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Generalità
Alla base del principio della colpevolezza vi è il giudizio sulla rimproverabilità dell’atteggiamento psicologico tenuto dall’autore della condotta tipica, e dunque l’esigenza che il soggetto si renda conto di ciò che sta facendo e abbia una chiara percezione della realtà fenomenica sulla quale interviene.
L’errore è appunto una falsa rappresentazione della realtà, naturalistica o normativa (cui è equiparata, ai fini della disciplina rilevante, l’ignoranza), che può condurre – o meno – all’esclusione della colpevolezza.
A seconda del momento dell’iter criminis su cui l’errore incide si distingue tra:
- a) errore-motivo, che cade nel momento ideativo del fatto, ossia sul processo formativo della volontà che nasce dunque viziata da una falsa rappresentazione del reale;
- b) errore-inabilità, che interviene invece nella fase esecutiva del reato (es.: Tizio intende esplodere più colpi di fucile all’indirizzo di Caio, ma per un errore di mira colpisce Sempronio che passava nei paraggi).
Solo l’errore-motivo, tuttavia, è una vera e propria causa di esclusione della colpevolezza.
L’errore sul fatto e l’errore sul divieto
L’art. 47 c.p. dispone che:
– l’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente; tuttavia, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa quando il fatto è previsto dalla legge come delitto colposo;
– l’errore sul fatto che costituisce un determinato reato non esclude la punibilità per un reato diverso;
– l’errore su una legge diversa da quella penale esclude la punibilità quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce reato.
La ragione per la quale l’errore esclude la punibilità va ricercata nel fatto che, avendo l’agente una falsa rappresentazione della realtà, la sua condotta non può essere considerata dolosa poiché vuole un fatto diverso da quello che costituisce reato, salvo che, riscontrandosi elementi di colpa nel suo comportamento, gli si possa addebitare un delitto colposo (ad esempio se un cacciatore, vedendo muoversi i rami di un cespuglio, spara ritenendo che ivi ci sia una lepre, mentre invece vi è un altro cacciatore che muore a seguito dei colpi che lo hanno attinto, l’agente non risponderà di omicidio volontario ex art. 575, difettando il momento rappresentativo del dolo, ma potrà essere chiamato a rispondere di omicidio colposo in quanto è stato avventato e imprudente ex art. 589).
Inoltre, la mancata o inesatta percezione di un dato materiale (error facti) e l’ignoranza o l’erronea percezione del precetto penale o extrapenale richiamata dalla norma penale incriminatrice (error iuris) possono incidere sull’elemento soggettivo del fatto tipico, in quanto l’errore stesso preclude all’agente la coscienza e la volontà di porre in essere un fatto materiale conforme ad una determinata fattispecie criminosa.
È evidente che l’errore, per escludere il dolo, deve cadere su un elemento essenziale della fattispecie, sicché sono irrilevanti errori che incidono su circostanze marginali. Così, se Tizio uccide Caio al buio, erroneamente ritenendo che si tratti di Sempronio, suo nemico, tale errore non rileva perché l’art. 575 c.p. punisce chi cagiona la morte di un «uomo», ed è irrilevante la precisa rappresentazione della sua identità da parte dell’agente.
L’ignoranza della legge penale
L’art. 5 c.p. si ispira alla regola, dettata da fondamentali esigenze di certezza e di efficienza del sistema penale, secondo la quale error vel ignorantia legis non excusat, alla regola cioè della inescusabilità assoluta dell’errore di diritto che, infatti, non priva il soggetto della consapevolezza dell’azione che va compiendo.
In sostanza, mentre l’errore sul fatto determina un’errata percezione della realtà che esclude il dolo (non può dirsi che voleva uccidere un uomo chi spari verso un bersaglio credendolo erroneamente un animale) ma non la colpa, nel caso di errore sul precetto il soggetto è invece ben consapevole dell’azione che va compiendo, ignorandone soltanto l’illiceità penale: coscienza e volontà dell’azione, e quindi il dolo, non sono esclusi.
Tuttavia a mitigare la rigidità del brocardo è intervenuta la Corte costituzionale (sent. 364/1988), secondo la quale anche l’ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa l’autore dell’illecito.
Comunque sia, occorre in ogni caso verificare quando l’ignoranza è realmente inevitabile perché tale non può dirsi di certo l’ignoranza colposa, dovuta cioè a difetto di informazione del soggetto e in quanto tale evitabile; mentre di inevitabilità si potrà parlare quando l’ignoranza è dovuta a caso fortuito o forza maggiore, cioè quando cioè ricorre un’impossibilità oggettiva ed invincibile di conoscenza.
Ad avviso della Cassazione, poi, l’esclusione di colpevolezza può essere giustificata anche da un complessivo e pacifico orientamento giurisprudenziale che abbia indotto nell’agente la ragionevole conclusione della correttezza della propria interpretazione del disposto normativo.
Errore determinato dall’altrui inganno
L’art. 48 c.p. stabilisce che le disposizioni dell’art. 47 si applicano anche se l’errore sul fatto che costituisce reato è determinato dall’altrui inganno, ma che in tal caso del fatto commesso dalla persona ingannata risponde chi l’ha determinato a commetterlo.
La dottrina riconduce tale disciplina alla figura dell’autore mediato, ossia di chi si serve di un’altra persona come strumento per la commissione di un reato con qualsiasi mezzo di persuasione o suggestione idoneo.
La disciplina dell’art. 48 c.p. non è difforme da quella generale dettata dall’art. 47 c.p., e di conseguenza l’errore determinato dall’altrui inganno sarà idoneo ad escludere il dolo solo quando ricade sul fatto e non anche quando investa il precetto. Inoltre, permarrà in capo all’ingannato (deceptus) una responsabilità colposa se l’errore è dovuto anche a colpa a lui imputabile ed il fatto sia punibile, appunto, a titolo di colpa.
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