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Caso Viareggio: le conseguenze quando da vittima si diventa carnefice

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Un caso di cronaca ha scosso l’opinione pubblica. La sera di domenica 8 settembre, Cinzia Dal Pino, imprenditrice di Viareggio vittima di un furto, ha inseguito con l’auto il ladro che le aveva rubato la borsa e lo ha investito più volte. L’uomo, identificato come Said Malkoun (ma sulla cui identità si continua a discutere), è morto poco dopo per le ferite riportate.

Questo tragico episodio, oltre a sollevare questioni etiche e sociali, pone importanti interrogativi sul piano giuridico.

In questo articolo, dopo aver analizzato i fatti e gli istituti giuridici rilevanti, ipotizzeremo anche le possibili conseguenze per l’imprenditrice, passata da essere vittima di un crimine ad essere autrice di uno dei reati più gravi previsti dal codice penale: l’omicidio volontario.

Il caso

Dalle prime ricostruzioni fatte dagli inquirenti, è emerso che l’uomo, dopo aver rubato la borsa, si era allontanato. Cinzia Dal Pino allora lo ha inseguito con il SUV per più di 200 metri.  Dopo averlo trovato, lo ha investito sul marciapiede, schiacciandolo contro una vetrina, prima di recuperare la borsa e fuggire senza prestare soccorso.

Appena è stata pubblicata la notizia (e il relativo video) il caso è diventato virale e siamo tornati a parlare di legittima difesa, criminalità e sicurezza.

La Procura ha iscritto Cinzia Dal Pino nel registro degli indagati per omicidio volontario e la donna è attualmente agli arresti domiciliari nella sua abitazione con obbligo di braccialetto elettronico. Nel primo contatto con gli investigatori la donna ha dichiarato che l’uomo l’aveva minacciata dicendo di avere un coltello, che però non è stato ritrovato.

Ma vediamo quali sono gli istituti giuridici che entrano in gioco in un caso del genere e cosa effettivamente rischia Cinzia Dal Pino per le sue azioni.

Lo Stato e l’uso della violenza

Il diritto penale è quel ramo del diritto che ha l’obiettivo di garantire la pacifica convivenza delle persone che si trovano sul territorio dello Stato.

Per fare ciò, la legge impone delle regole di comportamento e stabilisce le sanzioni applicabili in caso di loro violazione.

In generale, l’uso della violenza non è consentito così come non è consentito farsi giustizia da soli.

Lo Stato, dunque, ha il monopolio per l’accertamento dei reati e per l’eventuale punizione dei colpevoli. La sanzione, infatti, viene applicata all’esito di un processo che ha l’obiettivo di stabilire se il soggetto accusato di aver commesso un crimine lo ha effettivamente commesso e quale deve essere la misura della pena.

Pur essendo questi i principi generali previsti dallo Stato, talvolta alcune azioni violente non sono punite. È quindi fondamentale capire entro quali limiti e a quali condizioni un’azione violenta, come quella dell’imprenditrice di Viareggio, può essere considerata lecita.

La legittima difesa

In linea generale, se una persona viene aggredita, può difendersi. Se poi dalla difesa deriva una lesione per l’aggressore, questa non potrà essere punita.

La legittima difesa è, in massima approssimazione, questo: l’impossibilità di subire conseguenze se il danno provocato è frutto di una reazione legittima e necessaria per un’aggressione ingiusta.

Tecnicamente la legittima difesa è una scriminante (ne abbiamo già parlato qui). Le scriminanti, anche dette cause di giustificazione, sono circostanze in presenza delle quali un fatto, che normalmente è reato, viene “giustificato” dall’ordinamento.

La legittima difesa, nello specifico, è prevista dall’art. 52 c.p., che nella sua prima parte stabilisce: «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa».

Elementi fondamentali della legittima difesa sono l’aggressione ingiusta e la difesa proporzionata.

Per il caso di Viareggio, un ulteriore dato fondamentale da considerare è quello temporale. Il ladro si era allontanato e, quindi, il pericolo non era più attuale. Per essere scriminata, la reazione deve essere rivolta ad un’aggressione che genera la probabilità effettiva di un danno.

Nel caso che stiamo trattando, come abbiamo visto, il danno (il furto della borsa) si era già verificato e la situazione rischiosa non era più in atto.

La Cassazione, infatti, ha più volte affermato che la reazione a un pericolo passato (quindi ad un danno già verificato) non è un caso di legittima difesa ma una rappresaglia o una vendetta.

Secondo i giudici della Suprema Corte, l’attualità del pericolo è un elemento indispensabile e caratterizzante per la legittima difesa: la scriminante non è applicabile quando il soggetto agisce per risentimento o ritorsione contro chi ritiene essere portatore di una qualsiasi offesa.

L’attualità è anche l’elemento che consente di distinguere la legittima difesa dalla mera difesa preventiva e dalla vendetta privata. Pertanto, le parole «pericolo attuale» si devono riferire ad un pericolo presente, in atto, in corso, incombente, con esclusione, cioè, del pericolo già esauritosi e di quello ancora futuro (Cass., sent. 12274/2017).

Nel caso di Viareggio, non può certamente parlarsi di attualità del pericolo, poiché il ladro si era allontanato.

Manca però anche un altro requisito essenziale per parlare di legittima difesa: la proporzionalità. In base al codice penale, la difesa deve essere proporzionata, oltre che necessaria. La difesa è necessaria, se non ci sono alternative all’offesa (se, ad esempio, non è possibile scappare o chiedere aiuto), e proporzionale se non eccede quanto necessario per respingere l’aggressione.

Le conseguenze e i possibili esiti

Nel caso di Viareggio l’elemento centrale da valutare è il rapporto tra l’azione compiuta e il pericolo effettivo che la donna stava affrontando.

La Corte di Cassazione in casi simili ha evidenziato che, quando l’aggressore non costituisce più una minaccia immediata, la reazione violenta diventa sproporzionata.

In una sentenza del 2024, la Corte ha affermato che «in tema di legittima difesa, la volontaria determinazione di una situazione di pericolo che poteva essere evitata allontanandosi senza pregiudizio e disonore osta alla configurabilità della causa di giustificazione, che opera solo quando l’agente è costretto a reagire al “pericolo attuale di un’offesa ingiusta”, e non anche quando egli stesso ha dato “ab initio” causa alla specifica situazione pericolosa o l’ha, comunque, affrontata, accettando il rischio di subirne gli effetti».

L’accusa principale contro Cinzia Dal Pino è quella di omicidio volontario, disciplinato dall’art. 575 c.p. L’omicidio volontario si caratterizza per la dolosità della condotta, cioè l’intenzione di uccidere un’altra persona ed è punito con la reclusione non inferiore a 21 anni.

Escludendo che possa essere applicata la legittima difesa, la difesa della donna potrebbe basarsi sulla cd. legittima difesa putativa che si realizza quando lo stato di pericolo attuale di un’offesa ingiusta non esiste nella realtà, ma viene supposto dalla persona che reagisce sulla base di un errore scusabile e determinato da una situazione obiettiva. Il comportamento del soggetto, dunque, potrebbe essere scusato anche al di fuori dei limiti della legittima difesa, se viene dimostrato che egli ha agito nella convinzione di essere in una situazione di pericolo attuale.

Nel caso della Dal Pino, la presenza del video di sorveglianza in cui si vede l’imprenditrice investire ripetutamente il ladro potrebbe confermare il dolo. La condotta, però, pur se non sembra compatibile con la legittima difesa, potrebbe essere la conseguenza dello stato di shock in cui si trovava la donna (e, dunque, potrebbe rientrare nella legittima difesa putativa). Non è facile prevedere quale sarà l’esito del processo.

Il caso di Viareggio solleva questioni complesse legate alla legittima difesa, all’omicidio volontario e alla proporzionalità della reazione rispetto al pericolo.

Cinzia Dal Pino, sebbene inizialmente vittima di un reato grave, rischia di dover affrontare gravi conseguenze penali per aver ucciso un altro essere umano. Questo caso rappresenta un monito sul confine sottile tra autodifesa e vendetta, e sulla necessità di mantenere la proporzionalità nelle reazioni di fronte a un pericolo.

Per sapere tutto sulla legittima difesa consigliamo la lettura del Compendio di diritto penale e del codice esplicato di diritto penale.