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L’analogia nel diritto penale

storia del diritto amministrativo

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L’analogia: caratteri generali

L’analogia è quel procedimento attraverso il quale vengono disciplinati i casi non espressamente previsti dalla legge mediante l’applicazione agli stessi della disciplina prevista per i casi simili (cd. analogia legis) o desunta dai principi generali dell’ordinamento giuridico (cd. analogia iuris).

Nel nostro ordinamento vige il divieto di applicazione analogica delle norme penali; tale divieto è posto dall’art. 14 delle preleggi che stabilisce che le leggi penali e quelle che fanno eccezione ai principi generali non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati.

Il divieto si desume anche dagli artt. 1 e 199 c.p., in base ai quali reati, pene e misure di sicurezza sono solo quelli espressamente previsti dalla legge, e deve infine ritenersi recepito anche dall’art. 25 Cost. sostanziandosi in un ordinario corollario del principio di legalità.

In forza del divieto, il giudice non può applicare analogicamente le norme che sanciscono la comminazione di pene o irrogare pene al di fuori dei casi espressamente previsti dal legislatore.

Differenza con l’interpretazione estensiva

L’analogia va tenuta distinta dalla, per certi versi, assimilabile figura della interpretazione estensiva: con tale operazione ermeneutica, pur attribuendo alla norma un più ampio significato ai termini che la compongono, si rimane pur sempre nell’ambito della stessa, mentre con l’analogia si esula dai confini della norma perché il caso concreto non rientra nel contenuto di essa, sebbene interpretata nella maniera più lata possibile.

Così, costituisce interpretazione estensiva attribuire al termine «uomo», utilizzato dalla norma che punisce l’omicidio (art. 575 c.p.), il significato di donna; mentre è procedimento analogico applicare la disciplina della truffa a chi sfrutta una preesistente situazione di errore, poiché l’art. 640 richiede un’attività concretantesi in artificio o raggiro.

Ambito di applicazione dell’analogia

Ci si chiede se il divieto di analogia concerna solo le norme incriminatrici, o che comunque incidono negativamente sulla libertà dell’individuo, o riguardi anche quelle norme che invece prevedono ad esempio cause di esclusione della colpevolezza, dell’imputabilità o della punibilità, la cui applicazione torna a vantaggio del soggetto.

Per coloro che sostengono che il divieto di analogia soddisfa una esigenza di certezza che non ammette eccezioni, lo stesso non può che essere assoluto: il divieto esisterebbe dunque sia in bonam che in malam partem;

Se invece si riconduce la ratio del divieto all’esigenza di garanzia delle libertà individuali contro limitazioni non espressamente previste e contro possibili arbitri del giudice, allora il divieto può essere circoscritto alle sole norme restrittive, le quali soltanto rientrano nel concetto di «leggi penali» espresso dall’art. 14 preleggi. In quest’ottica, in dottrina (FIANDACA-MUSCO) si è affermato che le norme sulle scriminanti non sarebbero norme strettamente penali, poiché tendono ad armonizzare l’ordinamento penale con gli altri rami del diritto per evitare che un fatto sia considerato penalmente illecito, e di conseguenza punito, e da altro ramo dell’ordinamento invece autorizzato o addirittura imposto.

Tuttavia non tutte le norme che prevedono effetti favorevoli al reo sono suscettibili di analogia in bonam partem, in quanto alcune di esse sono espressamente disegnate come eccezionali e quindi ne è comunque preclusa l’applicazione analogica ai sensi dell’art. 14 preleggi: si pensi alle norme che prevedono forme di immunità, che derogano al principio della generale obbligatorietà della legge penale per tutti coloro che si trovano sul territorio dello Stato.

Non hanno invece carattere eccezionale, in quanto espressione dei principi generali dell’ordinamento, le norme che prevedono le cause di giustificazione.

Così, per esempio, la disciplina prevista dall’art. 52 c.p. è applicabile alla legittima difesa anticipata che, pur in assenza dell’attualità del pericolo, presenta l’eadem ratio sussistendo la verosimile certezza di un’offesa ingiusta nel prossimo futuro, l’impossibilità di un tempestivo intervento difensivo statale e per tal via la necessità difensiva del soggetto (si pensi al caso del sequestrato che, sapendo che presto sarà ucciso non essendo stato pagato il prezzo del riscatto, uccida il suo carceriere per fuggire).

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