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Il capitale sociale

capitale sociale

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Il capitale sociale è il valore in danaro dei conferimenti effettuati dai soci, risultante dalle valutazioni compiute nell’atto costitutivo. Esso va distinto concettualmente dal patrimonio sociale, mentre dal punto di vista pratico il capitale sociale e il patrimonio possono coincidere nella fase iniziale dell’attività, laddove l’unica ricchezza patrimoniale effettiva a disposizione della società sia appunto data dall’insieme dei soli conferimenti.

Invece, durante la vita della società, normalmente, il capitale e patrimonio sociale assumono valori differenti poiché il primo, essendo un’indicazione formale, rappresentante una posta contabile fissa del bilancio sociale, rimane immutato fino al momento in cui, con una modifica dell’atto costitutivo, non se ne dispone una variazione (rispettivamente un aumento od una riduzione).

Il capitale sociale minimo

È opportuno tener presente, come primo profilo di disciplina, che per alcuni tipi sociali è previsto una soglia minima di capitale. In particolare, ciò è vero solo per le società di capitali:

  • per quanto riguarda le s.p.a., che a seguito dell’intervento del D.L. 91/2014, conv. in L. 116/2014, il capitale minimo necessario per la costituzione di una s.p.a. e stato ridotto dai precedenti 120.000 euro agli attuali 50.000 euro.
  • per quanto riguarda le s.r.l., queste devono avere un capitale sociale non essere inferiore a 10.000 euro. La L. 99/2013, di conversione del D.L. 76/2013 (Decreto Lavoro) ha introdotto la possibilità, per tutte le s.r.l., di determinare l’ammontare del capitale in misura inferiore ad euro 10.000, pari almeno ad 1 euro, con conferimenti esclusivamente in denaro. In tal caso sorge l’obbligo per la società di accantonare una somma da dedurre dagli utili netti risultanti dal bilancio pari almeno ad un quinto degli stessi e tale obbligo permane sino a che riserva e capitale non abbiano raggiunto l’ammontare di 10.000 euro. La riserva può essere utilizzata solo per imputazione a capitale e per copertura di eventuali perdite con obbligo di sua reintegrazione laddove essa sia diminuita.

Le variazioni del capitale

Sono, dunque, possibili variazioni del capitale sociale, sia in aumento che in riduzione. Esse si attuano mediante modificazioni dell’atto costitutivo, deliberate dall’assemblea straordinaria ed iscritte nel registro delle imprese.

L’aumento del capitale sociale può essere realizzato secondo due diverse modalità:

a) mediante il conferimento di nuove attività da parte dei vecchi azionisti o di terzi (cd. aumento reale o a pagamento);

b) mediante l’imputazione a capitale della parte disponibile delle riserve e dei fondi in quanto disponibili.

La prima comporta un reale incremento del patrimonio sociale, attraverso appunto nuova ricchezza; la seconda invece è una semplice operazione di carattere contabile, realizzata utilizzando valori già esistenti nel patrimonio sociale senza che si proceda a nuovi conferimenti (e, quindi, senza che si produca alcun incremento del patrimonio stesso).

L’atto costitutivo della s.p.a. può attribuire anche agli amministratori la facoltà di aumentare (in una o più volte) il capitale, fino ad un ammontare determinato e per il periodo massimo di cinque anni dalla data di iscrizione della società nel registro delle imprese (art. 2443 c.c.). Tale facoltà può essere altresì conferita dall’assemblea mediante modificazione dell’atto costitutivo, per il periodo massimo di cinque anni dalla data della deliberazione.

La riduzione del capitale sociale, invece, consiste nel portare lo stesso ad una cifra inferiore, osservando nelle società di capitali il limite legale. Come l’aumento del capitale, essa si realizza mediante una deliberazione assembleare modificativa dell’atto costitutivo. Può dipendere da:

a) perdite, in tal caso la riduzione è obbligatoria in alcune ipotesi (artt. 2446 e 2447c.c.); mentre e facoltativa in caso di perdite di entità minore a quella prevista dalla legge;

b) morosità di azionisti, se le loro azioni rimangono invendute o si annullano (art. 2344 c.c.);

c) recesso di azionisti;

d) inferiorità del valore dei beni conferiti in natura di oltre 1/5 rispetto al valore per cui avvenne il conferimento (art. 2343 c.c.);

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