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Interdittive antimafia: legittime per la Corte costituzionale

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Le interdittive antimafia per la Corte costituzionale. Sono ritenuti conformi al principio costituzionale della libertà di iniziativa economica privata, ad avviso degli ermellini, i provvedimenti sanzionatori la cui disciplina si rinviene nel Codice delle leggi antimafia (D.Lgs. 159/2011): nella sentenza n. 57 del 2020 viene effettuata una puntuale ricostruzione dell’istituto dell’interdittiva, alla luce della quale è superato il contrasto coi principi costituzionali emarginato nel ricorso. Interdittive antimafia e Corte costituzionale.

Il vulnus della disciplina della interdittiva, che rappresenta una sanzione molto pesante per le imprese, che comporta l’impossibilità di stipulare contratti, nonché la revoca di quelli in essere, si rinviene nella circostanza che la misura sia irrogata dall’autorità amministrativa e non giudiziaria.

Sul punto, la Corte, nel comunicato stampa che dà notizia della decisione n. 57, afferma che l’informazione antimafia interdittiva adottata dal Prefetto nei confronti dell’attività privata delle imprese oggetto di tentativi di infiltrazione mafiosa non viola il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica privata perché, pur comportandone un grave sacrificio è giustificata dall’estrema pericolosità del fenomeno mafioso e dal rischio di una lesione della concorrenza e della stessa dignità e libertà umana.

La ricostruzione dell’istituto

I Giudici di legittimità precisano in sentenza che la funzione dell’istituto è quella di prevenire fenomeni di infiltrazione mafiosa effettuando, da parte dell’autorità amministrativa, anche un controllo del fenomeno, soffermandosi sulle sue specifiche manifestazioni, sulla individuazione e valutazione dei relativi indici sintomatici.

La attività repressiva del fenomeno mafioso è invece compito dell’autorità giurisdizionale.

La giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la funzione anticipatoria della tutela della legalità all’istituto in esame, in particolare individuandone la natura “cautelare e preventiva”, frutto di un giudizio prognostico circa probabili sbocchi illegali della infiltrazione mafiosa (CdS, Ad. Plen. 6-4-2019, n. 3).

Le interdittive antimafia per la Corte costituzionale

Appare pertanto necessario anche un margine di discrezionalità dell’autorità amministrativa che emana il provvedimento, dal momento che deriva dalla natura stessa dell’informazione antimafia che essa risulti fondata su elementi fattuali più sfumati di quelli che si pretendono in sede giudiziaria, perché sintomatici e indiziari (Corte cost. sent. n. 57/2020)

Fra gli indici di una infiltrazione antimafia rientrano una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del D.lgs. n. 159 del 2011, i cosiddetti delitti spia), altri, a condotta libera, sono rimessi alla valutazione discrezionale dell’autorità amministrativa, che «può» desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del D.lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali «unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata» (citato art. 91, comma 6).

La categoria di situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, quasi riesce a delineare un sistema di tassatività sostanziale. Si citano, fra le situazioni indiziarie: i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale; le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa; la proposta o il provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione previste dallo stesso D.lgs. n. 159 del 2011; i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”; i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa; la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”; l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.

Nessun dubbio, tuttavia, che la disciplina dettata per le interdittive antimafia sia conforme a Costituzione, dal momento che le restrizioni sono innanzitutto giustificate e giustificabili dalla natura temporanea (durata di 12 mesi) della misura e, dall’altro lato, sono comunque assoggettate al controllo del giudice amministrativo circa la sussistenza dei presupposti di legalità alla base dell’adozione dell’atto.

Peraltro, richiamando la già citata funzione anticipatoria della informativa interdittiva e, in generale, di controllo del fenomeno criminale, si ammette la limitata (nel tempo) compressione della libertà di iniziativa economica privata all’esito del giudizio di bilanciamento frai valori costituzionali.

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