Con la legge 145/2002 il Parlamento italiano è direttamente intervenuto, per la prima volta dopo anni di legislazione delegata, a dettare nuove norme in tema di dirigenza statale .
Ciò testimonia sicuramente il valore strategico che la maggioranza di governo ha voluto imprimere a questa operazione di novella. L’impressione è, anzi, che si sia inteso chiudere un ciclo, quello segnato dai dieci anni intercorsi dalla legge delega 421/1992, madre del D.Lgs. 29/1993 e della privatizzazione del pubblico impiego.
Il legislatore del 2002 si è, infatti, mosso non tanto in un’ottica di riordino, quanto di sostanziale ripensamento di alcune coordinate chiave dell’assetto della dirigenza. In particolar modo, i tre assi tematici interessati sono stati quello delle dinamiche dei rapporti tra dirigenti e organi di indirizzo politico; quello del rinnovo degli strumenti volti ad assicurare una maggiore qualificazione professionale dei dirigenti pubblici; quello, infine, degli snodi tra la dirigenza e il restante personale (vedi le norme relative alla delegabilità di funzioni dirigenziali e alla vicedirigenza).
Tocca ora agli interpreti, agli operatori, ai protagonisti della contrattazione collettiva e alla giurisprudenza verificare le criticità e/o le opportunità che le nuove norme pongono, nella prospettiva della crescita di una dirigenza pubblica maggiormente capace di elevare gli standard delle amministrazioni di riferimento.
L4/A
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