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Le norme
Il rapporto tra le partecipazioni sociali e la comunione legale dei beni non trova un espresso riferimento normativo.
Le norme a disposizione dell’interprete per stabilire se l’acquisto di una partecipazione sociale cada o meno in comunione sono quelle generali costituite dagli artt. 177, 178 e 179 c.c.
La ricostruzione del tema dunque ha dato vita a un accesso dibattito, nell’ambito del quale si sono configurate diverse tesi:
- I tesi: nessuna partecipazione cade in comunione
Autorevole ma minoritaria dottrina ritiene che nessuna partecipazione sociale rientri nella comunione legale, in quanto le partecipazioni, in qualsiasi tipo di società, sarebbero meri diritti di credito.
- II tesi: cadono in comunione solo le partecipazioni azionarie
Altra impostazione sostiene che costituirebbero oggetto della comunione legale solo le partecipazioni azionarie incorporate in un titolo: stante la natura di bene materiale dell’azione, incorporata come tale in un titolo rappresentativo cartolare, per queste si applicherebbe l’art. 177, lett. a).
- III tesi: tutte le partecipazioni sociali cadrebbero in comunione legale dal momento stesso del loro acquisto.
Per tale tesi la norma di riferimento sarebbe l’art. 177 lett. a). Si osserva infatti che le partecipazioni sociali sono acquisizioni patrimoniali, come tali rientranti nella nozione di acquisti compiuti. L’art. 177, lett. a), c.c. non distingue, infatti, fra acquisti compiuti, ed ogni distinzione sarebbe arbitraria e frutto di opzioni interpretative di partenza, che non troverebbero fondamento nella legge. Unica distinzione dovrebbe essere quella tra il diritto del socio sul patrimonio sociale e i diritti e doveri spettanti al socio durante l’attività sociale.
- IV tesi: rientrano nella comunione legale immediata, ai sensi dell’art. 177, lett. a), c.c., le partecipazioni comportanti responsabilità limitata, mentre ne sono escluse, per rientrare ai sensi dell’art. 178 c.c. nella comunione differita, le partecipazioni comportanti responsabilità illimitata,
Per questa tesi, che sembra quella più diffusa, nonostante alcune sentenze recenti di segno contrario, è necessario applicare tanto l’art. 177 quanto l’art. 178 c.c.
Le ragioni
La ratio dell’art. 178 c.c., in particolare, sembrerebbe quella di impedire che il coniuge non imprenditore possa essere esposto, con il proprio patrimonio, ai debiti dell’impresa alla quale partecipa l’altro coniuge, evitando così di coinvolgerlo nei rischi relativi alla gestione della medesima impresa. Dunque si è soliti affermare, alla luce dell’automatismo dell’acquisto, che nessuno può essere costretto ad assumere una responsabilità illimitata senza una sua precisa manifestazione di volontà.
Pertanto l’art. 178 c.c. sarebbe applicabile tutte le volte in cui l’acquisto della partecipazione sociale da parte di un coniuge sia espressione di un’attività che comporti il rischio di impresa e ciò a prescindere se l’impresa sia esercitata in forma individuale (ipotesi espressamente prevista dall’art. 178 c.c.) o in forma collettiva.
Inoltre, si è osservato anche che in realtà la norma dell’art. 178 c.c. tenda a tutelare il coniuge imprenditore nella sua libertà di azione nell’ambito di una iniziativa economica.
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