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Impresa commerciale e civile nel diritto commerciale

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Impresa commerciale

La nozione di imprenditore commerciale comprende, per esclusione, tutte quelle attività che non rientrano nell’attività agricola. In particolare, ai sensi dell’art. 2195 c.c., sono imprenditori commerciali coloro che esercitano:

  1. attività industriali, cioè quelle attività dirette alla produzione di beni o di servizi;
  2. attività intermediarie nella circolazione dei beni;
  3. attività di trasporto, le quali realizzano il trasferimento di persone e/o cose da un luogo all’altro per terra, aria, acqua;
  4. attività bancarie o assicurative;
  5. attività ausiliarie alle precedenti, cioè quelle che agevolano l’esercizio di tali attività o comunque sono legate a queste da un rapporto di complementarietà.

Esse sono caratterizzate dal fatto di essere esercitate da un imprenditore a favore di un altro imprenditore: si pensi, ad esempio, alle imprese di agenzia, di deposito, di mediazione.

Oggetto di specifico esame saranno i nn. 1 e 2, essendo i numeri restanti delle evidenti specificazioni delle attività descritte nei primi due numeri. Perciò, gli elementi che individuano e distinguono l’impresa commerciale rispetto all’impresa agricola sono tutti racchiusi nelle prime due categorie dell’art. 2195 c.c. e risiedono, esattamente, nel carattere industriale dell’attività di produzione di beni o servizi e nel carattere intermediario dell’attività di scambio.

In particolare:

— l’attributo industriale utilizzato al n. 1 dell’art. 2195 c.c. serve esclusivamente da discriminante generico tra attività agricole e attività commerciali: il termine industriale non è, quindi, concepito nella sua accezione tecnico-economica ovvero nel significato di «processo fisico-chimico di trasformazione delle materie prime». Le attività produttive di servizi sarebbero, poi, sempre industriali, poiché non sono riscontrabili attività agricole, in senso stretto, fornitrici di servizi;

— il requisito dell’intermediazione, di cui al n. 2 del citato articolo, equivale a scambio, cioè alla generica attività di collocazione sul mercato di beni e servizi (anche autoprodotti, cioè non acquistati da terzi).

La corretta lettura dell’art. 2195 c.c., messo a sistema con l’art. 2135 <<Imprenditore agricolo>> c.c., porta dunque a concludere che:

— tutte le attività di produzione non agricole sono industriali e conferiscono la qualità d’imprenditore commerciale;

— tutte le attività d’intermediazione nella circolazione di beni e servizi, purché non connesse ad un’attività agricola essenziale, sono attività d’impresa commerciale.

Per determinare la natura di un’impresa, quindi, è necessario stabilire in primo luogo se si tratti di un’impresa agricola a norma dell’art. 2135 c.c. Se l’attività svolta non può qualificarsi come agricola, neppure per connessione, allora siamo di fronte ad un’impresa commerciale alla quale si applicherà lo statuto dell’imprenditore commerciale.

È possibile considerare l’impresa civile quale tertium genus tra impresa agricola e impresa commerciale?

Parte della dottrina individuerebbe una terza categoria d’impresa: la cd. impresa civile. L’imprenditore civile non sarebbe, dunque, né commerciale né agricolo e sarebbe sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore, ma non a quello dell’imprenditore commerciale. Ciò si tradurrebbe, in concreto, nella esclusione dell’assoggettabilità alle procedure concorsuali in caso di insolvenza.

In particolare, a tale categoria apparterrebbero:

— le attività di produzione non industriali (imprese di caccia e di pesca, imprese di pubblici spettacoli, imprese investigative) ovvero le attività in cui manca il processo industriale di trasformazione fisica o chimica dei fattori produttivi;

— le attività di scambio non intermediatrici ovvero le attività che non implicano l’acquisto dei beni da rivendere.

La dottrina prevalente ritiene invece inammissibile l’esistenza di una terza categoria di impresa: si rifiuta concretezza, cioè, alla impresa civile, dovendosi ritenere che la dicotomia impresa agricola-impresa commerciale esaurisca ogni possibile tipo d’impresa esistente nella realtà e avente rilievo giuridico.

Ammettendo la categoria delle imprese civili, infatti, si amplierebbe l’area delle attività produttive sottratte alla più rigorosa disciplina delle imprese commerciali senza che tale trattamento di favore sia sorretto da alcuna giustificazione sostanziale.

È perciò preferibile interpretare il requisito dell’industrialità come sinonimo di attività non agricola e quindi qualificare come imprese commerciali anche quelle che producono beni o servizi senza dar luogo a trasformazione di materie prime (imprese minerarie, di pubblici spettacoli ecc.).

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