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L’impresa familiare nel diritto commerciale

compravendita

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Nozione e ratio dell’impresa familiare

Ai sensi dell’art. 230bis l’impresa familiare — istituto introdotto dalla L. 151/1975, nell’ambito della riforma del diritto di famiglia — è quella impresa agricola o commerciale in cui collaborano con l’imprenditore il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado, allorquando non ricorra un rapporto societario o di lavoro subordinato.

L’istituto dell’impresa familiare risponde alla necessità di fornire una forma di tutela ai familiari che prestano il proprio lavoro nell’ambito dell’impresa svolta dal familiare imprenditore, posto che il lavoro familiare può presumersi prestato a titolo gratuito.

Natura giuridica dell’impresa familiare

La natura giuridica dell’impresa familiare è quella di un’impresa individuale, rispetto alla quale il legislatore ha predisposto una particolare disciplina, relativamente alle prestazioni lavorative dei familiari dell’imprenditore.

Va precisato che l’impresa familiare non è giuridicamente e naturalmente piccola impresa. Impresa familiare e piccola impresa restano concetti diversi, anche se nella pratica è molto frequente che la piccola impresa sia anche impresa familiare. Di conseguenza anche l’impresa non piccola può essere impresa familiare; viceversa, si può avere una piccola impresa senza che ricorra impresa familiare, ciò nella misura in cui non ne ricorrano i presupposti previsti nell’art. 230bis.

Dalla natura giuridica di impresa individuale, discendono le seguenti conseguenze pratiche:

  • i familiari che collaborano vantano un diritto di credito nei confronti del familiare imprenditore, relativamente ai diritti patrimoniali riconosciuti;
  • l’imprenditore agisce nei confronti dei terzi in proprio e in prima persona sicché solo a lui saranno imputabili gli effetti dell’attività svolta;
  • solo l’imprenditore è responsabile delle relative obbligazioni contratte;
  • solo il familiare imprenditore sarà esposto al fallimento, ove ne ricorrano i presupposti.

Disciplina dell’impresa familiare nel diritto commerciale

Dunque, laddove non sia configurabile un diverso rapporto giuridico (lavoro subordinato, società) e non sia perciò azionabile una specifica forma di tutela, al familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nell’impresa familiare spetta un complesso di diritti di natura patrimoniale e cioè:

  1. a) ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia;
  2. b) partecipa agli utili dell’impresa familiare, ai beni acquistati con essa, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione della quantità e qualità del lavoro prestato.
  3. c) diritto sui beni acquistati con gli utili e sugli incrementi di valore dell’azienda, anche dovuti ad avviamento;
  4. d) diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda stessa.

Il diritto di partecipazione è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a favore di un altro familiare e con il consenso di tutti i partecipanti. In caso di cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione di lavoro o di alienazione dell’azienda, esso può essere liquidato in danaro.

Dal punto di vista amministrativo, spettano al titolare (in quanto l’impresa familiare resta pur sempre un’impresa individuale) le decisioni concernenti la gestione  ordinaria: egli vi provvede in piena autonomia e non è previsto alcun obbligo di previa consultazione o comunicazione ai familiari che collaborano; invece le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi, nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi ed alla cessazione dell’impresa, devono essere adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. 

L’art. 230bis c.c. riconosce, infine, a ciascun partecipe un diritto di prelazione sull’azienda, disciplinato dall’art. 732 c.c., per il caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda.

La L. 20-5-2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina

delle convivenze) ha introdotto nel codice civile l’art. 230ter che estende la disciplina dell’impresa

familiare anche al convivente di fatto. In particolare, la norma prevede che al convivente di fatto, che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente, spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Inoltre, anche riguardo alle unioni civili, la medesima legge ha disposto che alla parte che presti la propria attività nell’impresa familiare è estesa la disciplina (art. 1, comma 13, L. 76/2016).

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