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Riforma abuso d’ufficio 2020: le novità e il punto della Cassazione

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Riforma abuso d’ufficio 2020. Un decreto di ampia portata precettiva, noto come “Decreto semplificazione” (D.L. 16-7-2020, n. 76, convertito in L. 11-9-2020, n. 120), ha previsto una sostanziale riforma della struttura oggettiva del delitto di abuso d’ufficio (art.323 c.p.). L’idea ispiratrice della riforma è che la ripresa del Paese possa essere facilitata da un allentamento delle responsabilità dei pubblici amministratori.

L’abuso d’ufficio: un delitto dalla vita “travagliata”

L’abuso d’ufficio giunge, con quella in esame, alla sua quarta formulazione, dal 1930 ad oggi. In ciascuna delle riforme succedutesi nel tempo, l’obiettivo del legislatore è sempre stato quello di delimitare in modo puntuale i margini di rilevanza di tale fattispecie sussidiaria, o “di chiusura” (configurabile, cioè, “salvo che il fatto non costituisca più grave reato”). Lo si è fatto, in particolare, nel ’97, inserendo nel testo della previsione il riferimento alla violazione di norme di legge o di regolamento, in luogo del generico “abuso dell’ufficio”, e lo si è fatto anche nella riforma attuale, col dichiarato intento di rasserenare funzionari e amministratori pubblici, chiamati a ‘darsi da fare’ per facilitare la ripresa del Paese.

Riforma abuso d’ufficio: novità 2020

Il correttivo operato dal c.d. “Decreto semplificazione” si è tradotto nella sostituzione, nel “corpus” dell’art. 323 c.p., quale oggetto della violazione penalmente rilevante, del riferimento a «norme di legge o di regolamento» con quello a «specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».

Le novità possono essere, dunque, così schematizzate:

  • è stata, innanzitutto, esclusa la rilevanza della violazione di norme contenute in regolamenti. L’abuso potrà, infatti, essere integrato solo dalla violazione di «regole di condotta…previste dalla legge o da atti aventi forza di legge», cioè da fonti primarie;
  • si è, altresì, escluso che la violazione di principi generali possa integrare l’abuso d’ufficio, vincolandosi l’abuso penalmente rilevante alla violazione di specifiche ed espresse regole di condotta (con l’intento di incrementare la capacità selettiva delle condotte rilevanti, garantendo una maggiore prevedibilità delle conseguenze degli illeciti nell’attività amministrativa);
  • si è, infine, attribuita rilevanza alle sole regole che non implicano l’esercizio di un potere discrezionale da parte del soggetto agente, per tal via escludendo che la violazione di una specifica ed espressa regola di condotta, caratterizzata da margini di discrezionalità, possa integrare un abuso d’ufficio penalmente rilevante (in tal modo tentando di arginare l’invasione del sindacato e del controllo giudiziario penale nell’attività amministrativa e, in particolare, nella gestione politica della “cosa pubblica”, attraverso indagini su eventuali ipotesi di “eccesso di potere”, sotto forma di “sviamento” del medesimo).

Prime interpretazioni giurisprudenziali della riforma

Fra le prime sentenze interpretative della Cassazione, in merito alla portata precettiva della riforma, rilevano quella in cui si individua una ipotesi di violazione di specifica regola di condotta (come richiesto dalla nuova previsione) nel rilascio del titolo abilitativo edilizio avvenuto senza il rispetto del piano regolatore generale o degli altri strumenti urbanistici (Cass.12-11-2020, n. 31873) e quella in cui si afferma che il correttivo del 2020 ha ristretto l’ambito di operatività dell’art. 323 cod. pen., determinando una parziale “abolitio criminis” in relazione alle condotte commesse prima dell’entrata in vigore della riforma mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali e astratte dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità (così, Cass. 8-1-2021, n. 442).

Riforma abuso ufficio 2020: conclusioni

In taluni commenti alla riforma, si evidenzia il cambio di impostazione politico criminale che emerge nel passaggio dalla riforma “spazzacorrotti” del 2019  (velatamente “minatoria” già nella sua denominazione) al decreto semplificazione (dal messaggio tranquillizzante per i pubblici amministratori) pur se non mancano coloro che censurano tale sostanziale allargamento delle maglie penali, ad esempio la scelta di consentire la violazione, senza conseguenze penali, con dolo intenzionale di ingiusto profitto patrimoniale o di danno ingiusto, dei regolamenti che le amministrazioni si danno, spesso attraverso procedimenti particolarmente complessi, e su cui si incardinano le principali regole di funzionamento della pubblica amministrazione, non certo il miglior modo per tutelare il buon andamento della medesima.

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