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Il principio di legalità nel diritto penale

Dolo nel diritto penale

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Caratteri generali del principio di legalità

In base al principio di legalità, nel nostro ordinamento non è sufficiente che un fatto sia antisociale o leda un bene giuridico affinché possa essere considerato reato: a tal fine occorre altresì che una legge lo preveda e lo qualifichi espressamente come tale, collegando al suo compimento l’irrogazione di una determinata sanzione penale (nullum crimen, nulla poena sine lege).

Questo principio generale è sancito dall’art. 1 del codice penale, a tenore del quale nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato, né con pene che non siano da essa stabilite (cd. sotto-principio della riserva di legge), e costituisce applicazione dell’art. 25 Cost. secondo il quale nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso (cd. sotto-principio della irretroattività della legge penale).

Il principio di legalità rinviene il suo fondamento nella tutela della libertà individuale, che può essere limitata dal potere statuale soltanto nei casi e secondo i modi espressamente previsti dalla legge.

Il suo logico corollario consiste, come sopra detto, nel divieto di retroattività della legge penale: sarebbe infatti gravemente lesivo della libertà individuale punire un soggetto per un fatto che, al momento della sua commissione, non era sanzionato penalmente, occorrendo necessariamente una preventiva e chiara (ossia, conoscibile da tutti) minaccia che funga da deterrente psicologico dal commettere reati.

Il principio di legalità non investe solo la determinazione dei fatti costituenti reato, ma anche quella delle sanzioni agli stessi collegate (pena e misura di sicurezza: artt. 1 e 199 c.p.) vincolando il giudice nella scelta della sanzione da applicare. Ciò non significa che il giudice non abbia una certa discrezionalità nello scegliere tra i vari tipi di sanzione previsti dalla legge per un determinato reato, potendo anzi egli muoversi nell’ambito dei minimi e massimi dalla legge stabiliti al fine di adeguare il più possibile la pena al disvalore concreto del fatto.

Il principio di legalità si articola in quattro sotto-principi che ne costituiscono corollari:

1) il principio di riserva di legge, cui si è accennato;

2) il principio di tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie, che impone al legislatore di formulare le norme penali in maniera chiara e precisa in modo che sia stabilito specificamente e senza possibilità di errore o incertezza ciò che è penalmente lecito e ciò che è penalmente vietato;

3) il principio di irretroattività della legge penale, di cui pure si è parlato in precedenza;

4) il divieto di analogia, secondo cui le leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati. In forza del divieto, in sostanza, il giudice non può estendere analogicamente le norme che sanciscono l’applicazione di pene e non può irrogare pene al di fuori dei casi espressamente previsti dal legislatore. È fatta salva unicamente l’interpretazione estensiva della norma, poiché con tale operazione ermeneutica si rimane pur sempre nei confini della stessa e le si attribuisce soltanto un significato più ampio, che però non esula dall’ambito di quanto tracciato dal legislatore e non si realizza un’applicazione analogica, inammissibile e vietata.

Il dibattito dottrinale sul principio di legalità

In dottrina si sono avvicendate e contrastate diverse teorie nel modo di ricostruire i caratteri del principio di legalità.

Secondo la concezione formale, il principio di legalità rimanderebbe necessariamente ad una concezione esclusivamente formale del reato, in base alla quale è tale solo il fatto espressamente previsto come illecito penale dalla legge.

Si assume, in tale ottica, che in tal modo il principio di legalità svolgerebbe una insostituibile funzione di garanzia del cittadino mirando ad evitare gli arbitri del potere esecutivo e del potere giudiziario, nonché ad assicurare la certezza e l’eguaglianza giuridica.

Tuttavia l’adesione incondizionata a tale principio, in quanto consentirebbe di punire solo i fatti già tassativamente previsti come reato, presenterebbe due inconvenienti: da un lato quello di avvantaggiare coloro che vivono ai margini della legge e che non realizzano propriamente le condotte penalmente sanzionate; dall’altro di non potersi facilmente adattare ai mutamenti della sensibilità sociale, imponendo di punire fatti che, pur se ancora previsti come reato, non sono più avvertiti come socialmente dannosi dalla collettività, e, specularmente, non consentendo di punire invece fatti lesivi di beni rilevanti che tuttavia non sono ancora previsti come reato dalla legge.

Alla concezione formale si contrappone la concezione sostanziale del reato, in base alla quale è tale il fatto socialmente pericoloso anche se non espressamente previsto dalla legge; ne deriverebbe, da tale impostazione, che sarebbero punibili le condotte socialmente pericolose anche se non criminalizzate dalla legge.

Questa concezione, anche se comporta un adeguamento automatico del diritto penale al divenire della realtà sociale, elide però la certezza del diritto e le garanzie per i cittadini, giacché è difficile comprendere in base a quale principio, e da parte di chi, una data azione sarebbe da considerarsi socialmente pericolosa.

Per tali ragioni, tutti i paesi democratici e liberali hanno optato per una concezione di tipo formale del reato.

Quanto al nostro ordinamento, esso ha adottato una nozione formale-sostanziale, che tiene conto delle diverse istanze avanzate in dottrina, in base alla quale è reato il fatto che sia (MANTOVANI):

– previsto come tale dalla legge, irretroattivamente e in forma tassativa;

– materialmente estrinsecantesi nel mondo esteriore;

– offensivo di valori costituzionalmente significativi;

– causalmente e psicologicamente attribuibile al soggetto;

– sanzionato con pena proporzionata alla rilevanza del valore tutelato nonché alla personalità dell’agente.

In assenza di tali connotati formali e sostanziali, la norma incriminatrice, qualora sanzionasse comportamenti a tutela di valori incompatibili con la Costituzione, sarebbe illegittima, e il giudice dovrebbe sollevare l’eccezione di incostituzionalità.

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