In questo articolo approfondiremo il tema della sospensione affitti coronavirus. La crisi economica generata dalla pandemia Covid-19 e la proroga stato di emergenza al 30 aprile 2021 (L. 12-3-2021, n. 29, di conv. D.L. 2/2021), con le restrizioni ancora in atto, continuano ad avere conseguenze rilevanti sui contratti a lungo termine, come la locazione, con richieste di riduzione del canone o tardivo pagamento da parte del conduttore. Gli effetti riguardano sia le locazioni commerciali sia le locazioni abitative. Ci sono delle ipotesi di sospensione affitti Covid? Se sì, in quali casi è possibile? Cos’è il Fondo inquilini morosi incolpevoli 2021?
Vediamo quali sono i casi più importanti per gli affitti Covid:
- la pandemia come fatto sopravvenuto che altera l’equilibrio contrattuale;
- la pandemia come causa di impotenza finanziaria del debitore.
Analizziamoli di seguito.
Primo caso: la pandemia come fatto sopravvenuto che altera l’equilibrio contrattuale
I contratti a lungo termine per continuare ad essere rispettati ed applicati dai contraenti, alle condizioni convenute, presuppongono che resti intatto lo scenario di cui le parti hanno tenuto conto al momento della stipula del negozio.
La pandemia può considerarsi come il fatto sopravvenuto, che viene ad alterare l’equilibrio contrattuale a favore di una parte rispetto all’altra, la quale riceve uno svantaggio dal protrarsi della esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente.
Ad esempio, è il caso della chiusura forzata di un esercizio commerciale locato sul presupposto di esercitarvi l’attività. Riguardo alle locazioni abitative, è il caso della locazione dell’immobile da parte del lavoratore o dello studente fuori sede, rientrati presso l’abitazione di residenza, per lavorare o studiare a distanza.
In questi casi il conduttore che abbia interesse alla conservazione del contratto di locazione potrebbe chiedere la riduzione del canone, in conseguenza del minore godimento dell’immobile.
Squilibrio contrattuale: cosa prevede il Codice civile
La parte che subisce l’aggravamento della propria posizione contrattuale è legittimata solo a chiedere la risoluzione del contratto e non anche la sua conservazione con equa rettifica delle condizioni contrattuali.
L’art. 1467 c.c., riguardo all’eccessiva onerosità sopravvenuta, dispone infatti che se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, come è il caso della pandemia, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, mentre è la parte contro la quale è domandata la risoluzione che può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.
Il contraente a carico del quale si verifica l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione non può dunque pretendere che l’altro contraente accetti l’adempimento a condizioni diverse da quelle pattuite.
Quindi, nella locazione il pagamento del canone continuerebbe ad essere dovuto benché l’utilità che il conduttore ne ricava sia ridotta o nulla.
Il principio di equilibrio contrattuale e l’obbligo di rinegoziare
Quando una sopravvenienza alteri l’equilibrio negoziale, la parte danneggiata deve poter avere la possibilità di rinegoziare il contenuto delle prestazioni. Questo nuovo principio, affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza (v. Relazione 56/2020 Ufficio del Massimario Cassazione), è insito nel sistema giuridico che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza (artt. 1175 e 1375 c.c.).
Il contraente svantaggiato può dunque chiedere alla controparte l’adeguamento del contratto, segnalando eventualmente le modifiche da apportare alle condizioni precedentemente pattuite. L’obbligo di rinegoziare non impone alla controparte di concludere il contratto modificativo alle condizioni volute dal debitore, ma certamente le impone di intraprendere nuove trattative e di considerare seriamente la richiesta del debitore.
La parte avvantaggiata non può opporsi in maniera assoluta e ingiustificata alla rinegoziazione; in tal caso, a riequilibrare il contratto interviene il giudice (ex art. 1374 c.c.).
Dunque, il locatore dovrà valutare la riduzione del canone proposta dal conduttore, oppure accordarsi con il conduttore per rinegoziare il canone. In caso di rifiuto assoluto e ingiustificato del locatore, il conduttore dovrà rivolgersi al giudice che provvederà a riequilibrare il contratto.
Secondo caso: la pandemia come causa di impotenza finanziaria del debitore
La pandemia può porsi anche come un evento di particolare gravità che causa una mancanza di liquidità per far fronte al pagamento del canone di locazione.
Il caso è quello di una riduzione o della perdita del lavoro da parte del conduttore.
Impotenza finanziaria del debitore: cosa dice il Codice civile
Il mancato o tardivo o parziale pagamento di somme dovute, e quindi anche del canone di locazione, è da considerare ingiustificato e imputabile, in quanto il concetto di impossibilità della prestazione non ricomprende la c.d. impotenza finanziaria, pur se determinata dalla pandemia.
Per principio generale, il debitore si considera sempre in grado di pagare con tutti i suoi beni e non solo con il denaro (art. 2740 c.c.).
Misure di sostegno per gli affitti Covid
In caso di impotenza finanziaria dovuta a pandemia, l’ordinamento non è rimasto insensibile e sono stati approntati rimedi di altra natura.
La legge prevede la sospensione degli sfratti per mancato pagamento del canone, più volte prorogata e ora al 30-6-2021, anche per immobili ad uso non abitativo.
Fondo inquilini morosi incolpevoli 2021
Inoltre è previsto l’accesso al Fondo inquilini morosi incolpevoli (d.m. 23-6-2020), tra i quali sono stati compresi i soggetti che pur non essendo destinatari di provvedimenti esecutivi di sfratto, hanno subìto, per effetto dell’emergenza da Covid-19, perdite reddituali accertate superiori al 30% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente non riuscendo a sostenere il pagamento dei canoni di locazione, in assenza di liquidità economica.
Infine, l’accesso al Fondo nazionale per il sostegno alle abitazioni in locazione è stato ampliato ai soggetti in possesso di un indice ISEE non superiore a euro 35.000, che dichiarino di aver subìto, in ragione dell’emergenza COVID-19, una perdita del proprio reddito IRPEF superiore al venti per cento nel periodo marzo-maggio 2020 rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente e di non disporre di sufficiente liquidità per far fronte al pagamento del canone di locazione (d.m. 12-8-2020).
Affitti Covid: il ritardo nel pagamento del canone di locazione
L’emergenza sanitaria rientra tra gli elementi rilevanti per escludere la gravità (ex art. 1455 c.c.) del tardivo pagamento del canone.
Ciò si verifica quando il conduttore di immobile a uso commerciale svolga un’attività che sia stata direttamente compromessa dalle misure di contenimento, a causa della chiusura forzata.
Ma anche nel caso in cui si tratti di attività rimaste aperte in quanto l’emergenza sanitaria può avere inciso sui ricavi in maniera riflessa (ad esempio, a causa della minore circolazione di persone).
La giurisprudenza di merito applica in tal caso la previsione generale dell’art. 3, c. 6bis, d.l. 23-2-2020, n. 6, conv. in. l. 5-3-2020, n. 13 secondo la quale il rispetto delle misure di contenimento è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti. Tuttavia, per la Cassazione (v. Relazione 56/2020 Ufficio del Massimario Cassazione) la norma non è applicabile alle obbligazioni pecuniarie, sicché il tardivo pagamento di somme dovute rimane, allo stato e in linea di principio, ingiustificato e imputabile, rientrando tra le ipotesi di impotenza finanziaria.
Questo articolo sulla sospensione degli affitti Covid e altri approfondimenti li trovi nella rubrica Leggi&Diritto del Blog Simone.