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Le leader italiane si candidano alle elezioni europee

Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio dei Ministri, e Elly Schlein, Segretaria del Partito Democratico, si candidano alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno 2024.

Entrambe le leader, elette nel 2022 alla Camera dei deputati, hanno annunciato che, in caso di (quasi scontata) vittoria, rinunceranno al seggio europeo per continuare a ricoprire le rispettive cariche in Italia.

Le due leader non sono gli unici nomi illustri che hanno scelto di candidarsi alle europee sapendo che, in caso di vittoria, rinunceranno al seggio. Ma perché ciò avviene? E perché non è possibile ricoprire entrambe le cariche? In questo articolo proviamo a capire le ragioni di opportunità che spingono i politici a candidarsi pur sapendo che non accetteranno l’incarico elettivo e, soprattutto, approfondiamo alcune regole connesse all’elettorato passivo, cioè alla capacità di essere eletti.

Perché i leader decidono di candidarsi?

Per le elezioni europee, la Segretaria del PD ha scelto di candidarsi nelle circoscrizioni Centro e Isole, mentre il Presidente del Consiglio è la capolista di Fratelli d’Italia in tutte le circoscrizioni italiane.

Le circoscrizioni sono le porzioni di territorio in cui è diviso lo Stato. Per le elezioni europee, la L. 18/1979 suddivide il territorio italiano in cinque circoscrizioni: Circoscrizione Italia Nord-occidentale (che comprende Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria e Lombardia), Circoscrizione Italia Nord-orientale (che comprende Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna), Circoscrizione Italia centrale (che comprende Toscana, Umbria, Marche, Lazio), Circoscrizione Italia meridionale (che comprende Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria), e, infine, Circoscrizione Italia insulare (composta da Sicilia e Sardegna).

Ogni circoscrizione ha un Capoluogo di circoscrizione (rispettivamente per quelle citate: Milano, Venezia, Roma, Napoli e Palermo).

Il numero di parlamentari da eleggere per circoscrizione non è fisso, ma viene calcolato mettendo in rapporto i seggi spettanti all’Italia con il numero risultante dall’ultimo censimento della popolazione effettuato dall’Istat, cioè dall’istituto italiano che si occupa di statistiche.

Le elezioni europee 2024 sono forse quelle in cui i nomi dei candidati e delle candidate al Parlamento ha fatto più discutere. Alcune candidature, come quella dell’attività Ilaria Salis, detenuta in un carcere in Ungheria, o come quelle di politici italiani di spicco che hanno espressamente annunciato la rinuncia in caso di vittoria, hanno fatto riflettere più di altre.

Ma come vengono prese queste scelte politiche?

La leader del PD, ad esempio, ha fatto una scelta opposta rispetto a quella che a Matteo Renzi nel 2014 comportò il miglior risultato elettorale della storia del partito (che ottenne oltre il 40% delle preferenze).

Pur essendo diversa da quella dell’ex segretario del suo partito, la scelta di candidarsi non è in totale controtendenza rispetto al passato.

Le elezioni europee non sono estranee a queste candidature «di bandiera», fatte solo per raccogliere i voti degli elettori che associano il nome al partito. Nelle ultime elezioni europee (quelle del 2019) si candidarono, per poi rinunciare, Giorgia Meloni (che all’epoca era solo deputata) e l’allora Ministro Matteo Salvini. Nelle elezioni del 2014, invece, si candidò un Ministro, Maurizio Lupi, che rinunciò all’incarico, ma anche diversi intellettuali e attori.

Il primo maggio è scaduto il termine per la presentazione delle liste elettorali e tra i nomi illustri non ci sono solo le due leader del centro destra e del centro sinistra. Nelle liste troviamo anche nomi come quello del Vicepremier Antonio Tajani e del Senatore Carlo Calenda. Tra i candidati c’è anche Matteo Renzi, che attualmente ricopre la carica di Senatore.

Al momento, l’ex premier è l’unico candidato ad aver dichiarato esplicitamente che, se eletto, rinuncerà all’incarico di Senatore della Repubblica per accettare quello di parlamentare europeo. Tutti gli altri candidati sono destinati, se eletti, a rinunciare al seggio.

Dunque, ha senso, in un’elezione per scegliere i membri di un organo rappresentativo, votare per un candidato pur sapendo che non andrà a ricoprire il ruolo per il quale è stato scelto? Vediamo cosa pensano gli italiani.

Cosa pensano gli italiani?

YouTrend, magazine di sondaggi online, in collaborazione con SkyTg24 ha chiesto agli elettori italiani cosa pensano della scelta dei leader di candidarsi solo per fare da “trascinatori” con il loro nome per i partiti che rappresentano. Il risultato sembra non lasciare molto spazio a dubbi: gli italiani non hanno apprezzato la scelta. Meno del 20% la valuta positivamente, mentre più dei 60% dà un giudizio negativo.

Ma per quale motivo i candidati che abbiamo citato non possono ricoprire, oltre alle cariche che già hanno in Italia, anche il ruolo di parlamentari europei?

Le questioni relative alla capacità di essere eletti

La capacità di ricoprire cariche elettive si definisce elettorato passivo. Generalmente tutti gli elettori sono anche eleggibili. Alcune situazioni, però, possono incidere sull’elettorato passivo, limitandolo o eliminandolo. Situazioni che inibiscono l’elettorato passivo sono l’ineleggibilità, l’incompatibilità e l’incandidabilità.

L’ineleggibilità deriva dal fatto che chi si vuole candidare ricopre già una carica che potrebbe porlo in una posizione di vantaggio. Ad esempio, non possono candidarsi alla Camera dei Deputati i Presidenti delle Giunte regionali. Se il candidato ineleggibile, per errore, viene eletto, la sua elezione dovrà essere dichiarata nulla dall’organo competente.

Nel caso dell’incandidabilità, invece, la candidatura è improponibile. Originariamente prevista esclusivamente per le elezioni regionali e amministrative, è stata estesa all’assunzione di incarichi nazionali.

La Corte costituzionale (sent. 141/1996) ha chiarito che le cause di incandidabilità costituiscono una specie delle cause di ineleggibilità ma, a differenza di queste ultime, che possono essere rimosse entro un termine predefinito, le cause di incandidabilità precludono la possibilità di esercitare il diritto di elettorato passivo per il tempo espressamente previsto.

Ad esempio, nel Parlamento italiano non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire incarichi coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per alcuni specifici delitti tra i quali, ad esempio, quelli contro la pubblica amministrazione. Se una causa di incandidabilità viene accertata, la candidatura viene cancellata automaticamente dalla lista.

Ineleggibilità e incandidabilità impediscono di ricoprire l’incarico perché alcuni fattori potrebbero falsare la competizione elettorale o perché il soggetto ha riportato delle condanne che dimostrano un’attitudine criminale incompatibile con la carica da ricoprire.

Ma cosa avviene quando una persona che ricopre già una carica politica viene eletta per ricoprirne una seconda? Poiché la stessa persona non può contemporaneamente ricoprire due cariche, il legislatore ha previsto l’incompatibilità.

L’eletto dovrà optare per l’una o l’altra e, in caso di inerzia, decadrà automaticamente da una delle due cariche.

È essenziale ricordare che l’incompatibilità, a differenza dell’ineleggibilità, non impedisce la regolare elezione ad una carica, ma impone solo una scelta fra la nuova carica e quella già ricoperta.

Ad esempio, in base alla Costituzione sono incompatibili la carica di deputato e quella di senatore (art. 65).

Esiste una specifica causa di incompatibilità anche per le elezioni europee. L’incompatibilità della carica di Parlamentare europeo è stabilita dalla L. 18/1979. La carica è incompatibile non solo con quella di deputato o senatore ma anche con quella di componente del governo di uno Stato membro.

Per un approfondimento puoi consultare il nostro Compendio di diritto costituzionale e quello di diritto dell’Unione europea.