Il coraggio della Toscana: arriva la prima legge regionale sul fine vita

La Toscana è la prima Regione d’Italia ad introdurre una legge sul fine vita. Ci aveva già provato qualche mese fa il Consiglio Regionale del Veneto, dove la proposta di legge vantava anche il sostegno del suo Governatore, Luca Zaia. Il tema è delicato e sorprendentemente divisivo e mette in risalto, con prepotenza, una forte contrapposizione. Da un lato, il dolore e le sofferenze delle persone coinvolte, dei malati privati della dignità di esseri umani e dei loro familiari. Dall’altro, l’incapacità dello Stato, almeno fino a questo momento, di dare una risposta ai suoi cittadini.
In questo articolo proviamo a spiegare cosa vuol dire «fine vita» e perché è stata necessaria l’approvazione di una legge regionale. Ma soprattutto cerchiamo di spiegare qual è il contenuto della legge della Toscana e perché questa rappresenta un passo in avanti verso il riconoscimento dei diritti delle persone.
Cosa si intende per fine vita?
Quello del fine vita è un tema complesso che, proprio per la delicatezza degli interessi coinvolti, merita di essere approfondito. Ne avevamo già parlato in un precedente articolo , dopo la pubblicazione della sentenza 135/2024 della Corte costituzionale. Di quell’articolo riprendiamo qui alcuni punti chiave, per agevolare la comprensione del contenuto della legge regionale toscana appena approvata.
Quando si parla di fine vita dobbiamo distinguere:
- l’eutanasia, cioè la morte procurata intenzionalmente attraverso la somministrazione di farmaci. In questo caso, è la persona a scegliere di morire in un momento in cui è cosciente e in grado di capire le conseguenze della sua richiesta. In Italia l’eutanasia è un reato (omicidio del consenziente – art. 579 c.p.);
- il suicidio assistito, invece, è la pratica che conduce alla morte di una persona che ne fa richiesta e che si somministra da sola il farmaco letale. Come per l’eutanasia, chi fa la richiesta deve essere nel pieno possesso delle sue capacità. In Italia, il suicidio assistito è consentito solo grazie ad una sentenza della Corte costituzionale ( 242/2019 ) i cui principi sono stati ribaditi da un’altra sentenza della Corte costituzionale (la sent. 135/2024).
La sentenza 242/2019: il suicidio assistito
La Corte costituzionale è intervenuta nel noto caso DJ Fabo, soprannome di Fabiano Antoniani, che aveva chiesto di morire perchè affetto da tetraplegia e cecità. Il suo desiderio è stato realizzato grazie all’intervento di Marco Cappato, attivista per i diritti civili dell’associazione Luca Coscioni, che nel 2017 lo ha accompagnato in Svizzera. Al ritorno in Italia, però, Marco Cappato si è presentato dai Carabinieri per autodenunciarsi e nei suoi confronti è iniziato un procedimento penale. L’attivista è stato accusato del reato di istigazione al suicidio, previsto dall’art. 580 c.p.
Con la sentenza 242/2019 la Corte ha quindi stabilito che, in determinate condizioni, l’aiuto al suicidio, che normalmente, come abbiamo visto, è un reato, non è punibile. Tali condizioni sono:
- l’irreversibilità della patologia;
- la presenza di sofferenze intollerabili del paziente, che deve sopportare dolori fisici o psicologici che reputa insopportabili;
- la dipendenza da macchinari o terapie di sostegno vitale;
- la capacità di prendere decisioni in modo libero e consapevole. Il paziente deve essere in possesso della capacità di intendere e volere e deve prendere decisioni autonome e informate.
In assenza di una legge approvata dal Parlamento, che da decenni tentenna sull’argomento, con questa cruciale sentenza la Corte costituzionale ha dato a persone che convivono da anni con terribili patologie la possibilità di scegliere se vivere o morire dignitosamente.
Dunque, dal 2019, chi soffre per una patologia irreversibile, dipende da macchinari ma ha ancora la capacità di esprimere il consenso in modo libero e consapevole può essere aiutato a morire e chi gli presta aiuto non rischia di subire una condanna. La domanda è come queste persone possono accedere al suicidio assistito: in altre parole, qual è la procedura da seguire e soprattutto quali sono i tempi.
Poiché la sanità è una competenza in parte regionale e poiché non esiste una legge nazionale, ogni Regione si muove autonomamente per stabilire i tempi e i modi di accesso al suicidio assistito.
Ciò comporta notevoli differenze di trattamento nelle diverse aree del territorio nazionale.
Così, se è un dato di fatto che, a seguito della sentenza della Corte, in tutte le Regioni è possibile contattare l’ASL di riferimento e che, dopo la richiesta, l’ASL dovrà verificare la sussistenza delle condizioni indicate dalla Corte, molto più incerti sono invece i tempi di risposta. Questa procedura ha dei tempi che variano in modo considerevole. Ma questo concretamente cosa vuol dire? Concretamente vuol dire che persone già sottoposte a sofferenze permanenti non hanno certezza di se e quando queste sofferenze termineranno.
I giudici, lo ribadiamo, non possono sostituirsi al Parlamento e imporre una procedura da seguire.
La necessità di una legge regionale per il fine vita
In apertura di questo articolo ci siamo chiesti perchè è necessaria una legge regionale per garantire quello che, grazie alla sentenza della Corte costituzionale, è un diritto di tutti coloro i quali vivono in una situazione di sofferenza.
Il Parlamento dal 2019 ad oggi, pur essendo guidato da coalizioni diverse, non ha ritenuto di dover intervenire (o non ha avuto il coraggio di intervenire) per creare delle procedure univoche su tutto il territorio nazionale applicabili al fine vita, anche se non sono mancate le sollecitazioni da parte della Corte costituzionale. Essendo la sanità in parte una competenza regionale, le Regioni sono state quindi investite della responsabilità di stabilire le procedure per garantire la tutela della salute dei cittadini e il diritto di chi chiede legittimamente di avere accesso a procedure per il fine vita.
Il Veneto aveva già tentato di approvare una legge simile, ma il provvedimento non era passato per 1 voto. In modo analogo sono andate le cose anche in Lombardia. L’Emilia Romagna, invece, ha puntato all’approvazione di un regolamento e non di una legge, così come ha fatto anche la Puglia.
Ma la Toscana è riuscita a portare a termine questo atto di civiltà giuridica che garantisce certezza a chi vive in una situazione di sofferenza.
La legge regionale della Toscana sul fine vita
La legge è stata approvata definitivamente l’11 febbraio 2025, con 27 voti a favore e 13 contrari.
La legge è figlia del progetto «Liberi tutti» portato avanti dall’Associazione Luca Coscioni.
La procedura descritta dalla legge garantisce tempi certi per l’accesso al suicidio assistito: entro 54 giorni devono essere completati tutti i passaggi della procedura.
La competenza a valutare le richieste spetta ad una Commissione multidisciplinare, che avrà a disposizione tempi prefissati e si attiverà dopo aver ottenuto il parere del comitato etico competente per territorio. La Commissione sarà composta da sei specialisti in diversi ambiti esperti di cure palliative, anestesisti, psicologi ecc.
Se l’esito di questi controlli è positivo, l’ASL dovrà reperire il farmaco e gli eventuali macchinari necessari per garantire la sua auto-somministrazione al richiedente. La speranza è che l’approvazione della legge da parte della Toscana possa dare il via a iniziative simili in altre Regioni. Il Presidente del Veneto, Luca Zaia, che ha visto bocciare la proposta veneta dalla sua stessa maggioranza, ha colto l’occasione per annunciare un regolamento che garantirà tempi certi anche ai cittadini veneti.