Il diritto di famiglia, nell’ambito del diritto privato, riguarda da disciplina dei rapporti (di coniugio, di filiazione, di parentela) che nascono all’interno della famiglia intesa come comunità che si basa su vincoli di sesso, sangue ed affetto. Il codice civile dedica alla famiglia il primo libro del codice intitolato «Delle persone e della famiglia».
La famiglia è un istituto le cui funzioni e struttura cambiano nelle diverse società, evolvendo di pari passo con le trasformazioni economiche, sociali e culturali.
La L. 19 maggio 1975, n. 151 (spesso identificata come legge sul nuovo diritto di famiglia) ha rappresentato un momento fondamentale in questo processo di evoluzione degli istituti familiari ed ha contribuito in maniera decisiva alla nascita del diritto di famiglia moderno.
La riforma del diritto di famiglia 1975 è entrata in vigore il 20-9-1975 (tale data è stata specificata dal 688/1977, conv. in l. 804/1977).
Il diritto di famiglia prima e dopo la riforma del 1975
Nel diritto di famiglia ante 1975 predominava una concezione autoritaria e gerarchica, basata sul principio di autorità del marito sulla moglie e del padre sui figli.
In questo contesto si era affermato il modello tradizionale di famiglia costituito dalla famiglia patriarcale, come delineata nel codice civile del 1942, caratterizzato dal dominio del marito; tale modello, però, era stato già temperato a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione del 1948, che aveva affermato il principio dell’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29 co. 2), con ciò anticipando i valori su cui poi si sarebbe sviluppata la prima grande riforma del diritto di famiglia del 1975.
Il primo obiettivo della riforma del 1975 è stato, quindi, l’eliminazione delle disparità di posizioni tra i coniugi contenute in molte norme del codice civile (es., la norma che dava al marito la facoltà di fissare la residenza familiare a proprio piacimento, con obbligo della moglie di seguirlo ovunque, ex art. 144 c.c.) e il riconoscimento della parità tra i coniugi, che comporta la collaborazione nel mantenimento e nella gestione della famiglia (rilevando anche l’eventuale lavoro casalingo della donna) e la parità nei confronti dei figli, con l’obbligo di entrambi di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli.
Sotto il profilo del regime patrimoniale della famiglia, la riforma del 1975 ha stabilito che, di regola, tutti i beni acquistati dai coniugi dopo il matrimonio cadono in «comunione», con ciò sottolineando la gestione unitaria del patrimonio da parte di entrambi i coniugi, e abolito l’istituto della dote, beni che la moglie portava al marito come contributo agli oneri del matrimonio.
Altro carattere della riforma del 1975 è stato quello di contribuire alla valorizzazione della famiglia di fatto prima contrapposta alla cd. famiglia legittima, quale società naturale fondata sul matrimonio (art. 29, c. 1, Cost.). Tale contrapposizione si era riverberata sui cd. figli naturali, posti in secondo piano e contrapposti ai figli cd. legittimi che godevano di tutti i diritti connessi al loro status. La riforma del 1975, attuando la tutela prevista in sede costituzionale dall’art. 30, co. 3, Cost., a norma del quale la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, ha sancito che il riconoscimento dei figli naturali comporta da parte del genitore l’assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi, compresi i diritti successori.
In seguito alla riforma del 1975 sono intervenute altre leggi e, nel recente passato, la Riforma della filiazione e la Disciplina delle unioni civili e della convivenza hanno completato e ampliato, con modifiche dirette e indirette al codice civile, il percorso di innovazione intrapreso dal legislatore nel 1975.
Tali nuove disposizioni sono parte integrante del nuovo diritto di famiglia.
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