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L’assetto territoriale della Repubblica dopo la riforma del Titolo V (L. cost. 3/2001)
Gli enti pubblici territoriali sono quelli per i quali il «territorio» costituisce sia elemento costitutivo che l’ambito in cui esercitano le proprie funzioni.
Il nostro sistema costituzionale riconosce gli enti territoriali di cui si compone all’art. 114 della Costituzione, laddove si legge che la Repubblica, pur nella sua unità e indivisibilità, è costituita, oltre che dallo Stato, «dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni». Si tratta di enti autonomi dotati di propri statuti, poteri e funzioni.
Tale articolazione è espressione del riconoscimento, fatto in Costituzione, delle autonomie territoriali, vale a dire della capacità delle relative comunità di gestire, con proprie determinazioni, una parte di affari pubblici.
Il sistema degli enti territoriali è stato profondamente innovato dalla L. cost. 3/2001, di riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione. Tra gli aspetti salienti di questa riforma ricordiamo, in primo luogo, il riconoscimento della pari dignità istituzionale di tutti gli enti che contribuiscono ad edificare in via sussidiaria (dall’ente più piccolo, il Comune, a quello più grande, lo Stato) l’ordinamento repubblicano. L’art. 114 Cost., infatti, nella sua formulazione originaria, prevedeva la ripartizione della Repubblica in Regioni, Province e Comuni. L’elencazione viene ribaltata e, al contempo, viene evidenziata la profonda radice territoriale del Comune, l’ente locale più vicino ai cittadini.
La legge costituzionale n. 3/2001, inoltre, introduce una nuova ripartizione delle competenze legislative fra Stato e Regioni che inverte il criterio precedente della enumerazione delle materie di competenza legislativa regionale nonché una ripartizione delle funzioni amministrative fra i diversi livelli di governo secondo il principio di sussidiarietà, diversamente modulato per tener conto anche dei criteri della differenziazione e della adeguatezza e la costituzionalizzazione del federalismo fiscale, con la nuova formulazione dell’art. 119.
Gli enti territoriali nel diritto amministrativo: le Regioni
La Regione può essere definita quale ente territoriale esponenziale degli interessi della collettività sottostante composto da un territorio, che costituisce l’ambito spaziale in cui essa esercita i suoi poteri e le sue funzioni, una popolazione – che si identifica con quella appartenente ai Comuni compresi nel territorio regionale – nonché un apparato di governo, costituito da Consiglio, Giunta e Presidente, che svolge la funzione legislativa e amministrativa.
L’art. 131 Cost. riconosce 20 Regioni, così suddivise:
— 5 a Statuto speciale: Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta;
— 15 a Statuto ordinario: Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria.
La differenza fra i due tipi di Regioni è che mentre gli Statuti speciali sono approvati, ex art. 116 Cost., mediante legge costituzionale, gli Statuti ordinari, in base all’art. 123 Cost., seguono l’iter di una legge regionale. In particolare, l’art. 123 Cost. (commi 1-3) prevede che lo Statuto ordinario deve determinare la forma di governo e i princìpi fondamentali di organizzazione e funzionamento della Regione in armonia con la Costituzione.
Le Regioni, in base alla Costituzione, sono dotate di autonomia statutaria, legislativa, regolamentare, amministrativa e finanziaria.
Le autonomie locali: Comune, Provincia e Città metropolitana
Nell’ordinamento della Repubblica italiana, oltre alle Regioni, sono presenti altri enti territoriali: l’art. 5 Cost., infatti, in subordine al principio di unità e indivisibilità della Repubblica, afferma il principio del decentramento dei poteri attraverso la promozione ed il riconoscimento delle autonomie locali. Più specificamente, l’art. 114 Cost. afferma che le Repubblica è costituita, oltre che dallo Stato, anche dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane e dalle Regioni, tutti enti autonomi dotati di propri statuti, poteri e funzioni che si esplicano entro il limite del rispetto dei principi ricavabili dalla stessa Costituzione.
La principale fonte normativa che disciplina le autonomie locali a livello di legislazione primaria è il D.Lgs. 18-8-2000, n. 267 (T.U. degli enti locali), che ha raccolto e coordinato tutta l’opera di decentramento delle funzioni e conseguente potenziamento delle amministrazioni locali portata avanti dal legislatore nell’arco degli anni ’90. Il Testo Unico, infatti, contiene i principi e le disposizioni in materia di ordinamento degli enti locali, laddove per «ente locale» si fa riferimento a Comuni, Province, Città metropolitane, Unioni di Comuni e Comunità montane.
Nell’ottica della razionalizzazione delle istituzioni locali e del perseguimento di una maggiore efficienza nell’esercizio decentrato delle funzioni è stata in seguito emanata la L. 7 aprile 2014, n. 56 (cd. legge Delrio), che ha avviato una parziale riforma del sistema degli enti locali incentrata sulla riorganizzazione delle Province, l’istituzione delle Città metropolitane e la promozione delle forme associative, quali le Unioni di Comuni.
Dall’art. 114 Cost. si evince che gli enti locali possono dotarsi di un proprio statuto nel rispetto dei principi fissati dalla stessa Carta costituzionale. Nell’ambito del D.Lgs. 267/2000 gli statuti comunali e provinciali sono disciplinati dall’art. 6, laddove ne viene enucleato un contenuto obbligatorio e ne vengono stabilite altresì le modalità di deliberazione. Ma l’autonomia normativa di questi enti non si esaurisce qui. L’art. 117, comma 6, della Costituzione, infatti, riconosce a Comuni, Province e Città metropolitane la potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
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