Stai preparando l’esame di procedura penale? Allora sicuramente ti troverai a dover studiare le impugnazioni. Se vuoi una spiegazione semplice e riassuntiva di questo complesso argomento, sei nel posto giusto.
In questo articolo ci concentreremo sui principi applicabili a tutte le impugnazioni.
Cosa sono le impugnazioni?
I mezzi di impugnazione sono strumenti tecnici predisposti per evitare il cristallizzarsi di errori di fatto o di diritto commessi dal giudice nella sentenza.
I mezzi di impugnazione, dunque, consentono il controllo dell’operato del giudice di primo grado e la correzione degli eventuali errori. Se ne deduce che essi sono un rimedio giuridico posto a disposizione delle parti che assumono violata la loro posizione o un loro diritto.
Il codice di rito contiene la disciplina delle impugnazioni nel Libro IX, in cui il primo Titolo (artt. 568-592) è dedicato alle disposizioni generali applicabili a tutti i mezzi di gravame, mentre i successivi Titoli contengono le disposizioni applicabili rispettivamente all’appello, al ricorso per Cassazione e alla revisione.
Prima di addentrarci nell’analisi dei principi applicabili alle impugnazioni e nella disciplina relativa ai termini e alle forme, occorre fornire qualche parola chiave relativa alla classificazione delle impugnazioni, poiché sicuramente ti capiterà di trovarle nel corso dello studio.
In particolare, le impugnazioni possono essere:
- di merito, se il giudice deve valutare la correttezza della precedente decisione, o di legittimità, se la cognizione del giudice viene limitata alla valutazione della sussistenza o meno di errori nell’applicazione della legge sostanziale o processuale;
- ordinarie, se la decisione impugnata non ha ancora assunto il carattere della definitività (non è, cioè, passata in giudicato), o straordinarie, se la decisione è già definitiva (se, cioè, si è già formato il giudicato). I mezzi di impugnazione che vanno a minare il giudicato sono straordinari, perché, appunto, derogano il principio di intangibilità della cosa giudicata;
- parzialmente devolutive, in cui la cognizione del giudice è limitata ai punti della decisione indicati nei motivi di impugnazione, o totalmente devolutive, se la cognizione è illimitata.
I principi delle impugnazioni
Avendo delineato quelle che sono le tipologie possibili di impugnazioni (di merito o di legittimità, ordinarie o straordinarie, parzialmente o totalmente devolutive), è ora possibile approcciarsi ai principi che sono applicabili a tutte le tipologie anzidette.
Tutti i mezzi di impugnazione devono rispettare alcuni principi generali, molti dei quali sono enunciati nell’art. 586 del codice di procedura penale, che apre il Libro dedicato alle impugnazioni
- Principio essenziale in materia di impugnazioni è quello di tassatività, enunciato nell’ 568, commi 1 e 3, in base al quale la legge stabilisce i casi nei quali i provvedimenti del giudice sono soggetti a impugnazione, determina il mezzo con cui possono essere impugnati e i soggetti che hanno diritto a impugnare il provvedimento.
Il principio in parola, dunque, ha una declinazione in senso oggettivo, in base alla quale è la legge a dover indicare quale provvedimento sia impugnabile e con quale strumento, e una declinazione in senso soggettivo, in base alla quale il diritto a impugnare spetta solo alla parte alla quale la legge espressamente lo conferisce.
- Ulteriore principio generalmente applicabile è quello di ricorribilità per Cassazione (art. 568, comma 2), che riprende un principio che ha trovato collocazione anche nell’art. 111 della Costituzione: i provvedimenti che incidono sulla libertà personale e le sentenze sono sempre ricorribili per Cassazione. L’art. 569, poi, riconosce alla parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado anche la facoltà di optare per il cd. ricorso per saltum, ricorrendo direttamente al giudice di legittimità.
- L’interesse a impugnare (art. 568, comma 4). Per proporre impugnazione occorre avere un interesse diretto e personale. La mancanza di interesse è causa di inammissibilità dell’impugnazione.
- Convertibilità dell’impugnazione (art. 568, comma 5). L’articolo citato esprime il principio di conservazione in base al quale spetta al giudice valutare e dare la corretta qualificazione al mezzo di impugnazione, anche qualora la parte abbia assegnato una qualificazione sbagliata al mezzo proposto («L’impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che l’ha proposta»). Laddove, dunque, la parte abbia utilizzato per impugnare il provvedimento uno strumento diverso da quello consentito, non viene dichiarata l’inammissibilità dell’impugnazione, se vi sono le condizioni previste per un altro mezzo di gravame e i termini ancora consentono la presentazione dello strumento corretto.
Allo stesso modo, un’impugnazione proposta al giudice incompetente si considera come validamente formulata innanzi al giudice competente. L’errata qualificazione del mezzo di impugnazione non ostacola l’automatica conversione, sempre che non derivi da una scelta consapevole della parte impugnante.
- Infine, la parte che ha diritto a impugnare ha un eguale diritto a rinunciare all’impugnazione, in virtù del potere dispositivo in ordine allo strumento di gravame (art. 589). È dunque possibile per l’impugnante (sia esso il P.M. o una parte privata) presentare una rinuncia all’impugnazione.
Le forme e i termini dell’impugnazione
Per essere ammissibile, l’atto di impugnazione deve rispettare alcune formalità prescritte dalla legge e deve essere presentato entro i termini stabiliti.
Alla forma dell’impugnazione è dedicato l’art. 581 del codice.
In primis, va sottolineato che l’impugnazione deve essere contenuta in un atto scritto e deve indicare il provvedimento impugnato e la sua data, il giudice che lo ha emesso e l’enunciazione specifica, a pena di inammissibilità, dei capi o dei punti della decisione ai quali l’impugnazione si riferisce; delle prove delle quali si deduce l’inesistenza, l’omessa assunzione o l’omessa o erronea valutazione; delle richiesta anche istruttorie; dei motivi con l’indicazione sia delle ragioni di diritto che degli elementi di fatto a sostegno della richiesta.
L’atto di impugnazione è, dunque, una manifestazione della volontà di impugnare e delle motivazioni alla base di tale volontà.
Qualunque sia la forma di presentazione, l’impugnazione va notificata d’ufficio alle altre parti, al fine di consentire la presentazione di impugnazioni incidentali.
I termini per impugnare (limitatamente alle impugnazioni ordinarie) sono contenuti nell’art. 585. In particolare, essi sono:
- 15 giorni, per i provvedimenti decisi con procedimento in camera di consiglio o per le sentenze la cui motivazione è letta in udienza
- 30 giorni, quando la motivazione è depositata successivamente all’udienza, ma entro il quindicesimo giorno dalla pronuncia
- 45 giorni, quando si tratta di sentenze con motivazione complessa, per le quali il termine di deposito raggiunge i 90 giorni
La decorrenza di questi termini è diversa per l’imputato e per il suo difensore. Se vi è redazione contestuale della motivazione, ad esempio, il termine decorre dalla lettura del provvedimento; al contrario, se la stesura è successiva, il termine decorre dal termine fissato dalla legge o determinato dal giudice per il deposito della sentenza.
È importante ricordare che nel computo dei termini per l’impugnazione non si considera il periodo che va dal 1° al 31 agosto.
L’inosservanza dei termini produce l’inammissibilità dell’impugnazione.
L’inammissibilità dell’impugnazione
Il giudice potrebbe non arrivare mai alla valutazione del merito dell’impugnazione, in quanto potrebbe ravvisare la sussistenza di una causa di inammissibilità della stessa.
L’inammissibilità è una sanzione prevista per le impugnazioni che consegue alla mancanza di almeno uno dei presupposti necessari all’instaurarsi del giudizio.
Sono cause di inammissibilità previste dall’art. 591 del codice:
- il mancato rispetto dei requisiti di forma
- la mancata osservanza delle disposizioni concernenti la presentazione della domanda di impugnazione
- il mancato rispetto dei termini
- la mancanza di legittimazione o di interesse a impugnare
- la non impugnabilità del provvedimento
- la rinuncia all’impugnazione
L’inammissibilità è dichiarata con ordinanza del giudice davanti al quale è presentata l’impugnazione, che ordina l’esecuzione del provvedimento impugnato e la condanna alle spese. L’ordinanza è soggetta a ricorso per Cassazione.
Gli effetti dell’impugnazione
La proposizione dell’impugnazione produce alcuni effetti. Il più rilevante è sicuramente l’effetto sospensivo, che attiene alla paralisi dell’esecuzione del provvedimento impugnato sia durante il termine per impugnare sia durante il giudizio. L’effetto non si produce per i provvedimenti in tema di libertà personale, tutti immediatamente eseguibili.
L’impugnazione produce, tuttavia, anche un effetto devolutivo. Tale effetto si declina in senso soggettivo e oggettivo. In senso soggettivo, comporta che il giudizio di impugnazione è normalmente devoluto a un giudice funzionalmente diverso, di regola superiore. Eccezionalmente la devoluzione può avvenire nei confronti dello stesso giudice-organo che ha emesso il provvedimento impugnato (ad esempio, nel caso di opposizione a decreto penale). In senso oggettivo, invece, esso riguarda l’ampiezza di cognizione del giudice di impugnazione, che può estendersi sull’intera materia (ad esempio, nel caso del riesame) o solo sulla parte della decisione impugnata e limitatamente ai motivi addotti (ad esempio, nel caso dell’appello).
Hai bisogno di spiegazioni semplici, chiare e veloci di procedura penale? Qui puoi trovare il nostro compendio, con l’analisi di tutti gli istituti, gli schemi e schede di diritto processuale penale, che aiuteranno la tua memoria visiva, e il codice esplicato da consultare durante lo studio.