Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 27 aprile 2006, n. 97, ed entrato in vigore il 12 maggio, il Decreto Legislativo 24 marzo 2006, n. 155 recante ‘Disciplina dell’impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118’ è composto di 18 articoli che disegnano l’ossatura giuridica dell’impresa sociale e le materie di competenza.
Si tratta, sostanzialmente, di un’iniziativa legislativa finalizzata a stabilire una disciplina ordinamentale della materia e per la quale già da tempo non appariva sufficiente la legge 381/91 sulle cooperative sociali.
Il Decreto segna un deciso passo avanti, sotto il profilo civilistico, del variegato mondo delle organizzazioni con scopi non di lucro, noto come no profìt , e pone le basi per una loro sistemazione organica, offrendo diverse ed ulteriori possibilità di articolazione.
Il Terzo Settore, negli ultimi anni, ha subito una vera e propria ‘esplosione’ nella maggior parte dei Paesi europei, ed ha contribuito allo sviluppo di un nuovo tipo di imprenditorialità che riveste un ruolo importante non soltanto per le implicazioni sociali, ma anche e soprattutto per le ricadute economiche ed occupazionali. Una realtà, questa, fortemente variegata, che comprende soggetti con differenti connotazioni giuridiche, la cui attività si colloca al di fuori della logica del profitto, propria del mercato.
Sotto la medesima dizione viene, quindi, ricompreso un insieme estremamente articolato e differenziato di enti e di organizzazioni, di cui è difficile rintracciare caratteri comuni.
Non v’è dubbio che le varie leggi di settore – pensiamo alla legge quadro sul volontariato (266/91), alla legge sulla cooperazione sociale (381/91), alla legge sull’associazionismo di promozione sociale (383/2000), alla legge quadro sull’integrazione dei servizi sociali e sociosanitari (328/00), al decreto legislativo sulle ONLUS (460/97) – abbiano contribuito non poco a modificare lo scenario delle politiche sociali, facilitando e promuovendo la crescita di importanza del Terzo Settore nell’erogazione dei servizi sociali.
Lo Stato, che non è più così sicuro del suo ruolo e che non ha più la visione che ha caratterizzato le riforme sociali degli anni ’60 e ’70, in pratica proclama l’esistenza del cittadino attivo : un cittadino che si assume nuove e vecchie responsabilità e libertà, nel senso definito dal pensiero liberale classico.
È un dato oramai acquisito che pubblica utilità non significa necessariamente gestione statale. Il concetto di impresa sociale consiste appunto in un assetto organizzativo in grado di realizzare un equilibrio sostenibile tra l’essere impresa e il perseguire finalità a carattere solidaristico per il passaggio da sistemi di protezione sociale a sistemi di integrazione sociale, per l’oltrepassamento di un sistema di Welfare State verso quella dimensione concettuale e storica di Welfare Society in cui pubblico e privato vengono chiamati all’etica della responsabilità.
Affermare la riscoperta di una dimensione comunitaria della funzione sociale pubblica non sta a significare la frammentazione del sistema di servizi e di interventi sociali: una funzione pubblica non è altro che la dimensione dinamica del doveroso agire di un soggetto (istituzionale o privato) finalizzato al perseguimento di valori che la comunità ha definito di pubblico interesse attraverso le proprie leggi.
Il Decreto apre nuove importanti prospettive al mondo imprenditoriale del no profit , anche se sono state stralciate dal testo approvato in via definitiva le norme che prevedevano agevolazioni fiscali.
Considerazione di rilievo è la presa d’atto anche da parte del legislatore della distinzione fra il concetto di imprenditoria e quello della finalità lucrativa. Si ammette così che possano esistere imprese che hanno finalità differenti dal perseguimento di un profitto, e che invece rivolgono la propria azione a fini di ‘interesse generale’. La nuova norma definisce le imprese sociali come quelle ‘organizzazioni private senza scopo di lucro che esercitano in via stabile e principale un’attività economica di produzione o di scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale ‘.
La disciplina è informata a precisi principi e criteri direttivi. Fondamentale ovviamente è il carattere sociale dell’impresa, per cui le prestazioni di beni e di servizi sono rivolte in favore di tutti i potenziali fruitori, senza limitazione ai soli soci ed associati.
Non mancano, certo, perplessità – si guardi, in particolare, il Capitolo VII dedicato alle società del Libro V c.c. – e rammarichi per un’organica definizione degli aspetti civilistici dell’impresa sociale, che rimane, al di là di tutto, una mera qualifica e la cui disciplina va in più punti a sovrapporsi non solo a norme civilistiche, ma anche a quelle speciali di settore.
Grande attesa suscita, tra i vari decreti di attuazione, quello relativo alla stesura delle linee guida (art. 10, comma 1) per la redazione del bilancio sociale, la cui nozione appare ancor oggi poco definita, esistendo, infatti, molte impostazioni diverse a fronte di ancora poche sperimentazioni ed ambiti di utilizzo, con il rischio molto concreto di utilizzare tale strumento in contesti assai diversi tra loro, senza averne dato una preventiva definizione.
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