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Il bene giuridico nel diritto penale

bene giuridico nel diritto penale

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Generalità

Le norme penali disciplinano e puniscono quei comportamenti che appaiono contrari alle regole del buon vivere sociale perché offendono determinati beni o interessi.

Ogni norma penale, dunque, tutela un determinato bene o interesse.

Si definisce appunto oggetto giuridico del reato il bene giuridico o l’interesse giuridico tutelato dalla norma che prevede il reato stesso: ad esempio, la norma che punisce il reato di omicidio tutela il bene giuridico «vita», mentre la norma che punisce il reato di furto tutela il bene giuridico patrimonio (e, più in particolare, «il possesso della cosa mobile»).

Si ritiene oggi in dottrina che con l’entrata in vigore della Costituzione l’individuazione dei beni protetti dalle norme penali vada fatta con riferimento alla Costituzione stessa: se è vero, infatti, che il ricorso alla pena criminale deve costituire l’extrema ratio per il legislatore, sarà allora necessario riservare tale ricorso solo ai fatti che offendono i beni o gli interessi di maggior rilievo sociale, ossia dotati di diretta rilevanza costituzionale o comunemente considerati tali.

Teorie sulla rilevanza del bene giuridico

Secondo la teoria – cd. degli interessi – sviluppata da BETTIOL, i concetti di «bene giuridico» e di «interesse» costituiscono dei «valori», e più precisamente l’ordine delle cose che l’uomo deve seguire nelle sue scelte.

ANTOLISEI, invece, nega che il bene giuridico abbia un rilievo fondamentale nella struttura del reato, sia perché il concetto di bene giuridico è insufficiente ai fini dell’interpretazione della norma (non tutelando sempre le norme penali beni diversi ma talvolta anche il medesimo bene, con la conseguenza che per differenziare due o più reati reati non basta il criterio distintivo del bene giuridico), sia perché in molte figure di reato l’individuazione del bene protetto pone molte difficoltà interpretative, sia infine perché in molte contravvenzioni o reati minore un vero e proprio bene giuridico da tutelare non esiste affatto.

Più di recente, BRICOLA ha osservato che il fatto che la pena incide sulla libertà personale – e quindi, su un bene inviolabile -, che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato (art. 27 Cost.) e che la previsione normativa dei reati è coperta da riserva assoluta di legge (art. 25 Cost.) deve indurre a ritenere che il reato deve necessariamente consistere nell’offesa significativa di beni costituzionalmente rilevanti.

Questa tesi, pur se criticata in dottrina, è stata fatta propria dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che in

una circolare del 1983 – nel fissare i criteri orientativi per la scelta tra sanzioni penali e sanzioni amministrative – ha stabilito che «il ricorso alla sanzione penale deve porsi come ultima ratio, quando cioè sia esaurita qualsiasi possibilità di tutela attraverso strumenti sanzionatori che non incidano su un bene di rango così elevato qual è la libertà personale».

In definitiva, la dottrina più moderna (BRICOLA, FIANDACA-MUSCO, MARINUCCI) ha delineato uno schema per il quale il bene giuridico svolge, nell’ambito del diritto penale:

— una funzione dogmatica, essendo di ausilio alla ricognizione del sistema penale vigente;

— una funzione classificatoria, guidando al raggruppamento dei reati secondo un ordine legale rappresentativo di una gerarchia di valori;

— una funzione interpretativa, in quanto giova alla comprensione del significato della fattispecie astratta con riguardo al momento della offensività sociale;

— una funzione critica di orientamento di politica criminale, poiché indirizza il legislatore nella scelta dei fatti punibili imponendo il ricorso alla pena soltanto quando la sua minaccia è funzionale alla tutela di beni socialmente rilevanti.

Il principio di offensività

Strettamente collegato al concetto di bene giuridico è il principio di offensività.

Si tratta di quel principio, anch’esso immanente nel nostro sistema giuridico penale, che consente di subordinare l’applicazione della sanzione penale al verificarsi di un’offesa ad un bene giuridico protetto dall’ordinamento, perché considerato essenziale sia nei rapporti individuali che nei rapporti tra singolo e pubblici poteri.

Il principio di offensività trova riconoscimento, sia pure implicito, nella Costituzione, dal momento che la sanzione penale, che si sostanzia nella compressione di valori costituzionali quali la libertà o la dignità personale, si giustifica solo se volta a compensare l’offesa a beni-interessi di pari rango costituzionale.

E infatti, come accennato: l’art. 13 Cost. tutela la libertà personale, sicché la sanzione penale limitativa di tale libertà sarà ammessa solo in virtù di una condotta che offenda beni di pari rango; l’art. 25 Cost. subordina la sanzione penale alla commissione di un fatto e cioè all’esistenza di una condotta materiale offensiva, e non alla mera disobbedienza; l’art. 27 Cost. sancisce la funzione rieducativa della pena che sarebbe frustrata laddove la sanzione fosse comminata per mere violazioni di doveri di comportamento, inidonei ad offendere alcun bene rilevante.

La teoria generale del reato su base costituzionale impone dunque la definizione del reato come fatto tipico (principio di legalità) ed offensivo (principio di offensività), e in ossequio al brocardo latino nullum crimen sine iniuria, sussiste reato, ed è perciò possibile applicare la sanzione penale, solo laddove si verifichi un’offesa, come lesione attuale (danno) o meramente potenziale (pericolo), di un bene-interesse giuridicamente tutelato dall’ordinamento.

La lesione, ossia il danno, è il nocumento effettivo del bene protetto consistente nella distruzione (ad es. della vita, nell’omicidio) o nella diminuzione (ad es. dell’integrità fisica, nelle lesioni personali) o, infine, nella perdita (ad es. del potere sulla cosa, nel furto) del bene giuridico.

L’esposizione a pericolo si traduce, invece, in un nocumento potenziale del bene, che viene solo minacciato (ad es. l’incolumità pubblica nell’incendio).

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