Il D.Lgs. 6 settembre 2001 n. 368, abrogata la previgente disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato dettata dalla legge n. 230 del 1962, innova l’ordinamento interno, adeguandolo alla normazione comunitaria; ciò, segnatamente, per aver ampliato la possibilità di poter ricorrere a siffata peculiare fattispecie di lavoro temporaneo.
Peraltro, si è posta in dubbio l’ortodossia costituzionale del decreto n. 368 per il mancato rispetto dei criteri imposti al Governo dalla legge delega.
Inoltre si è ritenuto il decreto n. 368 contrario alla Direttiva CE 1999/70 per non avere rispettato la clausola di non regresso .L’una e l’altra prospettazione, se fondate, esporrebbero il decreto n. 368 a censura sia da parte della Corte costituzionale sia da parte della Corte di giustizia della Comunità Europea, eventualmente adita in via pregiudiziale.
Da qui la preliminare indagine, nel testo, sulla fondatezza di tali eccezioni.
Nella trattazione si dà poi conto degli aspetti più controversi e dibattuti della nuova disciplina.
In primo luogo, la clausola generale di cui all’articolo 1 del decreto, la cui genericità ha indotto taluna parte della dottrina a ritenere che l’apposizione del termine non debba essere più giustificata dalla temporaneità dell’occasione di lavoro. La tesi, avallata anche da circolare ministeriale, ha imposto l’esame critico delle ragioni addotte per sostenerla.
Anche le previsioni sulla forma hanno dato luogo a contrasti dottrinali positivamente esaminati. Si è discusso del significato della previsione secondo la quale il termine potrebbe risultare dal documento contrattuale anche indirettamente .
Si è, parimenti, posto l’interrogativo sulla sorte del contratto di lavoro a termine, qualora fosse giudizialmente accertata l’insussistenza delle ragioni addotte dal datore di lavoro a giustificazione del termine stesso, essendo da taluno negata la conversione del contratto formalmente a termine in contratto a tempo indeterminato.
Novellata regolamentazione, seppur per più punti confermativa della precedente, hanno ricevuto le ipotesi della continuazione della prestazione lavorativa oltre la scadenza del termine, della proroga e della riassunzione .
Al pari della precedente disciplina, il decreto n. 368 tace sulla eventualità di reiterate assunzioni a termine dello stesso lavoratore , rispettati gli intervalli tra l’una e l’altra assunzione. Pertanto, si è potuta negare la ricorrenza di una ipotesi di frode alla legge ex art. 1344 cod. civ., con conseguente conversione dei successivi contratti a termine in un unico contratto a tempo indeterminato per violazione delle norme imperative disciplinatrici dello stesso.
Puntuali disposizioni escludono dall’ambito di applicazione del decreto talune fattispecie contrattuali , come il lavoro temporaneo, l’apprendistato, il contratto di formazione e lavoro, i contratti di lavoro agricolo, gli stages formativi.
Il che ha imposto l’esame dei tratti caratteristici di ciascuno dei menzionati tipi contrattuali , sia pure sommariamente per dar conto della scelta operata dal legislatore delegato.
Infine è mutata, quanto meno formalmente, la funzione della contrattazione collettiva, non più deputata all’individuazione di ulteriori fattispecie di lecita apposizione del termine oltre quelle tassativamente previste dalla legge. La contrattazione collettiva ora può solo limitarsi a stabilire la quantità delle assunzioni a termine effettuande ai sensi dell’art. 1 del decreto n. 368, restando escluse dal contingentamento più fattispecie in larga parte coincidenti con quelle già tassativamente previste dalla richiamata legge del 1962. Da più parti si è ravvisata e lamentata questa marginalità attribuita all’autonomia collettiva. Ma una ancor isolata, eppur meditata dottrina reputa il contrario: la contrattazione collettiva lecitamente potrebbe delimitare le fattispecie di assunzione a termine. E in tal senso dispongono recenti contratti collettivi.
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