Blog Simone
Quando tutti sanno ma nessuno denuncia: l’omicidio di Pamela Genini
Pamela Genini è stata uccisa, a soli 29 anni, il 14 ottobre con trenta coltellate dal suo ex compagno. A soli dieci giorni di distanza, non possiamo neanche scrivere che è stata l’ultima di una lunga serie di donne uccise, perché pochi giorni fa si è consumato un altro femminicidio.
L’omicidio di Pamela ha riempito le pagine dei giornali, i siti internet e i profili social, come già era successo per tantissimi altri casi negli ultimi anni. Sono partite due inchieste, la prima è relativa all’omicidio della giovane, la seconda, invece, punta a capire perché la procedura prevista per i casi di violenza di genere (cd. codice rosso) non ha funzionato.
Questo non è un caso isolato ma il risultato di una mentalità che nasce da lontano e che è difficile da sradicare. L’indignazione però non basta più perché quello di Pamela Genini è veramente un omicidio che si poteva evitare. A prescindere da ogni procedura esistente o in procinto di essere approvata, è ormai imprescindibile capire quali strumenti ci fornisce la legge per impedire altri episodi come questo.
Cos’è la violenza di genere?
Prima di tutto è necessario capire che nell’espressione violenza di genere (o, meglio, contro le donne) rientrano tanti comportamenti diversi tra loro, tutti accomunati dall’idea di sopraffazione di un genere (quello maschile) sull’altro.
Rientrano nella violenza di genere tutti gli atti che provocano un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica alle donne e che hanno come origine proprio il genere. Sono incluse anche le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà (così l’art. 1, Convenzione ONU sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993 ).
Rientra quindi in tale definizione ogni forma di violenza psicologica, fisica e sessuale contro una donna. Ne sono un esempio gli atti persecutori (stalking – art. 612bis c.p.), lo stupro (art. 609bis c.p.), il femminicidio (punito ora come omicidio volontario). Stiamo parlando di reati puniti in Italia così come in gran parte del resto del mondo.
Il minimo comune denominatore di tutte queste forme di violenza è l’idea che sia possibile “possedere” una persona come se fosse una cosa di proprietà.
I numeri fanno impressione
Il contatore dei femminicidi e degli atti di violenza non è mai fermo. Ogni giorno purtroppo lo si deve aggiornare.
Da gennaio ad ottobre 2025 i femminicidi accertati sono più di 73 come riporta l’Osservatorio nazionale sui femminicidi che aggiorna il conto l’8 di ogni mese.
Il fenomeno è diventato così diffuso da meritare un’analisi a parte rispetto al totale dei casi di violenza analizzati dal Ministero dell’Interno.
I dati sulle violenze di genere sono raccolti e forniti dal Dipartimento della pubblica sicurezza, direzione centrale della polizia criminale del Ministero dell’Interno, nonché dalle associazioni che si occupano di questo tipo di violenza.
Anche l’ISTAT, cioè l’Istituto nazionale di statistica, fornisce numeri da osservare con attenzione. In particolare, l’ISTAT analizza i dati relativi alle chiamate al 1522, cioè il numero di pubblica utilità contro la violenza di genere e lo stalking.
Dall’analisi di tali richieste di aiuto emerge un dato ormai scontato, cioè che è la casa il primo luogo dove queste violenze si consumano (il 68,7% delle vittime dichiara di subire violenza nelle mura domestiche) e che l’autore è quasi sempre il partner o l’ex partner.
Emerge però anche un dato veramente allarmante che riguarda le denunce. Il 75% delle donne che hanno chiamato il 1522 non ha poi denunciato la violenza subita alle autorità competenti. Alla base di questa scelta c’è quasi sempre la paura e il timore della reazione dell’autore.
Gli strumenti che ci sono già e quelli che ci saranno
L’Italia ha procedure precise per i casi di violenza contro le donne, molte delle quali sono contenute nel cd. codice rosso.
Il Parlamento sta anche per approvare una legge che introduce nel codice penale il reato di femminicidio, che sarà punito con l’ergastolo. Niente più pene blande (almeno sulla carta) per chi uccide una donna.
La legge, che sta trovando consensi unanimi in Parlamento, però, ha subito anche diverse critiche. Il valore deterrente di una pena alta, infatti, potrebbe non bastare.
Il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ha citato un dato: il femminicida nel 34% dei casi si suicida o tenta il suicidio (il dato proviene dalla relazione della Commissione parlamentare sul femminicidio). Viene da chiedersi, quindi, se una persona che pensa di togliersi la vita dopo aver ucciso l’ex compagna, possa veramente essere disincentivata dal pensiero di avere l’ergastolo al posto di qualche anno in meno di reclusione.
Una proposta in discussione
Quella sul femminicidio non è l’unica legge in discussione.
In Parlamento si discute anche di un codice rosso rafforzato 2.0. Il provvedimento contiene misure preventive che potrebbero portare a risultati migliori. Tra queste, ad esempio, l’obbligo, anche prima della convalida del giudice, del braccialetto elettronico per chi è denunciato per violenza domestica o stalking, nonché una sorveglianza attiva tramite intelligenza artificiale, che incrocia dati delle denunce e dei referti per individuare situazioni a rischio elevato, e la creazione di rifugi immediatamente disponibili per le donne che denunciano.
Le leggi, però, possono solo inseguire i numeri spaventosi di questo fenomeno. La vera differenza la fanno le denunce.
Si poteva evitare.
Come per Giulia Cecchettin e Giulia Tramontano, anche quello di Pamela Genini è un omicidio che si poteva evitare. Questo caso, però, ha qualcosa di ancora più eclatante rispetto ad altri: tutti sapevano. L’ex fidanzato, gli amici, i vicini, persino il personale sanitario che l’aveva presa in cura dopo un pestaggio e alcuni agenti. Tutti sapevano ma nessuno ha denunciato, forse per paura o forse semplicemente perchè non sapevano di poterlo fare.
Pochi giorni dopo l’omicidio di Pamela Genini un’altra donna è stata uccisa dall’ex marito a Milano. Luciana Ronchi aveva un’età ed una vita diverse da quella di Pamela, eppure la fine è stata la stessa: anche la sessantenne è stata accoltellata dall’ex marito. I due casi sono la dimostrazione che la frase “a me non può succedere” è pericolosa perché questo tipo di violenza può colpire chiunque, a prescindere dall’età, dallo stile di vita e dalle condizioni sociali.
Alla grande attenzione mediatica su questo tema spesso non corrisponde alcuna azione concreta, proviamo quindi a capire cosa si può fare quando si viene a sapere di episodi di violenza.
La denuncia è uno strumento che tutti possiamo usare
Le vittime sono spesso bloccate dalla paura, ma sarebbe forse bastata una denuncia per evitare l’omicidio di Pamela Genini.
Per essere protetti è infatti necessario allertare le autorità (forze dell’ordine e soprattutto magistratura) e i modi per farlo sono la denuncia e il referto.
La denuncia può essere presentata da qualsiasi persona che abbia notizia di questi reati.
Ed è questo il punto centrale delle storie di violenza di genere: anche chi non è la vittima può denunciare. Amici, vicini di casa o familiari possono presentare denuncia quando sanno (o sospettano) atti di violenza, anche se la donna non dovesse voler denunciare per paura o perché pensa di poter gestire la situazione.
Come dichiarato da Valerio De Gioia, magistrato e consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e su ogni forma di violenza di genere, la falla del sistema è proprio la mancanza di denuncia perché impedisce l’intervento delle forze dell’ordine e l’applicazione di tutte quelle misure cautelari che puntano a proteggere le donne che subiscono abusi.
È bene ricordare che la denuncia può essere anche anonima, senza che si debba aver paura di eventuali ritorsioni personali.
La denuncia e la querela
Spesso confuse, denuncia e querela sono atti diversi. La querela infatti è tecnicamente una condizione di procedibilità, cioè un atto necessario per poter attivare il procedimento penale, previsto solo per alcuni reati.
In alcuni casi è però vero che per perseguire l’autore di un crimine serve un’espressione di volontà della vittima, ossia la querela, ma non è una regola. Il reato di maltrattamenti contro familiari (art. 572 c.p.) di cui è stata inizialmente vittima Pamela, ad esempio, è perseguibile d’ufficio e quindi bastava una denuncia, come detto anche anonima, a far scattare le indagini. Chiunque poteva rivolgersi alle forze dell’ordine.
Se sei a conoscenza di episodi di violenza, denuncialo alle autorità.
Se sei vittima di violenza, vai su questo sito https://www.1522.eu/ o chiama il 1522 per parlare con operatrici esperte.






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