A fronte di un mutato modo di intendere, nell’ambito dei mercati, il fenomeno della crisi e dell’insolvenza, è sorta la necessità di una revisione organica dell’intero sistema delle procedure concorsuali.
Tale procedimento di riforma è culminato, forse in via non definitiva, nel D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, già oggetto di un primo intervento correttivo, ad opera del D. Lgs. 26 ottobre 2020, n. 147. Vediamo le novità della riforma della crisi d’impresa.
Una nuova premessa di fondo: la crisi quale fenomeno fisiologico dell’impresa
Dai primi lavori di commento al nuovo codice della Crisi dell’Impresa e dell’insolvenza, la cui entrata in vigore, si precisa, è attualmente fissata al 1° settembre 2021 (ex D.L. n. 23/2020, conv. dalla l. 40/2020), emerge una certa concordia tra gli autori nel sottolineare come il riformato diritto concorsuale sia espressione di una nuova impostazione di fondo.
Tale impostazione era già stata timidamente prospettata nei precedenti e parziali interventi di riforma, che si sostanzia nel superamento della concezione dell’insolvenza quale fenomeno necessariamente e logicamente frutto di comportamenti fraudolenti, presunzione quest’ultima che lucidamente veniva riassunta nell’espressione latina “decoctor ergo fraudator”.
La crisi è elemento naturale dell’impresa, essa può prescindere dal comportamento doloso dell’imprenditore, essendo connaturata al classico rischio d’impresa.
Riforma crisi d’impresa e nuovo linguaggio: si liquida, non si fallisce.
Sul piano delle novità, non è sfuggito ai primi interpreti, innanzitutto, il diverso linguaggio adoperato dal legislatore della riforma (2019-2021). Dal punto di vista terminologico, infatti, la dizione “fallimento” e i termini da esso derivati vengono sostituiti dall’espressione «liquidazione giudiziale».
L’intervento, se non è indice di un mutamento sostanziale, visto che la relativa disciplina ricalca in larga misura la normativa fallimentare, dà conto del mutato approccio legislativo alla crisi e all’insolvenza dell’imprenditore. Rispetto all’idea di fondo della vecchia procedura fallimentare, vede esclusa quella intrinseca finalità sanzionatoria, di stampo giuridico e sociale.
Un nuovo obiettivo: conservare il valore produttivo dell’impresa finché sia possibile
Se ciò è vero, inoltre, ecco spiegato, dal punto di vista operativo, che l’obiettivo principale del nuovo Codice non è più l’espulsione dal mercato dell’imprenditore insolvente, che diventa soluzione residuale, ma è quella di consentire, finché sia possibile, la composizione della crisi, quale fase fisiologica dell’impresa.
Pertanto acquistano importanza, dal punto di vista sistematico, gli istituti volti alla conservazione dell’impresa, salvaguardandone il valore residuo, in luogo di una sua dispersione definitiva.
In funzione di ciò a predire tempestivamente situazioni di crisi, con la necessità a seguire di individuare le misure più idonee alla relativa composizione, al di fuori di un’aula di tribunale.
Altri approfondimenti giuridici sono raccolti nella rubrica Leggi&Diritto del Blog Simone.