La Corte costituzionale, con sentenza n. 1 dell’11 gennaio 2021, ha dichiarato manifestamente
infondata la questione sollevata del G.I.P. di Tivoli in relazione all’ art. 76, comma 4-ter del D.P.R.
n. 115 del 2002 (Testo Unico in materia di spese di giustizia), che dispone l’ammissione automatica
al patrocinio a spese dello Stato delle persone offese dei delitti ivi previsti, a prescindere dai limiti
di reddito descritti dal comma 1 della stessa norma.
La norma impugnata
La questione di legittimità costituzionale sollevata ha riguardato l’art. 76, comma 4-ter, D.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, nella parte in cui, secondo l’interpretazione nomofilattica della Corte di
cassazione dispone l’ammissione automatica al patrocinio a spese dello Stato delle persone
offese dai reati di cui agli 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609- octies, e 612-bis, nonché, ove
commessi in danno di minori, dai reati di cui agli artt. 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601,
602, 609-quinquies, e 609 undecies del codice penale.
Tali disposizioni configurano, fra gli altri, i reati di maltrattamenti in famiglia, stalking, pratiche di
mutilazione degli organi genitali femminili (infibulazione), riduzione o mantenimento in schiavitù,
e numerosi altri reati contro la persona.
Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe l’art. 3 Cost. in quanto ricollega
l’ammissione al beneficio al solo verificarsi del presupposto di assumere la veste di persona offesa
di uno dei reati indicati dalla medesima norma, ed esclude un possibile apprezzamento valutativo
del giudice.
La norma censurata, nelle considerazioni del giudice remittente, disciplinando in modo identico
situazioni del tutto eterogenee sotto il profilo economico, oltre a violare il principio di uguaglianza
sostanziale, si porrebbe inoltre in contrasto anche con l’art. 24, comma 3, Cost., in quanto
l’ammissione indiscriminata e automatica al beneficio di qualsiasi persona offesa da uno dei reati
indicati porta a includere anche soggetti di eccezionali capacità economiche, a discapito della
necessaria salvaguardia dell’equilibrio dei conti pubblici e di contenimento della spesa in tema di
giustizia.
La decisione della Corte
La Corte costituzionale, uniformandosi alla propria consolidata giurisprudenza, ha dichiarato la
questione manifestamente infondata.
Infatti il patrocinio a spese dello Stato, nelle intenzioni del legislatore, “gode di ampia
discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte
adottate” (ex plurimis, sentt. 97/2019, e sentt. 47 e 80/2020).
Secondo il giudice delle leggi il legislatore nel predisporre la disciplina del gratuito patrocinio non
ha oltrepassato questo limite, e, al più, ha tenuto conto della ‘vulnerabilità delle vittime dei reati
indicati dalla norma medesima oltre che delle esigenze di garantire al massimo il venire alla luce
di tali reati’, effettuando scelte sempre ragionevoli.
Nel preambolo del D.L. 11/2009 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla
violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori) che ha introdotto il reato di stalking e la
disposizione impugnata si richiama, infatti, «la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre
misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell’allarmante
crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso un sistema di norme finalizzate al
contrasto di tali fenomeni e ad una più concreta tutela delle vittime dei suddetti reati».
Da tale preambolo, come evidenziato dalla Corte, emerge chiaramente la ratio della disciplina in
esame, “rinvenibile in una precisa scelta di indirizzo politico-criminale che ha l’obiettivo di offrire
un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura
dei reati di cui è vittima, e a incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di
emersione della verità”.
Si tratta di una valutazione “del tutto ragionevole e frutto di un non arbitrario esercizio della
propria discrezionalità da parte del legislatore”.
La Corte osserva che il beneficio accordato alle vittime di questi reati non è legato ad una
presunzione di non abbienza, avendo tutt’altro significato, collegato, in particolare, alla
vulnerabilità di queste categorie di soggetti, in ordina alla quale convergono significativi dati di
esperienza e innumerevoli studi vittimologici.
Quanto, infine, alla prospettazione della violazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. il
giudice delle leggi osserva che il limite di reddito per accedere al gratuito patrocinio ha la funzione
di assicurare ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione e, dunque,
non può “essere distorto nella sua portata, leggendovi una preclusione per il legislatore di
prevedere strumenti per assicurare l’accesso alla giustizia, pur in difetto della situazione di non
abbienza, a presidio di altri valori costituzionalmente rilevanti, come quelli in esame”.