati, tale prezzo dovrà necessariamente corrispondere al beneficio che egli ritiene di trarre da tale servizio. Infatti, se l’imposta fosse superiore al beneficio egli potrebbe decidere di non richiedere più quel servizio. Se la ripartizione del carico tributario avviene sulla base delle libere scelte dei contribuenti, affermano i sostenitori di questo principio, allora tale ripartizione sarà inevitabilmente equa.
1.3 Il principio della capacità contributiva
Secondo tale principio, l’ammontare dell’imposta che ciascun individuo è chiamato a pa gare non deve essere calcolato in base ai benefici che egli ottiene dall’attività dello Stato ma in funzione della sua possibilità di pagare, cioè della cd. capacità contributiva. A differenza del principio del beneficio, dunque, il principio della capacità contributiva si basa sulla necessità di assegnare al sistema impositivo anche il compito di favorire una ridistribuzione della ricchezza a favore dei contribuenti più poveri. La ripartizione del carico tributario, in pratica, è equa se: individui con la medesima capacità contributiva pagano la medesima imposta (cd. equità orizzontale); individui con differenti capacità contributive pagano differenti imposte (cd. equità verticale).
1.3.1 Il principio del sacrificio assoluto uguale
Secondo il principio del sacrificio uguale, la cui prima elaborazione si deve a J.S. Mill, la ripartizione del carico tributario è equa se ciascun contribuente sopporta, in seguito al pagamento dell’imposta e quindi alla riduzione del proprio reddito, la medesima perdita di utilità in valore assoluto.Ciò non vuol dire, però, che tutti devono pagare la stessa imposta; per il principio dell’utilità marginale decrescente, infatti, soggetti che hanno un reddito elevato hanno un’utilità marginale inferiore rispetto a soggetti con reddito più basso. Se tutti pagassero la medesima imposta, i più ricchi registrerebbero una perdita di utilità inferiore rispetto ai meno ricchi e il principio non sarebbe rispettato.
1.3.2 Il principio del sacrificio proporzionale uguale
In base a tale teoria, affinché la distribuzione del carico tributario sia equa è necessario che ciascun contribuente paghi un’imposta tale da sacrificare la medesima percentuale dell’utilità complessiva che egli ottiene dal proprio reddito. In altri termini, invece di eguagliare la perdita assoluta di utilità occorre eguagliare la perdita percentuale.
1.3.3 Il principio del sacrificio minimo collettivo
Secondo tale principio (sostenuto prima da Edgeworth — 1897 — e poi da Pigou — 1928), il prelievo fiscale deve essere distribuito in modo tale da provocare nella collettività il minor sacrificio possibile, cioè la minore perdita di utilità complessiva. Poiché il sacrificio dovuto al pagamento dell’imposta (cioè, appunto, la perdita di utilità) è tanto minore quanto maggiore è il livello di partenza del reddito, l’applicazione di tale principio comporta la necessità di prelevare le imposte prima dai soggetti più ricchi e poi, solo se tale prelievo non è sufficiente a coprire le necessità dello Stato, da quelli più poveri
2 L’articolazione del sistema tributario
2.1 La scelta tra imposte dirette e indirette
Le imposte indirette, al contrario, tendono ad essere sostanzialmente regressive in quanto, andando a colpire i consumi, incidono allo stesso modo su tutti i cittadini a prescindere dalla loro capacità contributiva e, anzi, per essere redditizie, devono essere strutturate proprio in modo da colpire soprattutto i beni di prima necessità, che, in quanto tali, rappresentano una percentuale rilevante dei consumi della collettività. Nonostante queste considerazioni, negli ultimi decenni si è assistito ad una rivalutazione delle imposte indirette e molti Paesi hanno costruito un sistema tributario alquanto articolato, in cui tali imposte si sono affiancate alla tradizionale imposta sul reddito
2.2 La pressione tributaria e il teorema di Barone
E’ preferibile privilegiare le imposte dirette o quelle indirette? Fra le varie teorie elaborate in proposito, quella che ancora oggi appare largamente condivisa, elaborata agli inizi del XX secolo da Barone (cd. teorema di Barone), giunge alla conclusione che un’imposta diretta provoca minori effetti distorsivi di un’imposta indiretta. Utilizzando le curve d’indifferenza e le rette di bilancio, l’economista italiano dimostrò che, a parità di imposta prelevata dallo Stato, il sacrificio sopportato dal contribuente è maggiore nel caso in cui questo prelievo venga effettuato mediante un’imposta indiretta sui consumi, che faccia aumentare il prezzo di un certo bene, che nel caso in cui vada a incidere direttamente sul reddito.
2.3 I limiti alla pressione tributaria: la curva di Laffer
Una delle teorie più note a sostegno del contenimento della pressione tributaria è stata elabo rata dall’economista americano A. B. Laffer, esponente della supply-side economics, il quale ha sostenuto che in ogni sistema c’è un punto critico oltre il quale ogni aumento di aliquota provoca una diminuzione di gettito, finché questo si annulla quando l’aliquota raggiunge il 100% (e ciò è del tutto logico, in quanto nessun contribuente lavorerebbe per dare tutto ciò che guadagna allo Stato). Secondo Laffer, imposte troppo alte costituiscono un disincentivo a produrre, mentre imposte moderate inducono gli operatori a lavorare di più determinando, in quest’ultimo caso, un aumento della base imponibile e quindi del gettito tributario a favore dello Stato.
3 Determinazione della capacità contributiva: il concetto di reddito
3.1 Le definizioni di reddito imponibile
Cos’è il reddito e come va calcolato? Sono state elaborate in proposito tre differenti teorie: il reddito come prodotto; il reddito come entrata; il reddito come consumo.
3.2 Il reddito-prodotto
L’imposta sul reddito come prodotto assume come base imponibile il reddito derivante dalla partecipazione del contribuente al processo produttivo. I redditi colpiti sono dunque quelli da lavoro e quelli provenienti dall’esercizio di un’impresa, che costituiscono una fonte regolare di guadagno. Sono esclusi, quindi, dal computo del reddito imponibile tutti quegli introiti relativi ad incrementi del valore dei beni patrimoniali, in quanto essi non sono generati dallo sforzo produttivo degli individui.
3.3 Il reddito-entrata
Il concetto di reddito come entrata, ignorando totalmente la possibile discriminazione tra redditi provenienti da fonti diverse, estende la stessa idea di reddito fino a ricomprendervi tutte le entrate affluite all’economia del soggetto nell’unità di tempo considerata (STEVE). In pratica il reddito-entrata è null’altro che la somma algebrica del reddito prodotto e degli incrementi, o decrementi, del patrimonio individuale (STEVE, MUSGRAVE)
3.4 Il reddito-consumo
Il concetto di reddito come consumo si riferisce all’insieme di beni e servizi effettivamente consumati dagli individui. La formulazione originaria del concetto di reddito come consumo si deve ad Hobbes, il quale affermava che oggetto della tassazione non doveva essere quanto prodotto dai singoli ma quanto delle risorse collettive essi consumano. Il concetto è stato successivamente ripreso e sviluppato, in particolar modo da I. Fisher.
4 Discriminazione quantitativa e qualitativa dei redditi
Per misurare la capacità contributiva, dunque, abbiamo finora considerato un aspetto puramente quantitativo (l’entità del reddito) e per questo motivo si parla in questo caso di discriminazione quantitativa dei redditi. In tutti i moderni sistemi tributari, tuttavia, ci si è chiesti se non fosse opportuna un’ulteriore forma di discriminazione in funzione del tipo di reddito percepito (discriminazione qualitativa dei redditi); in altre parole, due redditi di eguale ammontare dovrebbero essere trattati diversamente dal punto di vista tributario a seconda dell’origine del reddito stesso. La distinzione tipica che si fa in merito è quella tra redditi da lavoro e redditi da capitale e si basa sul fatto che i primi sono redditi temporanei (legati alla durata della vita lavorativa) mentre i secondi sono potenzialmente perpetui e trasmissibili agli eredi dopo la morte.