Secondo il legislatore del 1942, il concordato preventivo, considerato una «procedura minore» rispetto a quella di fallimento, era riservato agli imprenditori commerciali sfortunati ma onesti che si trovavano in stato d’insolvenza. In tale situazione, l’imprenditore «meritevole» poteva evitare il fallimento chiedendo di essere ammesso alla procedura di concordato preventivo e sottrarsi, così, al dissesto e alle ripercussioni derivanti dalla distruzione dell’azienda. La procedura premiava il debitore e garantiva i creditori. Questi ultimi, infatti, sapevano che al concordato preventivo poteva accedere soltanto l’imprenditore meritevole (che avesse, cioè, tenuto regolarmente la contabilità nei due anni precedenti, non avesse nel quinquennio anteriore fatto ricorso al concordato preventivo o dichiarato fallito, non fosse stato condannato per determinati reati) il quale doveva assicurare (attraverso serie garanzie reali o personali) il pagamento integrale dei creditori prelatizi e una percentuale non inferiore al 40% (zoccolo duro) a quelli chirografari — o colui che proponeva la cessione di tutti i suoi beni ai creditori e la valutazione di tali beni «facesse fondatamente ritenere» soddisfatte almeno le condizioni precedentemente riferite.
La procedura di concordato preventivo ha visto le prime modifiche profondamente innovative con il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla legge 14 maggio 2005, n. 80. Con la miniriforma del 2005, e con le modifiche successivamente apportate, la procedura di concordato preventivo, regolata sempre all’interno del R.d. 16 marzo 1942, n. 267 e rubricata «Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa» è stata rivoluzionata. Sono mutate la natura e la finalità della stessa, che non può più essere appellata «minore» poiché ha assunto, anche in relazione al contesto della situazione socio economica, il ruolo di procedura «principe». Con la nuova disciplina, l’imprenditore commerciale sopra soglia, secondo i criteri stabiliti dall’art. 1 del R.d. 267/1942, che si trova in stato di crisi o d’insolvenza, può proporre ai suoi creditori la soddisfazione dei loro crediti (nelle diverse forme e modalità) secondo un piano la cui fattibilità deve essere attestata da un professionista indipendente nominato dal debitore e in possesso di determinati requisiti. Il debitore, che non è più soggetto al controllo di meritevolezza, può avanzare qualsiasi proposta, compresa quella di non pagare integralmente i creditori assisiti da cause di prelazione (ove ricorrano determinati presupposti), che dovranno essere verificati ed attestati con un’apposita relazione da un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lettera d) l.f. È caduta, quindi, l’obbligatorietà di soddisfare integralmente i creditori privilegiati e, in misura non inferiore alla soglia del 40%, i creditori chirografari; ma v’è di più, i creditori possono essere suddivisi in classi «secondo posizione giuridica e interessi economici» riservando alle diverse classi trattamenti diversificati. Le modifiche introdotte man mano, da ultime quelle ex d.l. n. 69/2013 convertito con modificazioni dalla l. n. 98/2013 (abrogazione della meritevolezza, abbassamento della percentuale necessaria per l’approvazione, eliminazione della misura minima dovuta ai creditori chirografari, possibilità di pagare in misura non integrale anche i creditori prelatizi, possibilità di ottenere finanziamenti in funzione e in esecuzione della procedura ecc.), sono state dettate dalla necessità di mantenere in vita l’azienda, sempre più considerata «bene comune» e fonte di ricchezza per la collettività e non come bene strettamente personale dell’imprenditore. La necessità di mantenere in vita l’azienda quale bene comune è sicuramente avvalorata dall’introduzione del concordato in bianco, che consente all’interessato di depositare un ricorso con allegata una scarna documentazione, riservandosi poi di presentare una proposta di concordato (o di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182bis l.f.) nel termine che gli sarà assegnato dal tribunale, usufruendo, così, di garanzie e benefici previsti in caso di deposito del ricorso contenente la proposta di concordato.
Il tribunale, nel concedere il termine (tra un minimo di 60 ad un massimo di 120 giorni), può anticipare la nomina del commissario giudiziale, che, ovviamente, ha soltanto la funzione di monitorare la situazione onde riferire al tribunale il compimento di atti non consentiti ex art. 173 l.f. In particolare, si ricorda che le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni precedenti la pubblicazione della domanda nel registro delle imprese non si consolidano. Con le ripetute modifiche del Rd. 16 marzo 1942, n. 267, nel titolo III, ora rubricato «Del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione», sono disciplinati istituti completamente nuovi: gli accordi di ristrutturazione dei debiti (art. 182bis) e la transazione fiscale (art. 182ter). Il debitore, ai sensi dell’art. 182bis l.f., può ristrutturare la sua posizione debitoria attraverso un accordo con una parte dei creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento di tutti i debiti e chiederne l’omologazione al tribunale al fine di dare stabilità all’accordo stesso. I creditori estranei all’accordo hanno comunque diritto all’integrale pagamento del loro credito.
La transazione fiscale regolata dall’art. 182ter consente al debitore di proporre, in caso di concordato preventivo o di ristrutturazione dei debiti, un pagamento parziale dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e relativi accessori (esclusa l’imposta sul valore aggiunto e le ritenute operate e non versate), nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatoria e dei relativi accessori.
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